“E forse il peccato fu creder speciale una storia normale”, cantava Guccini in Farewell. Era la fine di una storia d’amore, che come sempre, quando finisce, lascia dietro strascichi e ricordi che fanno male. Pungono. E vale così anche per quelle storie (ordinarie o meno) nel calcio che assomigliano tanto alle storie d’amore. Anzi, lo sono. Perché il legame che si era creato tra Antonio Conte e la Juventus, o meglio il popolo juventino tutto, era un qualcosa che andava oltre il rapporto professionale di un tecnico e di una società sportiva. Era quel sentimento che legava un uomo ad un gruppo ben più numeroso di uomini. Una legge sentimentale, non scritta, applicata al gioco più bello del mondo.
L’amore finisce nella vita. E finisce, allo stesso modo, nel calcio. Un tradimento, o le cose che non vanno. E Antonio Conte e la Juventus si separano. Andare a ripescare le vicende di quei giorni di metà Luglio è come scorrere l’album delle fotografie per due innamorati che ormai non si vedono da qualche mese. L’annuncio di Conte via Youtube, la reazione dei tifosi, i fischi e i cori contro Allegri al primo allenamento. Poi, un giorno d’Agosto Conte firma con la nazionale. E per il popolo juventino è stato come scoprire che la ragazza che hai amato per diversi anni, che hai sognato in precedenza e che in fondo ancora ti manca un po’, si è nuovamente fidanzata. Tradimenti, pensieri, ricordi. Le storie d’amore nel calcio sono come quelle nella vita.
Quel giorno d’Agosto s’è rotto qualcosa. S’è ammainata forse per sempre una bandiera del popolo juventino. Indipendentemente da futuri ritorni, trofei già vinti, ricordi bellissimi. La Juventus ha scoperto di aver avuto per 3 anni un allenatore straordinario, probabilmente tra i migliori in Europa, ma non una propria bandiera. Con quel pensiero che frulla nella testa, che l’addio sia stato voluto per andare ad allenare la nazionale. Ma dall’altra parte con il tempo si accumula solo nervosismo. Anche Conte con la coda dell’occhio guarda la sua vecchia fiamma, quella che ha lasciato. La vede via via innamorarsi di un nuovo allenatore. Col tempo la vede capace di superare qualsiasi mancanza, e di essere quasi più felice. Con un sogno aperto, che al tecnico leccese era sempre sfuggito. Anche per convinzione.
Lui, juventino dentro ma alla guida della nazionale, con il tempo perde anche un po’ di entusiasmo. Diventa sempre più nervoso. Vuole gli stage. Ma sa, perché ha vissuto una vita intera nei club, che al momento sono irrealizzabili. E sa che se avessero chiesto una cosa del genere a lui sarebbe diventato una bestia. Ma non ci pensa. Entra in conflitto con la Juve. Una guerra fredda, senza dichiarazioni aperte e conflittuali, ma con un braccio di ferro che porta il tecnico alla prima sconfitta. Allora sbotta. Gli manca il campo, sa solo lui quanto gli manca. Ma per orgoglio non lo ammetterebbe mai. Sfrutta i momenti con i propri calciatori come se dovesse farli valere triplo. Qualcuno parla addirittura di triple sedute. Si limita alle doppie però, di un’intensità pazzesca. In una di queste Marchisio si rompe il collaterale, o almeno così gli viene diagnosticato. Elkann, socio azionario della Juventus, non ci sta. E una parte del tifo juventino addirittura insorge sui social network. Conte sarebbe la causa di questo male, e del fallimento annunciato del finale di stagione della Juventus. Prima di scoprire che in realtà Marchisio non ha nessuna lesione, e si riprenderà presto.
Conte in conferenza stampa attacca Elkann, ma dimentica di mostrare quel minimo di calore umano per Marchisio. “Uno dei suoi” da quattro anni ormai. Non è il segno di un menefreghismo che non appartiene né al Conte uomo, né al Conte allenatore: è un modo di vivere la nazionale, e il ruolo da commissario tecnico, che sta logorando l’ex centrocampista. Ed è quella grande storia d’amore sullo sfondo che via via si allontana, e svanisce. Come un ricordo bello, troppe volte rinnegato da entrambe le parti.