Fuoco dell’Etna, Mare dello Stretto, Aria della Sicilia e Terra composta da radici, valori e tradizioni antichi.
Nibali, il vincitore del 101° Tour de France, ha aggregato questi elementi rappresentando la loro sintesi perfetta come un supereroe. Il “Supereroe in Giallo“.
La tensione si è allentata dopo la crono di ieri, anche se il contegno a cui ci ha abituati rimane. Vincenzo Nibali ha chiuso la prova Bergerac-Periguex, 20esima tappa del Tour de France, in un’ora, otto minuti e 19 secondi a 1’57” dal vincitore Tony Martin con il quarto tempo. “C’era un po’ di tensione – ha spiegato la maglia gialla -. Era lo sforzo della cronometro che era lunga e difficile. Molti rettilinei, falsi piani. Non vedevo l’ora di arrivare all’arrivo perché era stancante. Era una crono che volevo dimostrare di fare bene. Sono contento del quarto tempo”. Ma l’attimo per sciogliersi nella gioia non è ancora arrivato. Il perché lui l’ha spiegato così: “Aspettiamo domani. Penso che l’Arco di Trionfo e la premiazione siano i momenti più belli. Domani sarà da pelle d’oca. La prima volta che sono venuto al Tour sono rimasto stregato dalla bellezza di Parigi. E poi è tutto un po’ irreale; devo abituarmi piano, piano. Il pensiero di aver vestito questa maglia dal secondo giorno è stato logorante”.
Il domani è arrivato, partendo dagli anni ’90 quando con le isole Eolie sullo sfondo, Vincenzo si divertiva a sfrecciare a 45 orari con il vento contrario, nei pressi di Villafranca Tirrena, primo Comune fuori dal comprensorio messinese. Quasi un dispetto alla divinità dei venti e all’arcipelago cui ha dato il nome. E’ lì che suo padre si rese conto di avere un campione in casa, in grado di vincere le grandi corse a tappe.
Vincenzo Nibali ha sempre amato le sfide difficili, per questo ha deciso di volersi affiancare a quella che viene considerata un po’ come la ‘Hall of fame‘ del ciclismo, la cinquina di corridori che hanno vinto le tre grandi corse a tappe: Giro, Tour e Vuelta. Non una cinquina qualunque, ma vere e proprie leggende: Eddy Merckx, Bernard Hinault, Jacques Anquetil, Alberto Contador, Felice Gimondi. Stili diversi, epoche diverse.
Enzino da Messina ce l’ha fatta e adesso che la storia è riscritta si prepara a riabbracciare la moglie Rachele e la piccola Emma, ai piedi dell’Arco di Trionfo, che lo aspettano per la passerella finale. Poco più di un anno fa, sul podio di Brescia, alla fine della trionfale cavalcata nel Giro d’Italia, era talmente emozionato che non riuscì a cantare l’inno di Mameli. Guardava sua madre Giovanna e suo padre Turi, ma pensava a suo nonno Vincenzo, dal quale ha preso il nome. Fu lui a regalargli il primo triciclo.
Chi lo avrebbe detto che sarebbe diventato una leggenda del ciclismo? Nibali ha costruito la propria vittoria giorno dopo giorno, preparandosi bene, mettendosi dietro alla moto del fido Paolo Slongo, sul Passo San Pellegrino. “Io faccio Froome e tu mi corri dietro…“, gli diceva, ed Enzino a pedalare in apnea, a 1.900 metri d’altezza. Come sono lontane le Eolie. Nibali è stato abile nella tattica, e sul piano strategico: studiando gli avversari, ha carpito le loro debolezze e le ha trasformate in energia produttiva per la propria bici. Voleva diventare invincibile, inattaccabile, c’è riuscito, acquisendo la sicurezza degli audaci e ricalcando le orme di Felice Gimondi.
Non ha il fuoco di Pantani dentro, ma la capacità di trasformare le corse impossibili – fra Alpi e Pirenei – quasi in una kermesse cicloturistica. Un campione vero, misurato, come il bergamasco Gimondi. Mai una parola fuori posto, una frase di troppo. Ha stravinto il Giro d’Italia 2013, ha dominato il Tour de France, convincendo anche i francesi. Nessuno avrà più il coraggio di dirgli che ha vinto, perché erano assenti Froome e Contador, entrambi ritirati per cadute, ma già staccati dallo ‘Squalo dello Stretto’.
Il Tour di Nibali è stato strategicamente perfetto, la sua condotta di gara intelligente, sicura, aggressiva e, allo stesso tempo, misurata. La sua vittoria rappresenta qualcosa di prezioso per un ciclismo in cerca di nuovi protagonisti. Non eroi per caso, ma uomini veri, onesti. A casa di Vincenzo, a Messina, c’è la sua foto su un triciclo e il nonno la mostra con orgoglio, vantandosi di averglielo regalato. La sua più grande vittoria si chiama Emma, nata alla fine di febbraio, Nibali la tiene come una pietra preziosa. E’ uno dei pochi svaghi di una vita serena, senza eccessi, da campione autentico, senza tatuaggi né creste. Nibali ha il volto dell’Italia che resiste e spera. A Messina lo aspettano con la ‘maillot jaune’. Assieme ai familiari ci saranno anche due amici speciali: uno si occuperà della produzione di granite al caffè con panna, un altro degli arancini. Dopo quello rosa, in occasione della vittoria al Giro d’Italia dell’anno scorso, quest’anno ne ha preparato uno rigorosamente di giallo.
Lo Squalo è stato storico. Sesto ciclista di sempre ad ottenere la Tripla Corona, con buona pace dei suoi detrattori.
Troppo forte per tutti e lo sarebbe stato anche con Contador e Froome in corsa. Perchè quando Froome e Contador si scornavano al Delfinato, Nibali pensava solo al Tour; perchè sulle salite è andato forte. Perchè sul pavè ha rifilato oltre due minuti di distacco allo spagnolo. Perchè ha vinto in Inghilterra quando Froome avrebbe fatto carte false per conquistare la gialla. Ha vinto sotto la pioggia, con il caldo, sulle Alpi, sui Vosgi e sui Pirenei. Perchè ha preso la gialla in una tappa simil Liegi,l’ha consolidata in una tappa stile Roubaix e l’ha rinconquistata in una tappa a mo’ del Lombardia.
Un atleta professionista nel ciclismo, in genere raggiunge la piena maturità tra i 27/28 e i 32/33 anni. La ‘Pulce dei Pirenei‘, così era chiamato Vincenzo da piccolo quando affascinava il pubblico da enfant prodige delle due ruote, è arrivato a scrivere un’altra pagina memorabile della sua carriera costellata di successi: 3° al Giro del 2010, 2° nel 2011, 1° nel 2013. Al Tour: 7° classificato nel 2009, 3° nel 2012 e 1° nel 2014. Vuelta: 2010-1°, 2011-7°, 2013-2°. Un corridore completo, protagonista anche nelle classiche: terzo posto alla Milano-Sanremo, secondo alla Liegi e quarto al Mondiale di Firenze dello scorso anno dopo essere caduto.
Oltre al campione italiano questo Tour lascia altre piacevoli scoperte per il futuro delle corse a tappe e avvenimenti storici: un giovane come Pinot sul podio a 24 anni è stupendo e Peraud grande professionista, vice campione olimpico nella mountain bike e secondo a 37 anni nella corsa più amata dai francesi.
Bottecchia, Bartali, Coppi, Nencini, Gimondi, Pantani, Nibali, gli italiani tinti di giallo. Anquetil, Gimondi, Merckx, Hinault, Contador, Nibali per la Tripla Corona. Da oggi Nibali entra trionfalmente nella storia e nell’Olimpo del ciclismo. Debuttante da prof con la Liquigas, è passato ad una squadra kazaka l’Astana di Vinokourov insieme ad un altro italiano, Michele Scarponi. Un traguardo colorato d’azzurro, ma costretto a realizzarsi in una realtà estera con la guida di Giuseppe Martinelli, l’abile regista dei trionfi di Pantani nel ’98.
Dal Pirata allo Squalo: 16 anni di attesa e il trionfo dell’Italia alla Grand Boucle realizza il sogno di un altro ragazzo partito da lontano, cresciuto tra le onde e la brezza del mare. Paragoni tra Marco e Vincenzo nelle tre settimane di corsa ne sono stati fatti tanti; parallelismi fini a se stessi, poiché i due atleti appartengono a epoche diverse, come Maradona e Messi. La gioia condivisa per il successo di Nibali è indiscutibile, ma le imprese storiche del ciclismo italiano moderno, sono e rimarranno nei secoli quelle di Pantani: la tappa del Galibier nel 1998 con gli 8’57” rifilati a Ullrich, la scalata a Les Deus Alps. Il tutto avvenuto nell’anno della doppietta Giro-Tour come riuscì solo al “Campionissimo”, Fausto Coppi.
L’inno di Mameli, il Tricolore, il giallo splendente indossato da un Fratello d’Italia per 19 giorni come Gimondi, davanti ai cugini-rivali di sempre: i francesi, che piazzano due corridori sul podio a 30 anni dalla doppietta Fignon-Hinault.
“Il cielo è Azzurro sopra Parigi!! Grazie Vincenzo!! Orgoglio d’Italia!”