Fino a poche settimane fa, la Nigeria per molti era ancora uno dei tanti stati africani, tutti talmente uguali tra loro da distinguersi a malapena. Poi, la notizia: quasi 300 ragazze nigeriane, studentesse in una scuola secondaria di Chibok, nello stato del Borno, vengono rapite da un blitz di militanti jihaddisti. E, sotto le luci della ribalta, il volto della Nigeria cambia: anche nell’Africa nera ci sono ragazze che studiano, ragazze cristiane, alle prese con i libri proprio come tante ragazze e – soprattutto – tanti ragazzi occidentali. Troppo, evidentemente, per il gruppo estremista musulmano Boko Haram.
Le responsabilità del governo
Che le tensioni tra gruppi religiosi siano sempre pronte ad esplodere, dopotutto, non è una novità; non lo è nel mondo intero e men che mai lo è in Africa, dove non c’è Stato che non sia dilaniato da conflitti spesso ben più sanguinosi di quelli che in Occidente si continuano a leggere in prima pagina. In Nigeria la divisione tra cristiani e musulmani è trasversale tra le varie etnie che compongono la popolazione; né è un mistero l’intolleranza dei musulmani nei confronti di una fascia di popolazione, quella cristiana, che a piccoli passi va conquistando un avanzamento a livello economico e – di conseguenza – culturale. Non è la prima volta che si sente parlare di attentati contro i cristiani, in Africa.
Lo sapeva bene il presidente dell’ufficio nazionale nigeriano della West African Examination Council, Charles Eguridu. La Commissione d’esame, infatti, aveva provato a respingere la possibilità, per gli studenti dell’istituto superiore presso cui alloggiavano le ragazze rapite, di tenere gli esami in determinate zone del Borno, inclusa Chibok, visto e considerato il pericolo di attacchi terroristici. La commissione aveva previsto, in alternativa, di dislocare le sedi d’esame. Tuttavia, nel momento in cui il Governatore Kashim Shettima ha assicurato di aver preso adeguate misure di sicurezza, gli studi sono proseguiti a Chibok come da programma.

Le cose però sono andate diversamente. Durante un incontro organizzato dalla First Lady nigeriana Patience Jonathan, in cui sono intervenute le mogli dei governatori degli stati Nigeriani, donne legislatrici a livello statale e federale e leader di diverse organizzazioni femministe, Eguridu ha dichiarato di aver proseguito con gli esami dopo le rassicurazioni di Shettima; rassicurazioni di cui però evidentemente non v’era da fidarsi.
La reazione del mondo intero
Che in Africa vi siano ragazzi che abbiano la possibilità di studiare già è un miracolo; se poi questa possibilità viene loro negata in maniera così leggera, a maggior ragione monta l’ira. La scuola superiore di Chibok contava oltre 530 studenti, 135 maschi e 395 femmine. Di queste ultime, circa 300 sono ora in mano a fondamentalisti islamici pronti a sposarle contro la loro volontà o venderle come schiave per poche decine di dollari.
I rapitori sapevano come agire: la scuola superiore di Chibok infatti offriva servizi d’alloggio solo per le ragazze: è stato facile, la notte tra il 14 ed il 15 aprile, penetrare all’interno della struttura ed avere la meglio su ragazzine la cui età andava dai 12 ai 19 anni. Dai racconti di chi tra loro è riuscita a fuggire, trapela la paura. Parlando delle compagne ecco come Sarah Lawan, 19 anni, racconta la sua esperienza all’Associated Press: «sono addolorata al pensiero che non abbiano trovato il coraggio di correre via con me. E adesso piango ogni volta che incontro i loro genitori e osservo le lacrime che il vedermi genera in loro».

Foto: ANSA
Ecco allora la mobilitazione a livello mondiale che, in breve, ha spopolato attraverso i social network: lanciando l’hashtag BringBackOurGirls Malala Yousafzai, studentessa ed attivista pakistana già in passato presa di mira per la sua lotta in favore dell’istruzione per le donne nel mondo, ha diffuso un messaggio diventato virale in pochi giorni, passando da Michelle Obama a Papa Francesco, attraverso star del grande schermo (Angelina Jolie ed Emma Watson, tanto per dirne un paio) a membri delle istituzioni del mondo intero (per l’Italia basti il nome di Laura Boldrini).
Uniamoci tutti nella preghiera per l’immediato rilascio delle liceali rapite in Nigeria.
#BringBackOurGirls
— Papa Francesco (@Pontifex_it) 10 Maggio 2014
Il messaggio, ovviamente, non può essere rivolto ai reali artefici del rapimento: il gruppo estremista islamico di Boko Haram difficilmente vi darebbe ascolto. Piuttosto vuole rivolgersi alle autorità, soprattutto quelle nigeriane, colpevoli di non essere state in grado di attivarsi fin da subito. Oltre al danno, la beffa: all’indomani della sparizione delle ragazze, infatti, il generale Chris Olukolade aveva dato per certa la liberazione della maggior parte di loro. Secondo Olukolade, a tre giorni dal rapimento sarebbero rimaste in mano agli jihaddisti solo otto ragazze. Peccato che la notizia fosse deliberatamente inventata e che il governatore del Borno e le autorità scolastiche l’abbiano immediatamente smentita.
Tuttavia ormai serve a poco chiedersi quanto sia possibile che le forze militari nigeriane non siano riuscite a far fronte ad un pericolo annunciato. Perché è proprio di pericolo annunciato che si parla: secondo una denuncia di Amnesty International, il quartier generale dell’esercito nigeriano a Maiduguri sarebbe stato informato dell’attacco già quattro ore prima del raid, ma di fatto nessuno ha fatto niente per evitarlo. Forse le autorità non erano pronte, o forse ancora aspettavano l’aiuto delle potenze mondiali. Aiuto che ovviamente è arrivato non appena il tam-tam internazionale si è fatto troppo pressante per poter essere ignorato: e infatti ora ci saranno anche Usa, Cina, Gran Bretagna e Francia a lottare al fianco della Nigeria per restituire le ragazze alle rispettive famiglie.