La Champions League non è più casa nostra, meritatamente. Ma non buttiamoci giù come al solito. In attesa di scoprire le ultime due squadre che completeranno il quadro dei quarti di finale, è già tempo di leccarsi le ferite. E i baffi: basti pensare che le squadre già qualificate bramano di pescare, nel sorteggio, la vincente di Manchester United – Olympiakos. Sicuri che sia un affare andare a giocare all’Old Trafford, seppur contro una squadra in crisi? Io non ci giurerei.
Dopo aver perso Napoli e Juventus nei gironi eliminatori, abbiamo lasciato per strada anche il Milan. Troppo improvvisata la rivoluzione di Seedorf, che diventerà anche un grande allenatore. Tra qualche anno. Oggi è un esordiente che rischia di bruciarsi in una società dove non si capisce chi fa cosa. Chissà se il buon Clarence non stia maledicendo la fretta. In fondo cosa gli costava declinare l’offerta di Galliani (o di Lady Berlusconi) e dire “tenete duro, arrivo a giugno?”
E cosa costava al Milan proseguire fino a fine stagione con Allegri, uno che il suo posto in Champions l’ha sempre raggiunto, e prendere in considerazione uno dei migliori allenatori italiani in circolazione: Roberto Donadoni. Il suo Parma non è un miracolo, è una squadra costruita con intelligenza. L’unica che punta su giocatori in grado di saltare l’uomo in un campionato dove giocano tutti in orizzontale. Sembra una banalità, ma non lo è. Sopratutto in Europa, dove se non giochi a calcio ti sbattono fuori senza complimenti.
Lo sa bene Mourinho, che elimina Mancini in una sfida oggettivamente impari. La sua dichiarazione – “Siamo tra le prime 8 d’Europa, in Champions, dove ai tifosi del Chelsea piace stare, non in Europa League” – è una cartolina all’Italia. Soprattutto al nemico Benitez reo, per il vate di Setubal, di aver dato troppo peso alla vittoria della coppa con c minuscola. Il quadro, in vista dei mondiali, è preoccupante. Ma, in onore del libro di Nick Hornby (uno che il calcio lo vive con ardore), non buttiamoci giù. Nel 1982 la Coppa dei Campioni andò all’Aston Villa. Del 2006 sappiamo tutto, scandali compresi, mentre nel 2010 ci presentammo da campioni d’Europa (anche se nell’Inter c’erano ben pochi italiani) e uscimmo dal Mondiale con la coda tra le gambe. Ciò che preoccupa semmai, sono i nostri talenti.
Balotelli è in crisi di identità, e non mi meraviglierei se chiedesse di essere ceduto all’estero a fine stagione. Al momento i nostri giocatori più rappresentativi sono ancora Buffon e Pirlo, anche se gli unici rappresentanti dell’Italia ai quarti di finale di Champions saranno Sirigu e, soprattutto, Verratti. Un giocatore che gode di grande considerazione all’estero, più di quanta ne abbia in Italia. Non buttiamoci giù perché di giocatori come lui ce ne sono, da crescere, e con un minimo di investimenti sul vivaio possiamo tornare a dire la nostra anche in nelle Coppe.
La Juventus, al netto dell’eliminazione crudele di quest’anno, è sulla buona strada. Il Napoli e la Roma stanno seguendo due percorsi differenti, ma coerenti. Come coerente appare l’idea di Thohir di puntare su un mix di giocatori già rodati e con un’esperienza internazionale e giovani italiani dall’ingaggio sostenibile. Nel calcio le cose cambiano in fretta, ma solo se lavori su un’idea precisa. Non è vero che l’Atletico Madrid è venuto fuori dal nulla. Simeone, bravissimo, lavora su un progetto iniziato 5 anni fa da Quique Sànchez Flores, che ha portato due Europa League e una Supercoppa Europea. Il percorso tortuoso del Bayern Monaco è passato da due finali perse, quello del PSG da una crescita lenta e dalla consapevolezza del maestro Ancelotti che ha lasciato a Blanc una squadra, non un’accozzaglia di campioni.
Insomma lecchiamoci i baffi in vista dei quarti di finale più belli degli ultimi anni. E lecchiamoci le ferite in vista di un Mondiale che dovrà vederci comunque da protagonisti. Con Buffon, Pirlo, De Rossi, Balotelli e magari Cassano. Siamo pur sempre l’Italia. Non buttiamoci giù.
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