Si potrebbe dire che accade in tutti i paesi del mondo, è forse è anche vero. Da quando la Champions League si chiamava Coppa dei Campioni e l’Europa League Coppa Uefa. Non credo alla favola del “succede solo in Italia” perché ho visto tifosi dell’Atletico Madrid festeggiare una sconfitta del Real e tifosi dello Shalke04 urlare di gioia per un gol preso dal Borussia Dortmund. Per cui, non diciamo ipocrisie: a tutti fa piacere vedere il nemico perdere. Agli italiani di più, sopratutto perché i vincenti si rendono immediatamente antipatici, sopratutto da quando esistono i social.
Un tempo di diceva che dopo una sconfitta nel derby non potevi più andare al bar perché avresti trovato qualcuno pronto a prenderti in giro fino al successivo scontro. Oggi non c’è più bisogno di uscire di casa, basta accedere ad un social network. Peccato che non siamo più vincenti. E nemmeno lontani parenti di quelle squadre che dominavano il mondo. La Roma che esce a testa altissima da Torino prende sette gol in casa dal Bayern, per la gioia degli juventini. Il giorno dopo la Juve perde in Grecia, per la gioia dei romanisti, degli interisti (sempre più tristi) e dei milanisti (non pervenuti).
Una settimana dopo, a campi invertiti, non cambia la situazione. La Juventus soffre, ma vince, qualcuno rosica, altri godono per il rigore sbagliato da Vidal all’ultimo minuto. Può essere più decisivo di quanto pensiate. Il punto però è un altro: in questo contesto sportivo, che eufemisticamente definirei disastroso, ha ancora senso gufare contro le squadre italiane? Cioè, io sono sempre stato un tirapiedi di proporzioni bibliche. Ho goduto per il gol di Bolì in Marsiglia – Milan, non vi racconto la gioia per quello di Mijatovic in Real Madrid – Juventus.
Sono cresciuto, da piccolo, con la cultura dell’anti italianismo nelle coppe. Mio padre, che veniva da un’altra generazione di tifosi, mi rimproverava: “Bisogna tifare per le italiane” diceva. Ma a scuola non era così, e dentro gli stadi nemmeno. Per dirla tutta nemmeno al catechismo. Quel genio di mia madre aveva scelto il mercoledì per me, ignorando la sacralità sportiva della giornata, e così tra un gloria al padre e una parabola (del figliol prodigo non di Roberto Baggio) ci ritrovavamo davanti ai televisori di un negozio di via Pasubio a guardare i mercoledì di coppa. E ad esultare per i gol degli avversari.
Che all’epoca erano pochi. Vedere il Milan o l’Inter perdere era cosa rarissima. Quando capitava si godeva. A volte capitava che in loro soccorso arrivava la nebbia di Belgrado o altre variabili climatiche. Non solo vinceva il Milan. Dominavano in Europa la Sampdoria e la Fiorentina. Persino l’Atalanta arrivava in semi-finale di Coppa delle Coppe. Per queste squadre si facevano delle eccezioni. Si tifava con simpatia per Nappi, Strömberg e Beppe Dossena.
Oggi è la Juventus la nostra Atalanta, e la Roma la nostra Sampdoria, con rispetto. Soffriamo e ci facciamo del male a vicenda augurandoci catastrofiche eliminazioni. Non è una questione di ranking, è un discorso molto più complesso. Per ritornare a guardare un campionato decente, che non offra spettacoli pietosi come l’attuale Inter di Mazzarri o partite di cartello come Chievo – Sassuolo, bisogna tornare a vincere in Europa, o quantomeno a dire qualcosa. La reazione della Juventus dopo lo svantaggio è una buona base. Di certo non accadrà nulla anche se inizieremo a tifare tutti per le italiane, ma cominciare a capire che il vento è cambiato e che avremmo bisogno almeno di una Europa League non sarebbe male.
Uno che ieri al rigore parato da Roberto a Vidal ha sorriso beffardamente.
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