Benvenuti nel secolo dell’esasperazione.
Quello in cui la ricerca alla perfezione giunge a livelli estremi fino a farci sentire sempre meno all’altezza. Certo è che la lotta al bello è un aspetto sociale intrinseco ad ogni era cui l’essere umano abbia mai appartenuto, ma oggi emerge particolarmente questa necessità di essere perfetti per essere accettati. Eppure guardandosi attorno – sì, è vero, la bellezza è soggettiva – si può tranquillamente affermare che siamo belli tutti ormai e in ognuna delle fasi evolutive del nostro corpo. Non si vedono più bambini in mise poco curate o costretti ad indossare occhiali dai vetri troppo spessi. È sparito perfino il mito dell’adolescente brutto anatroccolo che diventerà, poi, un fantastico cigno (le adolescenti di oggi sono più curate di me). Infine, s’invecchia meglio di quanto non si cresca: donne che hanno superato la soglia degli anta dai fisici che farebbero invidia ad una ragazzina di vent’anni, con la pelle perfetta e uno style impeccabile; mantengono vivo il proprio ego da famme fatale nonostante il lavoro, le gravidanze e gli anni che passano.

Da un lato tale evoluzione potrebbe somigliare di più ad un’involuzione di una specie che punta sempre di più all’apparire e sempre meno all’essere. Dall’altro, invece, questa cura del sé potrebbe essere letta come una conquista sociale e personale. A far pendere l’ago della bilancia da una parte piuttosto che dall’altra – come in tutte le cose – è l’eccesso. Sono i limiti che mancano e che, anzi, spingono sempre più oltre, data la mancanza di filtri che parte dalla base di ogni tendenza socio-culturale: la comunicazione.

“Il termine moda indica uno o più comportamenti collettivi con criteri mutevoli.
Questo termine è spesso correlato al modo di abbigliarsi. La moda – detta anche storicamente costume – nasce solo in parte dalla necessità umana correlata alla sopravvivenza di coprirsi con tessuti, pelli o materiali lavorati per essere indossati. In realtà l’abito assunse anche precise funzioni sociali, atte a distinguere le varie classi e le mansioni sacerdotali, amministrative e militari”

La moda viene spesso sottovalutata. E, soprattutto, a sottovalutarla sono coloro che hanno una qualche voce in capitolo proprio perché personaggi di tendenza. L’aspetto è pericoloso in quanto la moda altro non è che l’esternazione di fenomeni sociali: il modo più tangibile di comunicare. E, sebbene faccia tendenza classificare il fashion tra le categorie irrilevanti, bisognerebbe prestare particolare attenzione agli input lanciati di ognuno di questi aspetti che fanno leva sulla malattia del nostro secolo di appartenenza: la fragilità.

Negli ultimi giorni, ad esempio, abbiamo assistito a provocazioni social (e quindi sociali) di grande impatto provenienti dal mondo moda. Dallo scatto a scopo promozionale della nota Fashion Blogger italiana Chiara Biasi, che la ritrae a torso nudo e nel pieno di un’eccessiva magrezza, che trova spiegazione in una costola rotta, ad affermarlo la stessa Blogger che sui social si ritrova a dover placare gli animi degli innumerevoli followers che, tra chi le punta il dito contro e chi tenta di difenderla ed osannarla, hanno ormai perso di vista anche lo scopo reale della foto: quello di fare pubblicità ad una casa di moda. Magari qualcosa di eccessivo c’era davvero in quello scatto.

Credit Photo: Chiara Biasi
Credit Photo: Chiara Biasi

Fino al seno rifatto della futura fashion icons Chiara Nasti, che tenta di spopolare nel mondo moda, minorenne ma maggiorata grazie a mamma-chirurgia, caduta nel mirino della più seguita tra le opinioniste 2.0, Selvaggia Lucarelli, scatenando così un dibattito da milioni di utenti ed una sola certezza: a 17 anni si ricorrere alla chirurgia estetica.

Credit Photo: Selvaggia Lucarelli on Facebook
Credit Photo: Selvaggia Lucarelli on Facebook

Alla lista di cose da (non) fare pur di essere come loro, oggi si aggiungono le labbra alla Kyle Jennifer, sorellastra di Kim Kardashian, dalle labbra invidiabili fino al punto da dare vita ad un pericoloso gioco di tortura corporale la cui pena è quella di avere labbra livide per giorni, a patto che diventino prosperose per due ore, esattamente come quelle della diva del momento. Si tratta del #KylieJennerChallenge e consiste nell’infilare le labbra nel collo di una bottiglia, succhiando fino a far alterare la circolazione sanguigna (ricordo che le labbra sono una zona ricca di capillari e che questo gioco potrebbe portare seri effetti collaterali).

Credit photo: www.theglow.com.au
Credit photo: www.theglow.com.au

Tutto questo denota una labilità di pensiero impressionante.
Come spugne assorbiamo i segnali che il mondo esterno ci emana, quella parte di mondo apparentemente più affascinante, e cerchiamo la strada più semplice per raggiungerli. I passaggi sono brevi e diretti. Talmente tanto da far rientrare anche i più folli dei gesti nella nostra quotidianità. Quella bellezza che ci propinano senza filtri di pensiero sembra essere, tra l’altro, l’unica via di salvezza in un mondo in cui tutti siamo in vetrina. Così, a costo di raggiungerla, finiamo col portarne addosso i segni.

L’argomento trova le sue radici nella storia antica. All’alba della storia dell’umanità, quando l’uomo scopre il senso del pudore e della civilizzazione che trova la sua essenza nella necessità di coprire le proprie grazie con la nascita dell’intimo. La cui evoluzione ha – inevitabilmente – subito alterazioni di stile, forme e bisogni. La mia attenzione oggi si rivolge al Rinascimento che fa da testimone ad un capo che ha segnato la storia della bellezza femminile: il corsetto, o altrimenti detto “Gabbia di Venere”. Una vera e propria gabbia culturale che ha deformato e compromesso i corpi (e la salute) di innumerevoli donne, senza risparmiare talvolta i bambini che portavano in grembo. Eppure nell’antichità il corsetto era ritenuto un capo dal sapore di modernità e seduzione. Era il capo che conduceva verso la perfezione più assoluta per quelle donne che vivevano in un clima culturale rigido e di censura delle forme femminili, tutte. Il corsetto era la soluzione ad ogni tipo di sinuosità.

Credit Photo: www.voir.it
Credit Photo: www.voir.it

L’aspetto impressionante è che nonostante oggi siamo libere di scegliere, prediligiamo sempre la strada della costrizione dimostrando, quindi, che un’epoca liberale e democratica non ci ha condotte fuori da quella gabbia mentale lontana anni luce dalla concezione di emancipazione. Non siamo padrone del nostro corpo ma, anzi, continuiamo a fare delle imposizioni sociali la nostra più grande schiavitù, soprattutto perché oggi quelle imposizioni le creiamo noi stessi. Così continuiamo a trattenere i nostri corpi in abiti troppo stretti, i nostri seni in reggiseni dai laccetti troppo tirati, indossiamo cinture troppo piccole per i nostri fianchi, portiamo addosso i segni di una bellezza innaturale e che non ci appartiene, sfidando ogni limite. Ed è proprio su questo che si basa il progetto fotografico di Justin Bartels, un fotografo americano che si è domandato perché le donne scelgono tenute così scomode. Justin Bartels ha chiamato il suo progetto fotografico “Impresssion”, in nome della volontà di fare una buona impressione sugli altri che spinge le donne a sottoporsi a questa schiavitù, e in nome dei segni che questa chiusura mentale lascia impressi sui corpi delle donne.

[Fonte: Elle]