Nati nel 1999 da un progetto di Alessandro Piccioni, Giacomo Medici e Stefano Procaccini (che lascerà poi il gruppo nel 2005), gli Oloferne rappresentano una bella realtà del panorama folk rock italiano. Partiti dalle Marche, hanno catturato ben presto l’attenzione delle scene nazionali ed internazionali a suon di ballate medievali, folk rock e un pizzico di progressive.

Nel 2001 esce il loro primo album, omonimo, inizialmente autoprodotto e poi ristampato e distribuito dall’etichetta milanese Ethnoworld. Seguono diverse partecipazioni con ottimi risultati ai concorsi musicali rock più quotati d’Italia, come il premio Fabrizio de Andrè e l’Alma Rock Studiorum 2005 a Bologna. Vantano, inoltre, importanti esperienze professionali: dalle collaborazioni discografiche con la Gang dei Fratelli Severini e La Macina, all’apertura di concerti di artisti del calibro di Max Gazzè, Cisco dei Modena City Ramblers, The Gang, Roberto “Freak” Antoni, Aida Cooper e molti altri.

L’attività preferita degli Oloferne resta però il live, con tutta l’energia e le vibrazioni che trasmettono dal palco. Proprio come quelle che abbiamo recepito al Montelago Celtic Festival, dove li abbiamo incontrati tra atmosfere medievali e oltre 20mila persone accorse per l’evento di punta della musica celtica in Italia. Oltre ad Alessandro Piccioni (voce, basso e flauti) e Giacomo Medici (voce, chitarra e percussioni) la band è attualmente composta anche da Giuseppe Cardamone (violino), Marco Medici (batteria e percussioni), Paolo Sorci (chitarre) e Riccardo Trasselli (basso).

Gli Oloferne al Montelago Celtic Festival (photo credits: Fabio Stelluti)
Gli Oloferne al Montelago Celtic Festival (photo credits: Fabio Stelluti)

– Nel 2001 avete dato il via a questo progetto musicale. Un progetto costellato di folk rock, world music, con richiami alla cultura celtica e spunti di progressive. In che direzione sta andando la vostra musica?

La direzione che seguiamo musicalmente è esattamente una fusione dei generi che hai appena citato. Questo è il nostro manifesto poetico e musicale, la commistione di stili e la ricerca di un linguaggio che possa unirli sotto la stessa bandiera. Folk d’autore, progressive rock e world music sono comunque i termini che più ci identificano.

– Quali sono i modelli musicali a cui vi ispirate o che avete come punto di riferimento?

Credo che la forza del nostro gruppo sia proprio il fatto che ogni elemento porta i riferimenti e i modelli che ha seguito nella sua storia musicale. Senza dubbio, ascoltandoci, è facile trovare assonanze con i dischi dei Jethro Tull, Led Zeppelin, Pogues, Genesis, Mago de Oz e gruppi italiani quali Gang e Modena City Ramblers, formazioni con le quali ci è capitato di collaborare in passato.

– Avete portato la vostra musica in giro in tutta Italia e in alcuni palcoscenici e festival Internazionali, come ad esempio, il tour che vi ha visti protagonisti in Argentina in qualità di rappresentanti della cultura italiana. Pensate che la vostra musica abbia un respiro più local o global?

La nostra musica, almeno negli intenti che perseguiamo, si divide tra “le radici e le ali”, tra la tradizione alla quale apparteniamo ed un anelito verso un messaggio più universale. La buona musica è apprezzata in tutto il mondo e quando scriviamo canzoni certo speriamo che le nostre note e parole possano arrivare il più lontano possibile.

– Siete giunti al vostro quarto album. Dopo “Segno d’acqua” del 2008, lo scorso marzo è uscito “L’inferno dei Musici”. Cosa è cambiato in questi 6 anni?

È senza dubbio cambiata la qualità della proposta musicale e quella tecnica degli elementi. La formazione stessa ha subito mutazioni naturali, che ci hanno portato ad integrare elementi sempre di maggiore abilità tecnica, necessaria per i brani che stiamo scrivendo. Per il resto rimane la voglia di fare musica senza compromessi e che non debba per forza sottostare ai dettami di un mercato malato e massificato.

– “We have no heads” è il brano dell’ultimo album che trascina dal primo ascolto e lascia un segno graffiante. Da dove nasce?

È un brano dalle sonorità medievali e celtiche che da tempo eseguivamo. Abbiamo ritenuto che fosse adatto per aprire il disco e diventare simbolo della volontà di “lasciare un segno” con le nostre canzoni. Speriamo che più persone possibili possano vederlo, visto che lo stiamo promuovendo, e spero che questa piacevole intervista possa servire anche a quello.

– Avete avuto l’onore di aprire e chiudere il Montelago Celtic Festival. Che esperienza è stata per voi?

Montelago per noi è stato un punto di arrivo come band, essendo il più importante festival italiano di musica celtica. Personalmente siamo anche legati da un’amicizia nei confronti di Maurizio Serafini e Luciano Monceri, anime del festival, valore aggiunto, questo, della nostra partecipazione.

– Dopo Montelago quali sono i progetti in cantiere?

Per il futuro ci stiamo concentrando sulla promozione del disco “L’inferno dei musici”, che tra l’altro è acquistabile anche sulle migliori piattaforme digitali. Inoltre abbiamo una collaborazione in corso con l’etichetta Materiali Musicali, che speriamo dia i suoi frutti. Per i prossimi concerti invito tutti nostri fan e chi abbia voglia di avvicinarsi alla nostra musica a collegarsi al sito www.oloferne.com o alla nostra pagina facebook.

[Cover credits: Fabio Stelluti]