Partiamo da un presupposto: il premio non fa l’attore, tanto meno l’Oscar. Lo sa Nicolas Cage, che un Oscar l’ha vinto (1996, per Via da Las Vegas) e ciononostante è sempre rimasto Nicolas Cage. Lo sa soprattutto gente come Richard Burton, Peter O’Toole, Glenn Close o Albert Finney, che quella statuetta non l’ha mai stretta tra le mani e che tuttavia mantiene intatto il proprio peso specifico all’interno del grande romanzo del cinema. Leonardo DiCaprio, fino a poche ore fa, non era solo parte di quella frangia chiamata nei più svariati modi: da incompresi a snobbati, fino a magnifici perdenti. Prima di incastonare la propria immagine con l’Oscar tra le mani nella notte del Kodak Theatre, Leo era finito nel vortice di una maledizione sviluppatasi a macchia di social. Il trionfo di DiCaprio non è però solo la fine di un monotono tormentone sviluppatosi per dar sfogo alla nostra ansia da prestazione sui social, ma l’apice di un processo atto a dimostrare che le seconde occasioni esistono.

La seconda occasione, nel caso di Leonardo DiCaprio, ha un nome anche piuttosto ingombrante: Martin Scorsese, È il regista italoamericano che nel 2002 lo riprende, letteralmente, dai marciapiedi di Hollywood: la sbornia di Titanic porta il faccione di Leo sulle copertine di Cioè, così come su quasi tutti i diari delle ragazzine del mondo occidentale. Lo porta soprattutto in un vicolo cieco: in quel periodo fa parlare di sé più per le lodevoli iniziative benefiche (è lì che abbraccia la causa ambientalista, tutt’ora sostenuta) che per le performance sul grande schermo. All’alba del nuovo millennio, il venticinquenne DiCaprio rischia di diventare una sorta di casuale strascico di un successo senza precedenti (Titanic), una promessa non mantenuta: l’apparizione in Celebrity di Woody Allen (1998) – in un ruolo che rasenta la propria caricatura – è eloquente in tal senso.

In una scena de 'Il talento di Mr. Grape' insieme a Johnny Depp (Photo Credits: Sven Nykvist)
In una scena de ‘Il talento di Mr. Grape’ insieme a Johnny Depp (Photo Credits: Sven Nykvist)

Con lo sfortunato The beach di Danny Boyle Leonardo cerca di rimettersi in carreggiata ma la vera svolta arriva con la clamorosa doppietta del 2002: in Gangs of New York e Prova a prendermi si disimpegna alla grande sia in un contesto drammatico che in uno brillante, dimostrando di essere attore vero. Soprattutto, da lì ha inizio una collaborazione che diverrà proverbiale, quella con Scorsese: seguono infatti The Aviator, The Departed, Shutter Island e The Wolf of Wall Street. Al maestro newyorkese, che troverà in lui il nuovo De Niro, DiCaprio deve molto, ma non tutto.

Perché Leo riesce a fare di più, riuscendo a emanciparsi da Scorsese, dimostrando adattabilità e poliedricità, anche a livelli altissimi. E non pensate che sia facile per chi è nato con il viso d’angelo entrare nel mood tarantiniano interpretando una magnifica carogna (Calvin Candie in Django Unchained), in quello – al contrario – eastwoodiano (J. Edgar) o prendere di petto l’ultima sfida inarritiana, un concentrato di fisicità e dolore.

DiCaprio sul set di 'The Revenant' insieme ad Alejandro González Iñárritu e Tom Hardy (Photo Credits: Emmanuel Lubezki)
DiCaprio sul set di ‘The Revenant’ insieme ad Alejandro González Iñárritu e Tom Hardy (Photo Credits: Emmanuel Lubezki)

Chiariamoci: è possibile pure che mentre per tutto questo noi abbiamo invocato santi e santoni per fargli assegnare quella benedetta statuetta, lui se ne sia stato beatamente stravaccato da qualche parte a fregarsene. È vero che Leo stesso ha dichiarato che sarebbe difficilmente riuscito ad andare oltre la performance offerta in The Revenant (della serie: di più, nin zò), anche vero però che poco o nulla cambierà per il prosieguo della sua carriera, che è poi – a nostro opinabilissimo giudizio – ciò che dovrebbe contare davvero, andando oltre il mero riconoscimento. All’orizzonte i 42 anni e con margini di miglioramento ancora da colmare, la maturazione professionale di DiCaprio è raggiunta da un pezzo. È la star impegnata, l’intrattenitore di qualità, il successo senza svendita: Leo è il film all’anno che non devi perdere per nulla al mondo, la polizza assicurativa del cinema mainstream. No, è impossibile che dopo il catartico premio DiCaprio tradisca la sua politica.

Che l’Oscar sia arrivato proprio con The Revenant, magari è un caso, ma la suggestione che la scorsa notte, al Kodak Theatre, abbiamo assistito al trionfo di un redivivo – che rischiava la fine di una star Disney qualsiasi – rimane intatta. È una rinascita professionale quella a cui abbiamo assistito nell’ultimo quindicennio, che ha la stessa dinamica della seconda vita di Hugh Glass, il suo alter ego nell’opera di Iñárritu: una lunga e paziente risalita dall’abisso. Sei nella storia, Leo, e non da stanotte.