Un carillon d’apertura, quelle poche note che ognuno di noi nei primi mesi di vita ha avuto modo di ascoltare e lasciarsi cullare e poi l’inizio di una pubblicità sfacciatamente sessista. Una dolce musica, il miele, per poi somministrare l’amara medicina, quella del prodotto da vendere che in questo caso sono dei pannolini per bambini. Comunque la si metta, anche con Orazio di mezzo, la questione della pubblicità dei pannolini Huggies proprio non è gestibile da un punto di vista sociale. Perché? Perché subito dopo quel carillon, una bambina penserà a farsi bella e lui a fare goal.
Negli ultimi anni la pubblicità è sempre stata sulla cresta dell’onda del mondo mediatico per trovate più o meno geniali, per campagne di ottima qualità e anche per trovate decisamente poco decorose oppure irrispettose dei diritti di tutti. Non si parla solo di pubblicità ingannevoli, quelle che per vendere il prodotto stravolgono foto con Photoshop facendo sembrare una cinquantenne una scattante trentenne. Si parla di pubblicità che giocano sul macrocosmo culturale, sociale e contemporaneo che gravita intorno alla televisione o meglio ancora ai social network. Corpi che diventano manichini, immagini che ingannano l’occhio meno attento, vendendo qualsiasi cosa, anche un’idea.
Nello spot della Huggies infatti, in soli 30 secondi vengono raffigurati con tre semplici immagini, il mondo femminile da una parte e il mondo maschile dall’altra nel modo più semplice e leggermente anacronistico possibile. La bambina, chiaramente vestita di rosa che “cercherà tenerezza” mentre bacia una bambola quasi prendendosene cura come la mamma con un figlio; lui in cerca di avventure (in aeroplano o in altri campi?); “lei si farà correre dietro” come la più femmina di tutte e “lui ti cercherà”. A compiere il bel quadretto in stile anni ’50 lo slogan: “Così piccoli e già così diversi“. Lei la perfetta donna di casa che si prenderà cura della famiglia, lui quello che avrà una vita spensierata fatta di avventure. E vestito di blu.
Il messaggio che quelli della Huggies volevano mandare era che i loro pannolini sono creati appositamente per le loro diverse esigenze. Un fatto di assorbenza che però ha usato ben altri tipi di spiegazione, sibillini anzi no, piuttosto chiari. La pubblicità non è certo passata inosservata e infatti l’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria (IAP ovvero l’ente privato che regolamenta le comunicazioni commerciali per una “corretta informazione”) ha stabilito che lo spot della Huggies sui pannolini per bimba e bimbo, trasmesso su Rai e Mediaset nel giugno del 2015, ha violato due articoli del codice di autodisciplina della comunicazione commerciale. Era troppo evidente che lo spot sforzasse in questioni troppo ardue.
La parola che meglio spiega quello che va in onda in quei trenta secondi è: stereotipi. Confezionati, tracciati con altri stereotipi, l’uso del rosa e del blu per esempio. Nel comunicato della IAP si legge perfettamente quello che poi è deducibile dallo spot: “Le diverse necessità, a livello fisico, di raccolta della pipì per bambini e bambine vengono quindi estese ai desideri futuri dei protagonisti, inquadrati semplicisticamente e manifestati in stereotipi di genere”. Una bambina desidera farsi bella, cercare tenerezza e farsi corteggiare da un uomo, lo stesso che pensa alle avventure, alla vita nel mondo del calcio e al cercare donne. Due quadri piuttosto degradanti considerato che siamo nel 2015 e una donna è appena tornata dallo spazio.
La seconda parola che spiega l’indignazione che ha mosso le tante lamentele è la discriminazione di genere, quella appunto vietata nel codice di autodisciplina della comunicazione commerciale. Nello stesso comunicato si fa poi riferimento al fatto che ormai nella società contemporanea è andata delineandosi una coscienza più attenta e attiva proprio sulla dignità e sul rispetto. Viene da commentare che sia una fortuna anzi meglio, un traguardo. Vuol dire che le persone hanno iniziato a cambiare il loro metro di giudizio e proprio questo giudizio permette che pubblicità così evidentemente lesive dell’identità di genere, vengano attaccate e poi segnalate.
La terza parola per descrivere lo spot, la si trae sempre dal comunicato IAP che parla di “ostacoli per una società moderna e paritaria“. Un ostacolo, ecco di cosa si tratta nell’effettivo. Insomma si tratta di pannolini per bambini. La pubblicità non è certo indirizzata ai bambini, bensì ai genitori, a chi quei bambini li ha messi al mondo e li educherà per far si che entrino nella società, che studino, facciano esperienze e trovino la loro strada. Cosa si vuole comunicare in questo caso a quei genitori? Che la sua bambina sarà un’ottima massaia e che il suo bambino un ottimo goleador? E se quest’ultimo volesse fare il cuoco o il make-up artist? E se la bambina volesse iscriversi a calcio?
La questione dei limiti è sempre molto controversa. Fino a che si tratta di un’immagine di una modella, nessuno poi si indigna più di tanto salvo casi estremi come l’ultimo che risale alla Gran Bretagna: la Advertising Standards Authority ha cancellato la pubblicità, apparsa su Elle magazine, di una modella di Yves Saint Lauren ritenendola “irresponsabile” perché luce e posa della modella la facevano apparire morbosamente magra. Nella pubblicità dei pannolini Huggies i bambini appaiono morbosamente legati a un mondo che non c’è più, che è stato contaminato dal nuovo, dal futuro, dalla consapevolezza che discriminare è inutilmente lesivo e un’arma a doppio taglio. E per fortuna.
[Fonte Cover foto: fotogramma pubblicità Huggies]