Matteo Renzi è un leader carismatico che è riuscito nell’impresa di sdoganare la Sinistra italiana da quell’aria di eterna sconfitta, il cui peso si trascina da sempre, e darle quel tipo di guida forte capace di raccogliere consensi anche tra i delusi di centrodestra.
Di sicuro meriti di un Premier che ha avuto il coraggio di portare avanti l’idea di “rottamazione”, che non si è lasciato sconfortare dalle difficoltà iniziali e dalla sconfitta alle Primarie con Bersani, e che è riuscito a far quadrato attorno a sè, circondandosi di poche persone fidate e riuscendo a stravolgere ogni possibile pronostico, diventando prima Segretario del Pd, poi Premier e leader di un Partito al di sopra del 40% di consensi.
E allora dove sta il problema? Nella forte opposizione interna di Bersani, Civati e Fassina? Non credo, forse il problema in un contesto tanto surreale quanto realistico, sta invece negli elettori, i suoi elettori.
Il Paradosso di Matteo
Essere “renziano” vuol dire essere un elettore del Pd a favore della politica e della strategia di Renzi? Non necessariamente. L’identikit del renziano ha col tempo assunto un’accezione molto più ampia fino a identificarsi nell’immaginario di molti non con l’area democratica vicina al Premier, quanto con un elettorato distaccato dal Partito, disinteressato alle tessere, annoiato dall’idea di una partecipazione attiva sul territorio.
Critiche e riflessioni che per anni sono state rivolte agli elettori berlusconiani, attratti dalla fortissima leadership dell’ex cavaliere che però non si riconoscevano per forza in un partito. Si diceva che alle elezioni politiche Berlusconi fosse sempre favorito, mentre fosse naturale che molti suoi elettori non andassero a votare in occasione di amministrative e regionali.
Ecco questa è la sensazione che si ha oggi con Matteo Renzi; un politico che dà l’idea assoluta di non poter perdere in una competizione diretta con i suoi rivali politici, ma di non riuscire a radicarsi nelle realtà locali. Ampliare i voti aprendo a destra ha portato al 40% ma in molti iniziano a chiedersi a cosa potrebbe portare invece alle prossime elezioni regionali in Emilia- Romagna e Calabria ( dopo lo scandalo Richetti in Emilia- Romagna ha trionfato alle primarie Bonaccini, anch’egli renziano ma appoggiato da buona parte della sinistra del partito, in Calabria il renziano Callipo è uscito sconfitto nonostante fosse dato per favorito ).
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Due Pd, due elettorati
Così il Pd nazionale, quello in cui “mette la faccia Renzi”, vola nei sondaggi nonostante un apparente maggioranza parlamentare di correnti antagoniste al Premier, vota quasi sempre compatto, e nelle riunioni alla fine i tanti malcontenti non sembrano all’improvviso così gravi come descritti dai giornali e non portano comunque ad una scissione.
Poi c’è il Pd sul territorio, quello dei circoli, delle tradizioni democristiana e comunista, dei politici delle varie correnti capaci di spostare parecchi voti, della preferenza data alla persona e non al partito. Là non c’è storia, Renzi non è stato ancora capace, o forse non lo ha nemmeno voluto, di avere fedelissimi a livello locale che riuscissero a organizzarsi. I pochi politici davvero vicini a Renzi o sono impegnati nella compagine governativa, o si sono rivelati incapaci di competere con l’esperienza e l’abilità politica dei colleghi di partito di area bersaniana, lettiana o d’alemiana.
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La soluzione?
Fa un po’ ridere il dover cercare una “soluzione” per un partito che ha il 40% di consensi.
Fondamentalmente il tesseramento andato molto male è un segnale importante non solo da parte di quelli che vogliono ribadire chi davvero conta a livello locale, ma anche del fatto che non interessa più di tanto al nuovo elettore renziano il far parte di una comunità politica. In fin dei conti non è raro in giro per il web incontrare gente che orgogliosamente dichiara di voler votare Renzi ma di dare il proprio voto a Fi o Ncd in occasione di altro genere di elezioni.
La soluzione allora? Dipenderà molto dalla nuova legge elettorale ( in particolare dalla presenza o meno delle preferenze ), e soprattutto dalla voglia di farsi sentire di quei renziani orgogliosamente democratici, che sembrano avere smarrito la propria identità per rincorrere una più facile strada disfattista verso l’idea stessa di partito e verso la speranza di poterlo migliorare con il proprio entusiasmo.
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