Un tunnel buio, di cui non si vede ancora la luce alla fine, un orizzonte impercettibile. Una situazione di ristagno collettivo, nella speranza di percepire un giorno un accenno di miglioramento nella propria situazione personale. A caratteri generali, è questo il clima che si respira in Italia, all’interno della morsa della recessione economica che attanaglia i cittadini italiani, molti dei quali in serie difficoltà. Secondo i dati dell’outlook Confcommercio-Censis sul primo semestre 2014, otto famiglie su dieci vivono una sensazione di precarietà e instabilità e solo una su cinque ritiene invece di essere in una situazione di solidità. Rispetto a tre anni fa, in generale, una leggera maggioranza (53,4%) ritiene che il proprio bilancio economico familiare sia rimasto sostanzialmente stabile. Fra questi, soltanto meno di un decimo (8,7%) l’ha visto aumentare. Per il 46,6%, invece, il reddito mensile disponibile in famiglia è diminuito. C’è comunque un leggero miglioramento del clima di fiducia, poiché il 66% del campione ritiene che il Governo sia in grado di far superare al paese la lunga fase di crisi economica.
Una percentuale ottimista? Non proprio, perché nonostante i piccoli segnali di ripresa, il tasso di disoccupazione resta sempre alto. Se da una parte si evince un generale pessimismo a causa dell’incertezza e del disincanto, dovuto anche alle mancate promesse che in tempi di crisi vengono mandate giù come pillole, ma a occhi chiusi, dall’altra gli italiani vivono all’insegna di un sentimento collettivo, che accomuna una buona parte della popolazione, ossia quello dell’attendismo. È questo il sentimento generale degli italiani che emerge dall’ultima rilevazione dell’indagine LaST (Community Media Research in collaborazione con Intesa Sanpaolo, per La Stampa).
Dopo sei anni, si guarda al futuro con un po’ di speranza in attesa dell’evolversi degli eventi, ma l’atteggiamento rimane uno di disincantato, desiderosi di un miglioramento, in attesa di qualcuno che prenda le redini del Paese e lo risollevi, rimettendolo in careggiata. C’è chi parla di una tendenza da parte degli italiani di adattarsi alle difficoltà, in parte vero: c’è chi si adatta emigrando, cercando all’estero la possibilità di migliorare la propria condizione e chi, in assenza di alternative, sceglie di subire passivamente la situazione presente. “Il protrarsi della crisi, la mancanza di lavoro, il peso delle tasse”, evidenzia l’outlook Confcommercio-Censis su consumi e clima di fiducia per il primo semestre 2014, “continuano ad alimentare lo stato di forte difficoltà in cui si trovano le famiglie italiane che, rispetto alla propria situazione economica e alla propria capacità di spesa, avvertono nella maggior parte dei casi – quasi l’80% – una sensazione di precarietà e instabilità.”
Ed è proprio la situazione precaria, conseguenza della regressione economica che ha immerso gli italiani in un clima di grande instabilità, a rendere scettico e insicuro persino il loro desiderio di mettere su famiglia. Infatti, l’aspetto più preoccupante è che questa indeterminatezza proiettata sul futuro si riversa proprio sulla sfera personale e su quella familiare. Formare una famiglia si dimostra una responsabilità troppo grande e una scelta che non si presenta più come una naturale, ma come una da decidere e posticipare in attesa di tempi migliori. Gli italiani si mostrano quindi attendisti anche per quanto riguarda l’arrivo di un figlio. La crisi ha generato indirettamente un nuovo tipo di famiglia, che deve sottostare a nuove restrizioni e difficoltà sancite da una reazione di eventi e situazioni che si rovesciano a catena sulla popolazione.
Secondo le coppie italiane, l’età giusta e più adatta attualmente per diventare genitori è dopo i 35 anni. A dirlo non sono soltanto i dati dell’Istat, ma anche veri campioni intervistati dal Censis. Una scelta non voluta, poiché nonostante si ritardi sempre di più rispetto al passato, diventare genitori resta tutt’ora un aspetto cruciale della realizzazione individuale e di coppia. Ma in assenza di lavoro, la famiglia deve attendere, accantonata in un angolo, nella speranza di poterla ritoccare con mano salda e stabile. Si rimane quindi in un clima di speranza dormiente, in attesa che quella luce alla fine del tunnel si manifesti e che non sia un treno in arrivo, ma l’uscita da un periodo decisamente nero.