Credits | Andrea Savoia

Mette d’accordo tutti a tavola. C’è chi la preferisce più cotta, chi cerca quella con farina integrale, chi dice “no, io solo margherita”, ma un dato è certo: il gusto della pizza è universale, unisce tradizioni lontane, culture gastronomiche diametralmente opposte.
Un piatto semplice, che nei secoli ha visto l’arte sposarsi con sapori genuini, reiventandosi, ma mai perdendo le sue radici. E così la pizza è pronta ad affrontare una delle prove più importanti, quella che la vede impegnata per ottenere un riconoscimento ambito e al tempo stesso prestigioso: essere iscritta nel patrimonio mondiale dell’umanità Unesco.
Dopo aver avuto l’attestazione di Specialità tradizionale garantita dall’Unione Europea, nel 2010, il 4 marzo scorso la Commissione nazionale italiana per l’Unesco, su proposta del Ministero dell’Agricoltura e con il sostegno del Ministero degli Esteri, dell’Università, dell’Ambiente, dell’Economia ha deciso all’unanimità che fosse l’arte dei pizzaiuoli napoletani l’unica candidata italiana. Una scelta che deriva dal peso che ha assunto la pizza, simbolo di un made in Italy che non conosce crisi, rappresentante di un settore in forte espansione.
L’arte dei pizzaiuoli ha svolto una funzione di riscatto sociale, elemento identitario di un popolo, non solo quello napoletano, ma quello dell’Italia. È un marchio di italianità nel mondo“. Recitava così il parere della commissione designatrice, che spazzava via tutti i dubbi dall’eventualità che gli americani potessero candidare la loro pizza, di ispirazione italiana, ma lontana anni luce dal prodotto originario.
Subito si è innescato il tam-tam popolare per il momento decisivo: erano necessarie un milione di firme per la petizione a sostegno della candidatura dell’arte dei pizzaiuoli napoletani. Il risultato (ben oltre le aspettative) è stato presentato a Parigi nella sede mondiale dell’Unesco, dopo aver ricevuto il sostegno di istituzioni, intellettuali, organizzazioni che hanno voluto fare sentire la propria voce.
Ora inizia la fase più importante, ci sarà un lungo negoziato che coinvolgerà oltre 200 paesi; la valutazione finale arriverà nel 2017, da parte dell’Unesco.

Per questa Food experience non potevamo che confrontarci sul tema con uno dei nomi più importanti del mondo della pizza, Gino Sorbillo.

Credits | Andrea Savoia

Gino, che cosa rappresenta questo primo traguardo per il settore?

Secondo me rappresenta un punto di arrivo, ma anche un grandissimo punto di partenza, per l’intera categoria di pizzaiuoli sparsi per il mondo, perché non dimentichiamoci che sono più quelli che si trovano in giro per il mondo che quelli che si trovano a Napoli. Credo che sia un’occasione di slancio per fare meglio. Noi cerchiamo di dimostrare ogni giorno che con la pizza napoletana si può lavorare ancora molto, non bisogna mai fermarsi, mai arrendersi, bisogna rinnovarsi.
Cerchiamo di solleticare la fantasia delle persone, di giovani, bambini andando incontro alle nuove esigenze. Penso alle intolleranze, ai nuovi gusti alimentari.
Bisogna rendere la pizza contemporanea.

Ci indichi almeno tra motivi per cui secondo te la pizza meriterebbe tale riconoscimento?

Il primo motivo è che la nostra scuola di pizza ha fatto scuola in tutto il mondo, è alla base di tanti prodotti di panificazione che si sono evoluti.
La storia nasce da qui e questo riconoscimento culturale è più che dovuto; ancora, noi facciamo rete con la pizza sul territorio, raccontiamo la storia delle persone, che dai campi, dalle montagne producono quegli ingredienti che attraverso la pizza si fanno conoscere. Non abbiamo solo la responsabilità dell’impasto, attraverso la pizza siamo in grado di raccontare chi ha fatto l’olio, chi il pomodoro, chi la mozzarella.
Come ultimo motivo dico che meritiamo questo riconoscimento perché bisogna onorare le persone che hanno vissuto prima di noi e hanno fatto grande la pizza; onoriamo il lavoro delle generazioni precedenti, nonni, genitori, zii, attribuendo la giusta paternità a chi lo merita, e che non sia tolto questo riconoscimento dall’America, come si vociferava.

A questo proposito, fino all’ultimo minuto c’è stata una lotta con la pizza americana…

Io sono un po’ amareggiato. Non siamo riusciti a tutelare il termine pizza, e tutto il mondo lo usa anche per altro. E questa parola dà un valore aggiunto notevole a prodotti che non lo meritano, noi siamo danneggiati da questo. Gli americani volevano far credere che questa specialità fosse della loro cultura, dietro un pericolo del genere ci siamo mobilitati anche grazie ai social, facendo valere il prodotto della cultura del nostro territorio.

Sorbillo oramai è sinonimo di Made in Italy. Sei riuscito a portare l’arte della tua pizza oltre Napoli e oltre confine, che cosa stai imparando?

Io sto imparando che siamo molto temuti e che ci sono ostacoli per il comparto pizza napoletana; molte persone, anche in Italia, dove ci sono varie correnti di pizza, vedono la forza, la maestria, la predisposizione come un pericolo. È incredibile come anche in eventi gourmet, se c’è la pizza riesce sempre a riscuotere un grande successo, diventando protagonista.

Marzo 2017, facciamo un salto avanti nel tempo e immaginiamo che arrivi il parere favorevole. Cosa potrebbe cambiare nel settore?

Io credo che porterà più attenzione sia tra gli addetti ai lavori sia tra i clienti che cercheranno di capire cosa hanno davanti; non compreranno qualsiasi cosa chiamata pizza. Ci sarà sempre più consapevolezza, le persone vogliono capire quale uomo o donna c’è dietro la pizza, quale anima, sensibilità, cultura, storia.

Ti stai spendendo in prima persone per il comparto pizza e sei stato uno dei volti più social dell’ultima campagna. Quali sono i tuoi progetti imminenti?

Sto aprendo un nuovo punto di pizza fritta a Milano, “Zia Esterina”, portando avanti un’antica tradizione prima dimenticata. E poi il 15 settembre sarà la volta di New York con la pizzeria “Sorbillo”. Io non faccio altro che portare in giro per il mondo questa cultura, questa storia di forza e coraggio; noi ora abbiamo i social, i blog, il web, ma vent’anni fa tutto questo non esisteva. Eravamo pazzi sognatori che pensavano un giorno di realizzare tutto questo. Io volevo riscattare la mia famiglia, che veniva da una zona difficile di Napoli, Via Tribunali. Oggi posso dire di esserci riuscito, ma soprattutto con la mia energia sono riuscito a contaminare la categoria, c’è un bellissimo movimento in tutto il comparto.