A Brasile 2014 l’Argentina è tornata, l’Olanda ha risposto presente e la Germania ha recitato la solita parte fino in fondo.
Ma se ci si augurava che tutte le Grandi del Mondo finalmente si ritrovassero insieme al Mondiale dei Mondiali, pronte a regalare spettacolo, emozioni e partite da tramandare ai posteri, così non è stato.
A questo appuntamento con la storia sono mancate nientemeno che Brasile e Italia: nove titoli mondiali e due filosofie calcistiche vincenti.
I verdeoro hanno subito un’incancellabile umiliazione dalla Germania e hanno rimediato una figuraccia contro l’Olanda; gli Azzurri sono stati irriconoscibili e non hanno raggiunto nemmeno gli ottavi.
Anche se per ragioni diverse, dietro a queste disfatte c’è una verità inconfutabile: Brasile e Italia non sono state ‘squadra’.
Scolari ha dovuto fare i conti con una carenza di talenti senza precedenti nel calcio brasiliano. In attacco, fatta eccezione per il giovane Neymar, ha proposto giocatori di scarso spessore tecnico e con poca esperienza internazionale.
Il centrocampo, più abile in fase di interdizione che in fase propositiva, è apparso in balia di una confusione tattica senza precedenti, ha evidenziato tutti i limiti di Fred e soci e non ha aiutato un reparto difensivo sulla carta di primissimo livello.
Julio Cesar, Maicon, Dani Alves, Thiago Silva, David Luiz, Dante, Marcelo e Maxwell sono i componenti della difesa più perforata del Mondiale: 14 gol subiti, record negativo per i verdeoro.
Qui stanno le colpe maggiori di Scolari, incapace di dare un equilibrio ai suoi: terzini spesso al di sopra della linea della palla, squadra lunga, reparti scollegati e mancanza di un’idea di gioco ben precisa. Il Brasile è arrivato in semifinale trascinato dal pubblico e dalla voglia di vincere, ma è naufragato alla prima vera difficoltà incontrata. Il crollo mentale contro la Germania è l’esempio eclatante di una formazione che non sa come reagire, che non sa da dove cominciare per provare a ribaltare il risultato. Il castello di nervi su cui si è retto il Brasile si è disintegrato in un battibaleno al gol di Muller. E questo non è essere una squadra.
Sorte simile ha avuto l’Italia di Prandelli, uscita in malo modo, senza lottare e tirando appena quattro volte in porta in 270 minuti. Raccapricciante.
Agli Azzurri, fermo restando le evidenti lacune tecniche, è mancato il carattere. E’ inconcepibile affrontare un Mondiale ai ritmi mostrati dall’Italia.
Prandelli ha tentato di proporre un gioco basato sul possesso palla, senza incontristi a centrocampo, rinunciando al contropiede e ad un vero centravanti: i risultati sono stati pessimi. Il cambio di modulo contro l’Uruguay (dal 4-3-3 al 3-5-2) è la dimostrazione lampante delle incertezze tattiche che ci hanno accompagnato in tutta la competizione. L’ormai ex ct, con questa mossa, ha dato la sensazione di non saper più che pesci pigliare. Inoltre non ha saputo creare un gruppo coeso, tant’è che alla prima difficoltà sono usciti allo scoperto tutti i malumori dello spogliatoio. Difficile arrivare lontano senza grandi campioni, impossibile quando non c’è complicità ed empatia tra i giocatori.
Gli Azzurri hanno deluso tecnicamente ed umanamente.
Se è vero che l’arte di vincere la si impara nelle sconfitte, Italia e Brasile dovranno far tesoro degli errori commessi e ripartire da zero.
Il calcio ha bisogno di queste due protagoniste.
Al più presto.