Da qualche giorno gira su tutto il web un video con un forte impatto emotivo. È un cortometraggio girato ad Amsterdam, nel Red Light District, e le donne in vetrina – prostitute – iniziano a ballare, non per adescare più clienti, ma per lanciare un potente annuncio per la campagna di sensibilizzazione contro il commercio illegale di donne.
Ecco il video.
Questo è un argomento di cui si parla sempre meno, ma allo stesso tempo è un problema davvero attuale in tutto il mondo: uomini, donne e bambini sono vittime della tratta disumana che li ruba alle loro radici più profonde per portarli, senza possibilità di replica, al di fuori dei confini nazionali. Le persone vengono comprate e vendute come oggetti – siano essi oggetti di bellezza o d’arredamento – a scopo di impegnarli in lavori forzati, servitù domestica o criminalità di strada. Il destino delle donne poi è segnato dal continuo sfruttamento sessuale.
Essendo la tratta un crimine punibile con il carcere, allora viene portata avanti illegalmente, ed è per questo preciso motivo che non sono disponibili statistiche esaustive ed attendibili. Tuttavia una ricerca recente sulla tratta internazionale di donne negli Stati Uniti, fornita del Center for the Study of Intelligence, ha indicato approssimativamente che ogni anno sono circa 45.000-50.000 le donne e i bambini vittime del commercio di persone verso gli USA – sì, proprio quello che dovrebbe essere il modello di Stato occidentale a cui si ispirano molti altri paesi.
Ma questi dati raccapriccianti non si fermano qua: la Coalizione Asiatica contro la tratta di donne stima che negli ultimi 10 anni 200.000 donne del Bangladesh sono state vittime di commercio illegale verso il Pakistan, fenomeno che prosegue con un tasso di 200-400 donne al mese. In Thailandia, da 20.000 a 30.000 donne birmane lavorano come prostitute, dopo essere state adescate e ingannate con falsi contratti di lavoro, e in Australia – secondo almeno 10 agenzie investigative internazionali – ogni anno vengono fatte arrivare 300 donne tailandesi vittime di tratta a scopo prostituzione. Poi ancora: una ricerca dell’OIM presenta dati che suggeriscono che il numero di donne vittime di tratta dall’Europa orientale e centrale verso l’Europa occidentale sia aumentato esponenzialmente nel corso degli anni ’90, soprattutto nei paesi come Austria, Germania, Grecia, Paesi Bassi, Spagna e Svizzera.
Anche l’Italia è nella lista degli stati che commercia quotidianamente donne allo scopo di vendere il loro copro per fini intimi e sessuali: il Parsec, che studia l’argomento almeno dalla metà degli anni ’90 e che gode di reputazione internazionale, stima da un minimo di 17.000 ad un massimo di 25.000 sex workers straniere solamente in strada, di cui il 37% è arrivato in Italia da minorenne. E, manco a dirlo, la maggior parte di queste donne non è prostituta per libera scelta: dai dati disponibili, che risalgono al 2008, risulta che le donne trafficate – quindi ridotte in schiavitù – in Italia, erano tra le 19.000 e le 24.000 ogni anno.
La maggior parte delle donne costrette a prostituirsi è di nazionalità Nigeriana, subito dopo ci sono donne rumene e albanesi. Le sex workers italiane di nascita, sono invece tra le 7.000 e le 8.000 su tutto il territorio nazionale, sia al chiuso, quindi in case-appartamenti (quasi tutte) che in strada (pochissime).
Qualsiasi di queste donne commerciate è sottoposta a un sistema di “cessione” simile: i compratori che devono scegliere guardano le donne, le guardano bene prima di comprarle. Le toccano. E se piacciono ai compratori, il prossimo passaggio è la vendita a persone che lavorano nei circuiti di prostituzione. Quindi, i compratori, prima di scegliere, di pagare e comprare una donna, devono essere sicuri, e compiono attente valutazioni con cognizione di causa. Questo commercio si accompagna spesso ad azioni di violenza, più o meno gravi.
Le vendite avvengono solitamente in alberghi, o in appartamenti isolati, e somigliano molto alle vendite all’asta: le donne sono vendute a prezzi diversi, stabiliti in base alla lunghezza del viaggio, all’età, alla bellezza e alla grazia, al carattere e alle presunte capacità di adattamento.
Questo brutale sistema di vendite è sicuramente vantaggioso per i trafficanti, perché permette loro di guadagnare il massimo possibile da ciascuna ragazza, potendola anche rivendere svariate volte. Il meccanismo è perverso, perché a ogni passaggio di proprietà il prezzo delle donna-prostituta aumenta, e automaticamente aumenta il suo personale debito con lo sfruttatore che le compra – perché la regola fondamentale per queste tratte illegali è che la ragazza risarcisca il proprio “padrone” dei soldi che questi ha speso per averla.
La persuasione da parte dei “padroni”, per far piegare le donne alla prostituzione, avviene con le buone maniere o con brutali violenze, con l’aiuto di stupri ripetuti, stupri collettivi e percosse. È diffusa anche la pratica del terrorismo psicologico: gli avventori spessp fotografano e filmano le ragazze mentre subiscono le peggiori violenze, minacciandole di far arrivare una copia a casa.
L’ultimo atto di vendita altro non è che l’ammontare del debito che la donna deve restituire al suo “padrone”, che l’ha “salvata” dalla sua situazione di origine nel suo paese. Una volta giunta a destinazione la futura donna commerciata deve iniziare il suo lavoro per assolvere così l’obbligo a cui è legata: la somma pagata per acquistarla, il prezzo dei documenti falsi procurati dall’avventore e il prezzo del viaggio.
Dati raccapriccianti e racconti da brividi questi. Il nostro XXI secolo sembra, per certi aspetti, facilmente paragonabile al 1.600, 1.700: si sono persi – o forse non sono mai pervenuti – valori come il rispetto dell’altro e la dignità dell’essere umano stesso. Perché se c’è così tanta offerta, allora vuol dire che c’è anche tanta richiesta.
Il fenomeno è imponente, coinvolge la criminalità organizzata a livello internazionale e rappresenta un mercato criminale molto florido. Il problema è che c’è un sostanziale disinteresse della classe politica e dei vertici dello stato: la prostituzione e il commercio di donne è un problema che finisce troppo spesso nel dimenticatoio.
Soltanto da pochi gironi a Roma si sta parlando di regolamentare la prostituzione: il comune intende valutare l’ipotesi di istituire “aree a luci rosse” per cercare di riacquistare un minimo di controllo sul territorio. Si tratta di un tentativo di soluzione proposto da una porzione di Roma, il Municipio IX, una delle aree della capitale più colpite dal fenomeno della prostituzione. Dal punto di vista operativo si dovrebbe identificare una zona dove le prostitute possano incontrarsi con i loro clienti e dove le forze dell’ordine e le unità sanitarie abbiano la possibilità di vigilare sul rispetto dei principi dell’ordinanza. Un’utopia? Staremo a vedere.
Ma la verità è che comunque a livello nazionale non si muove nulla, si parla di case chiuse, di legalizzare la prostituzione e abolire il commercio delle donne, però ciò che dilaga per le strade di tutte le città non è altro che disattenzione, degrado, indifferenza per le donne troppo spesso vittime di tratte commerciali illegali. È su questo si dovrebbero accendere i riflettori.
[Credit dati: stopthetraffik.org, ilfattoquotidiano.it, dirittiumani.donne.aidos.it; Credit Cover: pinkroma.it]