Tutti ci caschiamo. Perché lo smartphone assorbe tempi e spazi, quelli di lavoro, quelli liberi, quelli con il proprio partner. Persino quelli che impieghiamo per camminare, per viaggiare. Lo sguardo cade sempre lì, sullo schermo, anche quando non c’è nessuna notifica preferiamo controllare se per caso ci è sfuggita, tanto mal che vada approfittiamo per vedere le email o fare un giro su Facebook, qualcosa di nuovo c’è sempre.
Ma ci chiediamo quel tempo, quello spazio che forma assumerebbero, se non ci fossero gli smartphone?
O meglio: cosa ci perdiamo del mondo lì fuori? Una risposta prova a darla il collettivo Lele Marcojanni, che attraverso grafica, video e scrittura realizza progetti narrativi. Questa volta lo sguardo l’hanno rivolto agli smartphone dipendenti in un suggestivo foto progetto “Ieri ho fotografato con lo smartphone, quattro persone con lo smartphone“. Ne abbiamo parlato con Flavio Perazzini/Lele Marcojanni.

Quattro ragazzi seduti a bordo di un treno, in attesa di ripartire: ognuno di loro ha gli occhi posati sullo smartphone.
Questa la scena che dà inizio al vostro progetto: ci raccontate dopo cosa succede?

Dopo succede che anche io (F.P.) prendo il mio smartphone, ma ci guardo dentro per vedere loro e scatto una foto, per altro male.

Com’è nata l’idea?

Questa è una domanda che non ha mai risposta. L’idea solitamente non nasce in un preciso istante, ma in un insieme di piccole pulsioni. È tutto molto immediato comunque, solitamente l’elaborazione dell’intuizione può diventare invece più complessa. Ma qui stiamo parlando pur sempre di una cosa piccolissima, una prova per un progetto di micro riscritture della realtà a cui stiamo lavorando.

Nei vostri scatti riportate l’attenzione al mondo fuori dal finestrino, tra parodie e caricature della realtà.
Da Baggio a E.T., dalla decapitazione per mano dell’Isis, ad immagini di guerra: che messaggio avete voluto dare? E perché attingete a episodi del passato?

Del passato e del presente, non importa, purché siano iconici. Ho scelto immagini del mio personale immaginario collettivo, che coincide spesso con quello di tutti, infatti è collettivo.
Solitamente rielaboriamo la realtà che ci circonda, contaminandola, e ricreandola. Così facendo diventa altro, cioè quello che vedete.

Troppe cose ci perdiamo della realtà quando siamo catturati dai social, ma quali sono secondo voi le tre che in assoluto ci sfuggono?

Non sappiamo se sono tre, un milione, oppure nessuna ma sappiamo che “Dopo aver chiesto ai vostri figli com’è andata a scuola chiedetegli anche com’è andata su Facebook” (Cit. tweet di @gba mm).
La realtà e la sua complessità non ci sfugge perché la guardiamo filtrata attraverso i social network, ci sfugge e basta. Non è una provocazione sull’abuso di internet e sulle continue connessioni virtuali, è una provocazione al nostro buon senso, perché non è buono.

Il collettivo Lele Marcojanni, con gli scatti di Flavio Perazzini, firma questo progetto. Alle spalle, un gruppo di giovani bolognesi che con ingegno e creatività racconta storie, giocando con la realtà.
Vi presentate ai nostri lettori? Quali sono le vostre fonti di ispirazione?

Lele Marcojanni è composto da Elena Mattioli e Flavio Perazzini, autori visivi e registi, e Roberto Mezzano, visual designer.
Lavoriamo soprattutto attraverso il video, la grafica e la scrittura. Realizziamo progetti di narrazione estesa, di volta in volta, declinati in modalità differenti. Siamo attenti ai linguaggi perché sono la forma per veicolare le idee.

Le nostre fonti di ispirazione sono diverse e disparate, come per tutti.
Da quel tipo che vende carne sotto casa a Cesare Zavattini.

[Credit Photo Cover: Lele Marcojanni]