In una scena di Accadde una notte, capolavoro del 1934 con cui Frank Capra dà il proprio contributo al New Deal rooseveltiano, la protagonista, la viziata e ribelle Ellie Andrews interpretata dalla deliziosa (e premiata con l’Oscar) Claudette Colbert, mostra la propria gamba agli automobilisti al fine di rimediare un passaggio in autostop. Quella stessa scena, quasi mezzo secolo dopo, la rivedremo in un altro film, La moglie in vacanza…l’amante in città: il regista stavolta è Sergio Martino, uno degli artigiani più longevi e produttivi del nostro cinema; la donna è Barbara Bouchet, una delle maggiori rappresentanti di un sottogenere nato negli anni ’70 e ancora oggi oggetto di riscoperta da parte di addetti ai lavori e profani: la commedia sexy all’italiana. Non è una caso che il film di Martino citi l’archetipo della screwball comedy: sin dai primordi del genere, anche quando il mondo non era pronto per un certo tipo di impatto visivo e carnale, la donna che ammicca, estremamente conscia del proprio potere, è già un tòpos.

È invece nella seconda parte degli anni ’60 che il pubblico italiano riscopre il corpo, in perfetta simbiosi tra l’altro con l’evoluzione vagamente post-sessantottina del concetto di pudore. Il recupero avviene poi dapprima mediante un sottogenere, il cosiddetto decamerotico, che riprende e riadatta Boccaccio amplificandone il lato goliardico e scollacciato e reprimendo quello letterario. La spinta decisiva per l’instaurazione di un filone che poi ne conterrà a sua volta molti altri, la danno alcuni modelli internazionali, non necessariamente relativi alla commedia: se il Mondo Topless di Russ Meyer non fosse mai arrivato da noi, probabilmente Barbara o Edwige le avremmo viste sullo schermo con qualche anno di ritardo.

Edwige Fenech in 'L'insegnante va in collegio' (1978, Credits: Medusa Film)
Edwige Fenech in ‘L’insegnante va in collegio’ (1978, Credits: Medusa Film)

In ogni caso, gli italiani dell’epoca possiedono un immaginario erotico precisamente costituito: lo rappresenta senza timor di smentita una Sophia Loren irresistibilmente iconica nello spogliarello offerto a Marcello Mastroianni in Ieri, oggi, domani. Il grande balzo in avanti si ha nel 1971, quando Pasquale Festa Campanile dirige Il merlo maschio, gustosa presa in giro del machismo rappresentato all’epoca dal siculo Lando Buzzanca, violoncellista che va fuori di testa per la moglie, che ha le sembianze della divina Laura Antonelli. Nasce dunque la commedia sexy, ma sempre all’italiana. I registi non si chiamano più Vittorio De Sica, Pietro Germi, Luciano Salce o Mario Monicelli ma Mariano Laurenti, Nando Cicero e Michele Massimo Tarantini, tanto per citarne alcuni.

A metà degli anni ’70 la commedia sexy è già un business e il biennio cruciale è il 1975-1976: escono infatti L’insegnante (Edwige Fenech), La liceale (Gloria Guida), L’infermiera (Ursula Andress), La professoressa di lingue (Femi Benussi) e La professoressa di scienze naturali (Lilli Carati), capostipiti di sotto-filoni, che identificheranno le giovani protagoniste con le maschere erotiche su cui si reggono le pellicole. La figura della donna, ormai considerata centrale e indispensabile nel soggetto e nello sviluppo di ogni opera del genere, incarna alla perfezione l’oggetto del desiderio di un’Italia ancora democristiana ma reduce dal ’68.

Come scrive Gordiano Lupi, autore di un recente testo dedicato a Gloria Guida (Gloria Guida – Il sogno biondo di una generazione, Edizioni Il Foglio, 2015), l’attrice di Merano classe 1955 rappresenta (in riferimento al film La liceale ma potrebbe essere un discorso generale) l’elemento carnale eppure volatile, quasi onirico, che investe in quegli anni il grande schermo: “Gloria Guida compie il cammino opposto, quello più difficile, regala a una platea di ragazzini (i sedicenni sono il suo pubblico) il sogno che attendono. (…) Il ragazzino vede Gloria Guida nella parte della studentessa, s’innamora di lei, del suo sorriso aperto, ingenuo e malizioso, immagina la compagna di banco, la più carina della classe, quella che di sicuro lo manda sempre in bianco. E sogna con lei”.

Gloria Guida ne 'La liceale', 1975 (Credits: Dania Film)
Gloria Guida ne ‘La liceale’, 1975 (Credits: Dania Film)

Oltre alla donna come figura centrale delle vicende narrate, altro elemento chiave della commedia sexy è il netto incanalarsi verso i binari della farsa: un esempio perfetto è rappresentato dalla filmografia di Sergio Martino. Fratello dell’abile produttore Luciano, altro uomo simbolo del genere, il regista romano si sposta da un contesto thriller, seppur erotico (Lo strano vizio della signora Wardh, Tutti i colori del buio), a quello inequivocabilmente farsesco, riuscendo a rendere la sua musa Edwige Fenech (sin dai tempi di Giovannona Coscialunga…disonorata con onore, 1973) icona della commedia sexy all’italiana, la più rappresentativa insieme a Gloria Guida, Laura Antonelli e Barbara Bouchet. Proprio con quest’ultima e la Fenech, Martino gira nel 1980 il già citato La moglie in vacanza…l’amante in città (insieme anche a Montagnani, Banfi e Solenghi), tra i capolavori del genere per la capacità di abbinare il lato scollacciato a quello della commedia degli equivoci (giocando sul motivo del doppio tradimento). Il film anticipa di poco Spaghetti a mezzanotte (1981) e Cornetti alla crema (1982), ritenuto il film che chiude l’epoca d’oro del filone, che lascerà poi spazio ai vari Pierini.

Di quei giorni, caratterizzati da una produzione febbrile, al grido di “Buona la prima!“, rimangono oltre centinaia di pellicole. Rimangono i registi, formidabili e svelti mestieranti della cinepresa e rimangono soprattutto loro, le donne, detestate dalle femministe e amate da un’intera generazione di ragazzi, sedotti e turbati dalla bellezza di turno. Rimane anche una porzione di mito: Quentin Tarantino ad esempio non ha mai nascosto il proprio apprezzamento verso la commedia erotica italiana. Circa due anni fa si era addirittura vociferato della sua intenzione di girare un film/omaggio con Gloria Guida e Lino Banfi tra i protagonisti. Si rivelò poco di una bufala: rivedendo tuttavia il suo Grindhouse: A prova di morte, in cui la sottomissione verso la donna è palpabile, è inevitabile pensare a quanto la commedia sexy all’italiana abbia giovato alla crescente considerazione che la donna tout court avrebbe ricevuto di lì a poco. Grazie a un enorme carosello durato poco più di dieci anni, una festa forse triviale e poco raffinata, ma che non vedeva perdenti: solo un pubblico gaudente, dei produttori fortunati e un esercito di ragazze divinamente irresistibili.

Barbara Bouchet tra Joe Dante e Quentin Tarantino alla Mostra del cinema di Venezia del 2004 (Credits: Franco Origlia/Getty Images)
Barbara Bouchet tra Joe Dante e Quentin Tarantino alla Mostra del cinema di Venezia del 2004 (Credits: Franco Origlia/Getty Images)