Un fiume in piena, più che mai. Ti aspetti che il tempo pian piano metta tutti in riga, che prima o poi riduca quelli che erano urli di battaglia a deboli strepitii, ma con quelli come Pino Scotto, almeno per il momento, non c’è nulla da fare. Cuor di leone per natura e per scelta, i 66 anni di Giuseppe Scotto Di Carlo, che il prossimo ottobre saranno 67, sembrano uno scherzo dell’anagrafe, tanta è l’energia sprigionata ogni giorno, in studio, sul palco e nella vita, e tanta soprattutto è la voglia di continuare a scuotere tutto, tramite l’estensione artistica di cui il dio del blues gli ha fatto dono. Il primo aggettivo che ti viene infatti in mente, per descriverlo, è inesauribile. Non solo per la longevità della sua attività, ma anche per la poliedricità mostrata: rocker, cantautore, leader (Pulsar, Fire Trails, soprattutto Vanadium), immancabile volto di Rock TV, fenomeno e beniamino del web, opinionista impossibile da ignorare.

Il nuovo corso televisivo, che perdura ormai da 9 anni, non ha però distratto Pino dalla passione per cui è nato. Due anni dopo la raccolta di cover Vuoti di memoria, ecco stavolta un best of composto da sedici brani presi dal proprio repertorio oltre a due inediti: il risultato è Live for a dream, uscito lo scorso 1° aprile. Un album in cui Scotto si guarda indietro e fa il punto della situazione su quanto ha combinato nella sua quarantennale carriera. Lo fa con la collaborazione di numerosi artisti fortemente voluti dall’ex leader dei Vanadium: dagli Strana Officina e i Ritmo Tribale ai chitarristi Stef Burns e Steve Angarthal, passando per i bassisti Ciccio Li Causi e Dario Bucca e i vocalist Roberto Tiranti e Ambramarie, solo per citarne alcuni. Un best of che Pino Scotto porterà in giro per l’Italia, con il tour che ha avuto inizio lo scorso 25 aprile, partito non convenzionalmente dalla Sicilia, prima tappa Giammoro, Messina.

Ancora in gioco, ancora saldamente sul palco, Pino Scotto ha concesso a Il Giornale Digitale un’intervista esclusiva, in cui si palesa ancora una volta il suo essere strenuamente contro il sistema, e un approccio che mescola nichilismo e impegno sociale: se da un lato ci confida che non c’è più speranza, e che le nuove generazioni non hanno voglia di fare un ca**o, rivendica con fierezza l’iniziativa umanitaria che da 9 anni assiste i bambini nati nella parte più difficile del mondo, Rainbow Projects.

Credits: Rock TV/Pagina Facebook Pino Scotto OFFICIAL
Credits: Rock TV/Pagina Facebook Pino Scotto OFFICIAL

Live for a dream: allora il rock è ancora un affare per gente che sogna?

Non fosse stato per la musica, forse sarei diventato o uno spacciatore o un ladro. Non so se sarei stato capace di prestarmi all’infamia di questa società: la musica mi ha dato la forza per lavorare in fabbrica per 35 anni ed essere libero nel mio sogno. Un sogno iniziato quando avevo 15 anni, oggi ne ho 67: pensa che miracolo della vita che è questo. È per questo che io dico sempre ai ragazzi che iniziano a suonare di avere cura di questa cosa, perché vi salverà la vita. Come qualsiasi passione, poi, non deve certo essere esclusivamente la musica, l’importante è che sia una vera passione, capace di farti soffrire ma anche gioire come un pazzo.

2 inediti, 16 brani rivisitati, tantissime importanti collaborazioni: possiamo definirla la summa di Pino Scotto?

La summa no, diciamo che sono arrivato a metà del mio percorso artistico, ai miei primi 40 anni di carriera (ride, ndr). Ma ne è valsa la pena: così ho voluto fare un sunto. Inizialmente ho pensato a un cd doppio, così tanti sono i brani che mi rappresentano. Ho dovuto fare un viaggio emozionale nella mia mente, chiedendomi: cosa mi piacerebbe portare in tour quest’anno? Allora ho messo sul letto tutti i CD e gli LP che ho fatto, in questo modo si è composta man mano la tracklist: e ogni brano mi ha ricordato qualcosa di particolare e per ogni traccia che ascoltavo mi è venuto in mente l’artista con cui collaborare per rivisitarla.

E c’è una canzone, ‘Don’t touch the kids’, che riflette il tuo impegno sociale.

Da 9 anni ho un progetto in Centro America, insieme alla dottoressa Caterina Vetro, che si occupa di assistere i bambini nelle parti più difficili del pianeta, come Belize e Cambogia. Tre anni e mezzo fa abbiamo anche costruito un piccolo ospedale a Cobán, in Guatemala. Ci sono bambini che già quando nascono sono costretti a lavorare nell’immondizia, nascono già morti. Qualcosa di cui il mondo, Vaticano compreso, dovrebbe vergognarsi. I soldi dei miei concerti li destino a questo progetto.

Un album ricchissimo di featuring: guardando alla tua carriera, qual è quello che ti ha reso più orgoglioso? E quale quello che non hai potuto realizzare, per una ragione o per un’altra, ma che ti sarebbe piaciuto da morire?

Beh, ne ho fatti così tanti, e così importanti, che un nome solo non posso dirlo. Certo, mi vengono in mente certe collaborazioni con artisti che sono anche miei amici da tempo, come Caparezza o i Modena City Ramblers, gente che rispetto davvero. Uno che ho chiamato e che non mi ha ancora risposto – perché secondo me voleva troppi soldi – è quello str***o di Jimi Hendrix (ride, ndr). Scherzi a parte, uno con cui mi piacerebbe collaborare è Glenn Hughes, bassista dei Deep Purple, persona fantastica, che è passata attraverso anni di droghe e che a mio parere è uno degli emblemi del rock.

Dopo la morte di Prince, la Rai in un servizio ha citato gli artisti musicali deceduti in questo 2016: ma mancava Lemmy…

Una massa di ignoranti che andrebbe presa a calci in c**o, non capiscono un ca**o, raccomandati come i politici. Nel nuovo album c’è una canzone (The eagle scream, ndr) che ho scritto proprio per Lemmy, con cui avevo un rapporto di amicizia dal 1985: il video lo abbiamo girato in una cava ad Asti, insieme alle aquile e ai bikers, come sarebbe piaciuto a lui.

Foto: Pagina Facebook Pino Scotto OFFICIAL
Foto: Pagina Facebook Pino Scotto OFFICIAL

E della reunion degli AC/DC, con la partecipazione di Axl Roses, che ci dici?

Ma io sputerei in faccia anche ad Angus Young. Un fratello malato terminale, un batterista in galera perché ha dato dei soldi a un tizio perché ammazzasse qualcun altro, un cantante sordo. Ma andare in pensione, no? Un po’ di dignità? E come ciliegina sulla torta vai a chiamare una testa di ca**o, un maiale che non ha più voce da 30 anni. Tra l’altro Axl il nome dei Guns se l’è rubato, è sempre andato avanti tutti questi anni col nome. E Slash e gli altri che hanno accettato tutto questo, una massa di persone senza dignità.

Sulle sue origini ci hanno fatto di recente anche una serie tv, ‘Vinyl’: cosa ne pensi del punk?

Il punk è nato ed è morto coi Sex Pistols. Il movimento conta quando nasce dal basso, quando ha una motivazione sociale, se vive di rabbia e amore. Poi viene contagiato dal business. Ma non vale solo per il punk, anche per il blues, il metal e altri contesti. È un problema di noi esseri umani: dove c’è da prendere soldi riusciamo a rovinare tutto.

Ma in generale, nel tempo libero, cosa ascolti?

Un genere che non smetto mai di ascoltare è il rock degli anni ’70. E ancora oggi, quando ascolto artisti che vengono dal blues come Joe Bonamassa o Black Stone Cherry, mi metto in pace col mondo, perché significa che esiste ancora gente che vuole riprendere la storia del vero rock facendo però qualcosa di nuovo. È già stato scritto e detto tutto, l’unica cosa sarebbe riscoprire il vero rock e il vero blues: lo potremmo fare anche noi italiani, abbiamo musicisti eccezionali.

Secondo te Youtube, e internet in generale, ha dato una spinta o ha soffocato il rock?

Sicuramente ha fatto tantissimi danni ma allo stesso tempo ha dato l’opportunità a band – che altrimenti non avrebbe considerato nessuno – di emergere, perché il mercato discografico è ormai diventato come i papponi e le mign**te, si pensa solo a sfruttare musica di m***a, popolato da gente che si fa usare. Però questo ha portato tanta confusione, è un po’ come il cane che si morde la coda. Io non vedo proprio speranza, è tutto un disastro: qui se non si restituisce ai giovani la possibilità di sognare, muore tutto. Non possiamo ridurci come delle macchine. Le nuove generazioni non hanno voglia di fare un ca**o, hanno solo voglia di andare a vendere il c**o alla De Filippi e all’altra gente che andrebbe messa in galera per spaccio di demenza. Poi c’è gente che si spaccia per cantante, che non sa nemmeno cosa vuol dire cantare, messa nei talent a giudicare ragazzi magari bravissimi. Non c’è più un senso in tutto questo.

Qual è il tuo pensiero sulle cover-band?

Le cover band, le tribute-band…basta, hanno rotto. Le cover sono una grande scuola, con quelle giuste si impara molto. Anch’io ho iniziato così, all’inizio degli anni ’70 mi sono messo a coverizzare i Led Zeppelin, stavo diventando il karaoke vivente di Robert Plant, e per uscire da questo meccanismo mi ci è voluto del tempo. Poi ho iniziato a fare musica a modo mio: posso piacere o meno, ma sono io. Se ti piaccio bene, altrimenti fan***o. Fino a una certa età le cover vanno benissimo, ma poi si inizi a produrre qualcosa di proprio.

Hai visto l’ultimo Sanremo?

No, non lo guardo da anni, per me Sanremo era quello di Modugno. Questo Sanremo è tutta una presa per il c**o, milioni di euro presi dai contribuenti per mettere su un teatrino di papponi e mign**te. A me Sanremo, ai tempi del Progetto Sinergia, lo avevano anche proposto, e ho rifiutato. Dovevo eseguire un pezzo scritto da Vasco Rossi.

A proposito di Vasco, una domanda che credo si facciano da anni i tuoi seguaci: chi butteresti giù dalla torre, lui o Ligabue?

Sicuramente Ligabue. Non dice un ca**o. Non ha un senso storico e non ha senso di esistere. Vasco lo seguivo fino a Bollicine, anzi, ero un suo grande fan, era riuscito a cambiare delle cose.

In definitiva: il rock è ancora vivo?

Sicuramente. Finché ci sarà una sola persona che continuerà a vivere nella dignità. Come mi disse una volta il Dalai Lama, “quando tu vivi nella dignità, nel rispetto e nella compassione, tu sei dio“. Il rock è questo. È una persona che crede ancora nella musica, quella vera, quella fatta col cuore e con le palle.