Roberta Di Mario vive e respira musica praticamente da sempre, da quando a cinque anni per la prima volta mette le mani sui tasti bianchi e neri. Ancora prima di andare a scuola sapeva già leggere le note sul pentagramma. Da allora il pianoforte è diventato suo inseparabile compagno nel viaggio chiamato musica. Quello di Roberta è un talento relativamente emergente, alle sue spalle c’è infatti un curriculum importante e di spessore che vanta anche una partecipazione a Castrocaro e una carriera giocata sempre sul filo della sperimentazione e anche un po’ del rischio. Classe 72, diplomata al Conservatorio di Parma con una strada già segnata come concertista, si avvicina prima al teatro e poi ai musical fino a trovare la sua dimensione come cantautrice. Non c’è etichetta che tenga, il suo stile sfugge a qualsiasi definizione, la sua musica è libera di muoversi tra sonorità diverse, quasi agli antipodi, dl classico al pop, al jazz, allo swing e al ritmo latino. Musicista raffinata, voce calda e passionale, in lei convivono due anime complementari: la canzone d’autore e il pianismo classico. Senza l’una non esisterebbe l’altra. Il 28 marzo è uscito il suo secondo lavoro discografico, dal titolo «Lo stato delle cose». Un album molto particolare che segna il punto di incontro di queste due strade artistiche distinte ma parallele. Reduce dall’esperienza di Opening Act per Sagi Rei e Roby Facchinetti e mentre si prepara ai suoi personali live estivi, Roberta ha trovato il tempo di parlarci dei suoi progetti e dei suoi sogni: da quello di cantare con Mina a quello di comporre colonne sonore, fino al palco dell’Ariston.
Pianista di formazione e cantautrice per vocazione. Una doppia anima che si riflette nell’album uscito il 28 marzo, «Lo stato delle cose». Ci parli di questo progetto?
Roberta Di Mario: «Lo stato delle cose» è un doppio album che contiene due cd, uno di tracce cantate dal titolo “Songs”, e uno di brani strumentali dal titolo “Walk on the Piano Side”. È proprio il mio personale stato delle cose questo disco, perché artisticamente questi due progetti riflettono le mie due anime che viaggiano insieme parallelamente, con lo stesso cuore, perché una non può esistere senza l’altra. Io vengo dal conservatorio, dove ho studiato piano classico, però a un certo punto della mia vita ho desiderato essere qualcosa di più che una concertista e un interprete di brani, volevo unire le parole alla musica, perché avevo anche questa urgenza di trasformare la mia capacità, il mio talento, in qualcosa di più estroso e creativo, e quindi ho iniziato a scrivere anche pezzi di piano contemporaneo. Determinante nel progetto è stato l’incontro con il mio produttore, il maestro Pietro Cantarelli, produttore di Ivano Fossati. Con lui abbiamo iniziato a lavorare su brani che stavo scrivendo, mi ha guidato nella stesura di qualche testo mentre la musica è completamente mia; la sua esperienza e la sua sensibilità mi hanno aiutato a tirare fuori la parte migliore di me perché quello che volevo con questo disco era cercarmi ancora di più. A differenza del mio primo disco, pubblicato tre anni fa, «Il tempo e la distanza», sento che questi brani mi rispecchiano tantissimo.
Ascoltando «Lo stato delle cose» non si può fare a meno di notare la presenza di sonorità molto diverse tra di loro. Questo rende difficile definire con un etichetta il tuo stile musicale.
Spesso mi chiedono “come definiresti il tuo stile”, fortunatamente non sono etichettabile. Non c’è nessuna volontà di essere particolarmente originale, ma è proprio così. Sono abbastanza versatile nel modo di scrivere e di suonare, probabilmente perché vengo dal mondo classico e poi nella mia vita ho attraversato diverse esperienze: il musical, le colonne sonore, il jazz, lo swing, e poi il pop, quello che chiamo più raffinato, stile Mina o Paolo Conte, fino alla musica brasiliana, di Jobim. Queste reminiscenze musicali si riflettono inevitabilmente in quello che scrivo, perciò non so come definirmi se non come un insieme di più stili diversi uniti da questo fil rouge che è il pianoforte perché ogni mio brano, anche cantato, nasce sempre da lì.
Un’ecletticità insomma che trova nel pianoforte un punto comune. Il tuo rapporto con questo strumento?
Il piano è l’estensione naturale del mio essere, io ho iniziato piccolissima imparando a leggere le note ancor prima di imparare a leggere le lettere. Non lo dico con presunzione, per me suonare è come bere un bicchier d’acqua, faccio veramente volare le mani sulla tastiera con una naturalezza tale che credo proprio sia talento. C’è una frase (del film “Manhattan” n.d.r.) che mi ha colpito “il talento è fortuna”, e credo sia così, il talento mi è arrivato senza nessuno sforzo, poi ovviamente dietro c’è anche tanto studio e impegno quotidiano. Quando scrivo, pur non essendoci una regola fissa, il primo input è sempre musicale; altre volte ho delle parole in mente che spingono per venir fuori, allora magari scrivo prima il testo oppure a volte le parole vengono contemporaneamente alla musica. Ma sicuramente il flusso musicale mi è più congeniale quindi tutto mi risulta più facile partire da lì.
Hai avuto l’onore di musicare la Mostra internazionale di Botero. Cosa ha significato per te questa esperienza e a cosa ti sei ispirata nel processo creativo ?
Mi hanno chiesto di musicare il video che rappresentava quello che era il mondo di Botero ed è stato un processo creativo molto naturale. Mi sono ispirata ad alcune immagini ma contemporaneamente mi sono quasi auto-ispirata. Guardando le mie mani scivolare sui tasti è nato il brano «Hands», che è anche la traccia che apre il cd di pezzi strumentali. Poco dopo ho scoperto che il Maestro Botero, in seguito ad un incidente in cu perse suo figlio e la falange di un dito, quasi per esorcizzare quel momento, creò sculture di mani enormi mani. È stato un po’ come un cerchio che si chiude, una sorta di sinergia. E tra l’altro la melodia di «Hands» si sposa perfettamente alle immagini del video. Sono in molti a ripetermi che la mia è una musica in grado di evocare immagini, e infatti un’altra strada che vorrei intraprendere nella mia carriera è quella delle colonne sonore.
Quanto è difficile per voi “emergenti” affermarvi nel panorama musicale italiano di oggi? In tv e nei grandi network radiofonici lo spazio è sempre molto limitato, se non nullo, ci sono sempre meno occasioni per farsi conoscere.
È una realtà con cui dobbiamo scontrarci sia io che tutti i miei colleghi. I network mandano in rotazione sempre i soliti brani, il pubblico conosce principalmente quegli artisti e se li fanno piacere perché li ascoltano in continuazione. È un po’ un gatto che si morde la coda. In radio gli spazi rispetto alla tv sono un poco di più, ma sempre pochi. Deve esserci spazio per tutti, non solo per gli artisti, alcuni con delle belle voci, che vengono fuori dai talent, ma anche per quelli meno conosciuti che hanno le stesse capacità, se non sono addirittura più bravi. Però per fortuna esistono anche realtà come magazine sul web che danno la possibilità a noi semisconosciuti di raccontarci al pubblico. Io poi ho la fortuna di avere alle spalle un management molto forte a cui sono molto grata. Non esisti se non sei comunicato e per fortuna io sono affiancata da persone che lavorano con sensibilità e professionalità per far conoscere la mia musica. E poi comunque questo è un lavoro che va fatto quotidianamente, a piccoli passi, cercando di ingrossare il più possibile il proprio curriculum facendo tante piccole cose ma sempre di profilo. Perché la musica bisogna farla così, non ci si improvvisa in niente. Io canto da cinque o sei anni, prima mi sentivo solo una pianista, quindi emergente sotto questo aspetto lo sono, ma adesso spero le cose vadano veloci.
C’è qualche artista con cui ti piacerebbe collaborare?
Mi piacerebbe tantissimo Paolo Conte visto alcuni miei brani rispecchiano molto il suo stile, ho anche mandato qualche brano a Mina…Chissà, magari. E poi mi piace tantissimo anche il profilo di Jovanotti nel modo di scrivere, secondo me verrebbe fuori qualcosa di molto simpatico. Ma anche collaborare con Roby Facchinetti sarebbe un grande onore. Standogli a fianco ho scoperto un professionista di altissimo livello da cui c’è sempre qualcosa, una piccola sfumatura, da imparare anche quando fa solo un soundcheck.
Hai da poco concluso quest’esperienza da Opening Act per Sagi Rei e Roby Facchinetti. Per il futuro, quali saranno i tuoi prossimi progetti?
Ho appena concluso quest’anteprima dei tour di Sagi Rei e di Roby Facchinetti. Una bellissima opportunità di cui sono molto grata. È stato un grande successo, entrambi mi stimano molto e sono rimasti soddisfatti dell’atmosfera sana, belle e avvolgente che ho creato con la mia musica. Probabilmente ci saranno altre date in estate e in autunno, anche se non è stato deciso ancora nulla. Intanto mi preparo ai live che farò alla Feltrinelli di Firenze. Sono stata scelta come artista testimonial del nuovo spazio RED. Sarò lì con tre appuntamenti, il 6, il 13 e il 27 giugno, per raccontarmi attraverso il mio disco e altri repertori, sperando di fare poi anche qualcosa di itinerante. È una grande responsabilità ma sono tranquilla perché credo nel progetto e vedo che piace tanto al pubblico, poi comunque io vengo dalla musica classica, ho una lunga gavetta alle spalle di tanti concerti per cui anche il fatto di essere davanti a una platea nuova ogni volta, con repertori anche pianistici, non mi spaventa.
Al palco di Sanremo ci pensi?
Il progetto ci può essere purtroppo non c’è l’età per partecipare. Se dovessero cambiare il regolamento facendo in modo che non ci siano più limiti di età per la categoria Nuove Proposte, allora sì. Se no ci devo arrivare per un’altra via. Mi piacerebbe perché è comunque un palcoscenico difficilissimo ma anche importantissimo da mettere in curriculum. Perciò io punto sempre, continuo a scrivere cose che mi piacciono, in cui mi ci ritrovo tanto, e poi insomma si può provare. Se non va ci sono tante altre situazioni in cui si può proporre in un certo modo, per un’altra via ci si arriva lo stesso.
[Credit Photo Cover: Roberta Di Mario Official Web Site]