È andato a vivere in Portogallo perché “non voleva rotture di scatole“. In realtà ce l’ha detto in maniera molto più spicciola, diretta, come nei suoi modi. Robin Good ci accoglie dentro casa sua via Skype, accende il camino e si mette a chiacchierare a ruota libera, ad un’unica condizione: “Ci divertiamo?” – ci chiede. Alla richiesta del numero di telefono, ci risponde che ce lo può dare, ma tanto non lo usa, preferisce altri mezzi. Quelli che gli hanno permesso di diventare il pioniere del marketing online in Italia, il primo ad aver fatturato un milione di dollari con Google.
Oggi Robin Good è uno dei maggiori esperti in Europa, citato in più di 100 libri, nei blog, nei social e nei siti specializzati di settore. Laureato nel 1982 con il massimo dei voti dal Center for Experimental and Interdisciplinary Arts della San Francisco State University, Robin Good si occupa di marketing e comunicazione da più di 25 anni. Già consulente per l’utilizzo efficace dei nuovi media per organizzazioni internazionali e no-profit come la Banca Mondiale, Nazioni Unite e FAO, News Information Designer per Rai e Mediaset, ha sviluppato progetti di comunicazione per grandi brand e agenzie di pubblicità. È molto disponibile, ma non fa della simpatia una leva fondamentale. Piuttosto preferisce metterci cuore (è la parola che ripete più spesso), anima e sincerità.
Se non capisce una domanda lo dice chiaramente, se non gli piace risponde semplicemente “Negativo, non è una gran domanda“, se la domanda è intelligente non esita a farlo notare. Ogni sua parola, pesa come un macigno. Lontano anni luce da chi vuole restare al centro dell’attenzione a tutti i costi, si è soffermato ad analizzare, con un punto di vista critico ed illuminante, la situazione della comunicazione digitale oggi, non lesinando opinioni sui fenomeni del momento: Snapchat, Montemagno, i Digital Champions, fino ad arrivare al ruolo degli uffici stampa e delle agenzie di comunicazione. L’intervista è avvenuta grazie a Performance Strategies, per la quale Robin Good curerà il corso di Digital Business Strategy che si terrà a Bologna.
Robin Good, pioniere in Italia del marketing online, ti senti vecchio, come dice qualcuno?
Proviamo a ragionare, vecchio in senso fisico no. In quanto pioniere è diverso. Se trovi che sia vecchio chi si fa un sacco di domande ed è sempre alla ricerca di cosa c’è dietro la superficie di quello che vediamo, direi di sì, sono proprio un vecchione.
Da sempre sostieni che la comunicazione è basata sulla cura meticolosa di una community: tu quanto tempo dedichi ai tuoi fan e alle tue meravigliose newsletter?
A volte solo un momento, altre volte mi arrendo: non ho un giusto messaggio da dare e finisco per fornire solo delle informazioni spicciole. È difficile dargli un tempo, non è un lavoro di content marketing o di content strategy, questo è un lavoro personale, di relazione con il mio pubblico. Con il tempo ho capito che oltre alle strategie, le tattiche, i tool, c’è un universo infinito; se apri uno spioncino, una specie di buco della serratura, attraverso il quale chi ti legge e ti segue può scoprire un poco alla volta chi sei come persona, cosa ti gira per la testa, cosa fai quando non appari, questo viene apprezzato, perché le persone hanno la possibilità di sentirsi più vicine a te. Quindi trovare un qualcosa della mia vita personale che io sento in quel momento e voglio condividere con i fan non è esattamente la stessa cosa di schioccare le dita e dire: “Ehi, andiamo a vedere su Google qual è l’argomento che tira di più e facciamoci un rilancio“.

Quali sono gli errori che più di frequente si vedono nella comunicazione con la propria community?
Il primo errore è vendere la propria anima, ad una serie di tattiche, se non addirittura strategie, che servono a velocizzare il cammino e fare le cose in automatico. Questo piano piano ti porta a non dare il giusto peso alle singole azioni, e meno peso dai, più devi accettare compromessi, fare delle cose che normalmente non faresti con delle singole persone. Il pericolo più grosso è vendersi a tattiche e strategie che puntino principalmente ad aumentare il traffico e i profitti, invece che ad aumentare le variabili capaci di generare profitti e visite.
Qualcuno ad esempio spende migliaia di euro per comprare tool e strumenti che servono esclusivamente per aumentare traffico e visite, ma quando si stacca la spina, tutto si ferma. Chi invece mette a fuoco con uno sguardo più organico, più olistico, quello che c’è da fare, per poi ottenere guadagni e profitti, capisce che se usa solo le tattiche e le scorciatoie e gli strumenti per fare più velocemente ottiene risultati nell’immediato ma non sviluppa quel cordone ombelicale profondo, solido, difficile da tagliare da un giorno all’altro.
Dico sempre di non fare ciò che dice la SEO, perché per la troppa premura di voler essere più visibili e voler produrre dei soldi facendo tutto in funzione di essa si rischia di spersonalizzare voci, siti e blog. E questo è un male inaccettabile.Chi vuole fare questo mestiere, come me, deve annotare su un suo foglietto, un blocchetto, qualunque idea, qualcosa che fa battere il cuore. Io stesso ho fatto autocritica, perché non portavo con me una Moleskine per annotare tutte le ispirazioni.
Ci stai dicendo che il segreto è annotarsi tutto?
Nessuno obbliga le aziende a fare la newsletter il giorno della newsletter. Per esempio io adesso posso scrivere qualcosa che ispiri le persone, che magari può tornare utile tra due anni. Hai due persone nel dipartimento marketing? Bene, fagli mettere questa Moleskine in tasca! Fagli fare un brainstroming su quali sono le cose che li ispirano. Fagli scrivere quattro newsletter, in modo che ogni volta che ne lanci una ne hai già tre pronte!
Non trovi che oggi siano in troppi a parlare sui social, soprattutto attraverso i video? Chi ti piace? E chi invece pensi sia ridondante?
Mi sembra che Montemagno abbia finalmente, e sottolineo finalmente, trovato un filone giusto. Una telecamera, un’inquadratura e una sfocatura perfetta per fare i suoi video. Il formato che sta utilizzando da circa un anno credo che sia la cosa migliore che ha fatto dopo che ha lavorato a SkyTG24, quindi gli faccio i complimenti perché credo che quel formato lì sia vincente.

Perché secondo te questo format è vincente?
Il primo motivo è Facebook. Oggi chi pubblica su Facebook piuttosto che su Youtube ha dei vantaggi. Non so spiegarti tecnicamente perché, ma posso constatarlo. Se pubblichi un filone di video per spiegare delle cose mi pare che Facebook dia dei risultati migliori, perché ha dei filtri che portano le persone giuste al tuo video; su Youtube invece lo stesso video tende a perdersi, se tu non lo sostieni. Per cui punterei a pubblicare prima su Facebook e poi andare a postare di là.
In secondo luogo Montemagno ha imparato, forse perché ha lavorato in TV un bel po’ di anni, che, a parte l’inquadratura, i tempi del video sono tutto. Lui quindi sta sempre in tempi ragionevoli. Perché quando sono online io neanche ti clicco play se sulla durata del video vedo scritto 29 minuti o 1h e 02. Chi invece pubblica un video di due, tre, quattro, massimo cinque minuti secondo me è vincente.
Parliamo di un altro fenomeno del momento: Snapchat. Toglimi una curiosità: solo io mi sento come i miei genitori quando hanno visto per la prima volta Facebook? Noi trentenni rischiamo già di essere vecchi per alcuni social tanto da non capirli?
Assolutamente sì. Io ho scelto di non usarlo. Ho scelto di informarmi, di sapere qualcosa di più, però è da tempo che ho abbandonato la strada del “qualsiasi cosa esce ci monto sopra perché è l’ultima novità, daje“. C’è una categoria di persone che fa questo: sono gli smanettoni, gli appassionati, i nerd, i geek, in Italia ne abbiamo tantissimi. La mia vita sociale, digitale e lavorativa è già bella piena. Non ho bisogno di aggiungere cose in più, semmai ho bisogno di toglierne qualcuna non indispensabile per dare più fuoco e potenza e concentrazione ad altre che veramente mi interessano.
Snapchat è l’esempio perfetto della prima tecnologia “clamorosa”, di cui si sente parlare continuamente, ma io non me lo posso permettere. Sarà carino, divertente, mi potrebbe dare più pubblico, ma io ho le mani in pasta su troppe cose. Magari me lo studio e se scopro che potrebbe essere la svolta, ok: cambio da Medium a Snapchat. Ma siccome non ho ancora la sensazione che quello sia il mio posto ideale non lo apro, non lo tocco e non lo guardo. Mi leggo ogni tanto degli articoli, e stop.

Accessibilità del web vs competenze: come si fa ad emergere?
Ti posso dire come si fa da affondare, se vuoi: sul web c’è una sorta di sindrome di Leonardo: poiché le cose sono raggiungibili attraverso una strisciata di carta di credito o una password di paypal e poi un doppio click per “Installa“, la gente pensa che aprendo un tool o mettendo su un sito, automaticamente diventa un esperto grafico, piuttosto che un editore online o un blogger.
Non è così, ma il fatto che queste cose siano accessibili a costo zero ci porta a pensare, senza alcuna logica a dire il vero, di avere la competenza per poi poterle usare. Sul web vediamo decine di migliaia di persone che vogliono aprire un blog ma poi non hanno nemmeno la più pallida idea di quello che intendono farci, e non parliamo di un piano editoriale.
Parliamo di individuare una direzione, uno scopo, un obiettivo, un pubblico al quale indirizzarsi. La smania di fare è giusta, ha un senso, è un motivatore importante. Però, sul web più che mai, vista la complessità delle cose, che non si nota aprendo il proprio computer, c’è bisogno di studiare un attimo prima, pensare, farsi domande, prepararsi su cosa si desidera fare e come.
Seguiamo con interesse i tuoi corsi sul Media Coverage: è vero che per te gli uffici stampa sono morti?
Da un bel po’. Da quando ho una casella di posta elettronica mi arrivano, senza che mi abbiano mai chiesto alcuna autorizzazione a farlo, delle e-mail che cercano di promuovere per conto di altri un prodotto, un servizio o un sito web. Credo che dagli anni ’90 gli uffici stampa abbiano smesso di evolversi. Sarà successo due o tre volte che qualcosa che mi hanno scritto mi ha fatto cliccare e conoscere qualcosa di utile. Penso che queste persone siano dannose per la società, per internet e per la comunicazione. Fanno solo rumore ma vivono in un mondo di plastica, che non esiste. Fanno delle cose che si facevano quando internet non esisteva.
Allora l’ufficio stampa e le agenzie di comunicazione avevano un ruolo ben preciso, che io non rinnego. Ma adesso è inutile continuare a mandare comunicati con un linguaggio assolutamente preistorico, distaccato impersonale, dove chi sono io è indifferente, tanto da farmi chiedere: “Perché la sta mandando a me?“. Tutto fatto come se fossimo in tv o alla radio. Senza nessun cuore, senza nessun interesse per la relazione e per il destinatario. Queste persone fanno il loro dovere (lo dice in senso negativo – ndr), ma non hanno un’etica. Perché se ce l’avessero capirebbero che dovrebbero informare solo gli interessati e solo per qualcosa di importante. Ma sparando informazioni generiche nel mucchio non fanno altro che screditare la propria reputazione.

Facciamo un passo indietro: spiegaci come si fa a contattare un giornalista e far pubblicare una notizia senza rischiare di essere invadenti.
I giornalisti vogliono il piatto pronto. Hanno bisogno di gente che li aiuti a trovare notizie, scoop. Quello che assolutamente non bisogna fare è dire loro “guarda che è uscito questo nuovo sito è veramente il migliore del settore!!“, perché la prima cosa che faranno è scartarlo.
Di solito le informazioni utili non vengono da una macchina che passa con l’altoparlante, ma vengono da un individuo losco che passa in una strada buia, ti ferma sotto un lampione e ti dice “ehi, guarda, che…”.
Se entriamo un attimo in questa logica possiamo fare in modo di incontrarli, di intercettarli, di “inciampare” in loro, usando il tono giusto. I giornalisti non vogliono rompiscatole (usa un’altra parola), sono bombardati da uffici, pr, agenzie del nulla e quindi sarebbe bene distinguersi e non apparire come uno di quelli. Poi è importante capire cosa dire loro, che è l’elemento più difficile da fargli assorbire.
Prima di tutto bisogna entrare in contatto, in collaborazione, in scambio con il giornalista. Bisogna creare una relazione che possa durare nel tempo, perché anche se chiudi il rapporto con l’azienda con cui collabori oggi, domani ti può sempre tornare utile. I giornalisti valgono oro, sono i DJ dell’informazione, fanno sapere agli altri quello che succede.

Come si fa stabilire delle relazioni one-to-one di valore?
Nella nostra vita e pure a scuola ci insegnano un sacco di cose, ma queste no. Eppure è una cosa indispensabile nella vita. Tu credi che all’università ci insegnino ad entrare in relazione con qualcuno? Io insegno come si può scrivere e quali sono gli angoli e le prospettive per instaurare una relazione da portare avanti nel tempo. Quali sono gli strumenti e le tecniche per individuare le persone giuste, perché mandare comunicati stampa random ti bolla per sempre come una persona inaffidabile, tipo quelle che ho io nella mia lista, gente da mettere al bando per sempre. Lo scopo è individuare e trovare le persone giuste a cui scrivere.
Anche perché uno che non l’ha mai fatto, o che lo ha fatto fare ad altri non ha una tecnica. Noi dobbiamo imparare le tecniche per trovarli e metterci in contatto. In primis mettendoci nei panni delle persone che vorremmo “corrompere“, detto in maniera simpatica. Di quelli cioè di cui vorremmo l’attenzione. Dobbiamo per prima cosa metterci nei loro panni, chiedendoci: che persone sono, di cosa hanno bisogno? Perché se non partiamo dal destinatario, ci facciamo solo un sacco di seghe mentali. Qui non siamo sui mass media, è un altro mezzo.
L’Italia vista da lontano: com’è la situazione della cultura digitale?
Non ho notato un grande acculturamento digitale, a dire il vero. Spesso si preme troppo il tasto sugli aspetti tecnologici che non sono quelli rilevanti nella alfabetizzazione cavalcante che è iniziata alcuni anni fa. L’impressione che ne ricavo, da un punto di vista esterno, è che si ponga un accento eccessivo sul lato tecnologico delle cose, a discapito di quello della comunicazione.
Come media siamo dei copioni scarsi degli americani. Forse ci concentriamo troppo sul far apprendere alle persone gli strumenti, tralasciando la logica e gli obiettivi. Se usiamo ancora internet come la televisione, e ciò che c’è scritto su Internet è vero, stiamo peggio di dove stavamo prima, che era già terribile. È inutile stare a perdere tempo ad insegnare ad usare WordPress, perché mancano proprio le fondamenta tipiche di un’economia delle informazioni. La prima cosa è la verifica: sapere se una cosa è vera o è una stupidaggine. Altrimenti finisci come Gasparri in prima pagina perché hai fatto una figura barbina.
Un’ultima curiosità, ma perché Robin Good vive in Portogallo?
Avevo bisogno di stare in cima ad una montagna, in una casetta isolata dove non ci fossero distrazioni, telefoni che squillano e rompiscatole. Questo è il mio monastero dove sto preparando due libri.

Ci puoi anticipare qualcosa?
Non sono segreti, uno è in italiano ed è relativo a quello che farò a maggio con Performance Strategies a Bologna, ed è la Formula di Sharewood, Digital Business Strategy; l’altro è in inglese ed è dedicato a come diventare un nuovo punto di riferimento, il nuovo Google, e parla a tutto tondo della Content Curation.