Per un appassionato di tennis aver potuto assistere ai match di Roger Federer è qualcosa di unico, probabilmente un privilegio di cui alcuni si accorgeranno solo quando si ritirerà.
Non ho mai adorato il “tifo” nello sport, tanto meno il fanatismo calcistico trasferito al tennis, le liti noiose e inutili tra fan di uno o di un altro campione.
Ma proprio per questo credo di poter apprezzare con oggettività e lucidità un giocatore capace di coniugare un gioco bello come pochi, ad una costanza assurda nel collezionare trofei e record; un uomo capace di esprimere incredibile eleganza nei gesti, e di dimostrare signorilità e rispetto fuori dal campo.
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81 titoli, 17 slam, 6 Masters, record frantumati, una bacheca che nessun altro tennista ha mai avuto, e tanta voglia di stupire a 33 anni quando ormai molti esperti del settore lo davano per finito dopo qualche stagione opaca come quella passata. Ma Federer non è questo, o perlomeno non solo.
Federer è l’ultimo grande superstite di un tennis romantico, di uno sport che ha ceduto agli interessi economici e si è trasformato in un grande spettacolo rivolto alla platea televisiva, all’uomo “comune” che cerca scambi interminabili, partite che somigliano più a match di boxe che a singoli tennistici.
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Molti l’hanno accusato di non aver avuto negli anni migliori avversari all’altezza, e lui ha risposto continuando a vincere anche nell’era dell’invincibile maiorchino, e dell’extraterrestre serbo; tanti altri l’hanno colpevolizzato perché ritenuto cocciuto e incapace di reinventarsi, e ha iniziato con l’aiuto di Edberg a giocare a 33 anni un tennis più offensivo, fatto di discese a rete, serve and volley e meno incentrato sugli scambi. In una stagione in cui Wawrinka e Cilic dimostrano che i top 3 ( Murray scomparso, purtroppo ), sono battibili, che il tennis più che mai è in costante evoluzione, che ci si sta adattando ad un gioco molto più fisico che tecnico, Federer riesce comunque a vincere e a risalire il ranking Atp.
Poco importano poi le inutili polemiche da stadio su chi sia o meno il miglior giocatore di sempre, Federer rientra sicuramente per quello che ha vinto e dimostrato in un’ipotetica classifica, ma che interesse può avere il paragonare tra epoche diverse, tra sport praticamente diversi, nel tennis che più che qualunque altra disciplina risente della tecnologia.
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Aver potuto assistere ad una partita di Federer in fin dei conti è stato proprio aver potuto congiungere nella propria impressione il passaggio cruciale tra quei due tipi di tennis, aver potuto osservare l’ideale unione tra uno sport che faceva sognare, un tennis elegante fatto di scambi veloci, di gioco al volo, di finezze, e quello dei tanti “robot” che non sbagliano mai e che potrebbero correre la maratona senza sfigurare.
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Tra poco il Master di Londra, la meritata finale di Davis, poi il riposo per una preparazione, l’ennesima, per arrivare pronto per la prossima stagione e l’obiettivo di tornare numero 1. Non conta tanto se Federer ce la farà, conta che almeno continui a provarci.
Perché poter vedere nel 2014 un backspin di rovescio nell’epoca dei bimani che colpiscono con una violenza inaudita, o una volé non stoppata ma giocata con sicurezza, un colpo pieno, indirizzato, pensato, ha un qualcosa di romantico, e ogni volta che Federer gioca si ha la sensazione di star assistendo ad una delle ultime grandi possibilità di essere testimoni degli ultimi atti di uno spettacolo non ripetibile. Federer forse questo, nonostante l’aria glaciale e impassibile che mostra, lo sa; e come un artista finchè gli chiederanno il bis non si tirerà indietro.
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