È stata, senza ombra di dubbio, una delle notizie più discusse delle ultime settimane: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, consumare salumi, insaccati e ogni genere di carne lavorata, tra cui la carne rossa trattata, può provocare il cancro. L’immediata diminuzione dei consumi, la reazione infastidita da parte dei produttori e le legittime preoccupazioni dei consumatori sono state le inevitabili conseguenze di questo allarme, reso ancora più credibile dall’autorevolezza internazionale dell’organismo che lo ha divulgato. Ma la carne rossa è davvero così dannosa per l’uomo? Nel tentativo di fare maggiore chiarezza sulla vicenda abbiamo interpellato il Dott. Rolando Manfredini, tra i più grandi esperti nazionali di sicurezza alimentare. Da oltre 17 anni capo area della sicurezza alimentare e produttiva di Coldiretti, la principale organizzazione degli imprenditori agricoli con oltre un milione e mezzo di associati all’attivo, il Dott. Manfredini vanta un curriculum invidiabile che ne certifica la grande competenza in materia. Oltre alla laurea in scienze agrarie e ad una specializzazione in produzioni vegetali, è anche valutatore di sistemi qualità e sicurezza alimentare. Fa parte, inoltre, di comitati scientifici, consigli di amministrazione di gruppi e società che operano nel campo agroalimentare ed ha pubblicato su riviste scientifiche e giornali diversi articoli inerenti la sicurezza e la qualità degli alimenti.

Rolando Manfredini
Credits: Children Festival

Carne rossa, eccessivo allarmismo?

L’OMS ha chiarito subito la sua posizione, dicendo che nessun alimento deve essere eliminato dalla dieta. È stata un’indicazione generale, bisogna capire quali sono i margini di rischio ed entro quali dosi e limiti vale la pena di preoccuparsi davvero. Lo studio, non dimentichiamolo, è di carattere globale e si rivolge soprattutto a quei paesi che registrano un maggiore consumo di carne, con una dieta alimentare agli antipodi rispetto alla nostra. Facciamo un esempio: il bacon, negli Stati Uniti e nei paesi anglosassoni, lo mangiano tutti i giorni, persino a colazione. Lo stesso hot dog, al pari dei salumi affumicati, fa parte del pasto giornaliero. Loro consumano 125 chilogrammi pro capite di carne, tra l’altro con un tipo di affumicatura diversa dalla nostra, noi appena 78. Molti alimenti vengono conservati con nitrati, nitriti e polifosfati, trattati con anidride solforosa e potrei continuare ancora: una serie di indicazioni, insomma, che portano a considerare come sia nettamente differente la nostra produzione agricola e di allevamento. La carne italiana è riconosciuta come la meno grassa e la più dotata di grassi polinsaturi, e la trasformazione opera con dei disciplinari ben precisi che tendono a salvaguardare la naturalità della conservazione dei cibi, ad esempio attraverso il solo uso del sale. Sono situazioni completamente diverse che noi di Coldiretti abbiamo posto all’attenzione, altrimenti rischiamo di generare un’inutile psicosi di carattere internazionale che dovrebbe, invece, esser prima verificata caso per caso.

Preoccupazioni immotivate, quindi, per la salute dei cittadini italiani

Assolutamente sì, lo ha ribadito anche il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin sottolineando che occorre equilibrio nella dieta. Non si può affermare  categoricamente che la carne rossa sia cancerogena ma, come in tutte le cose, bisogna evitare gli eccessi. Possiamo morire anche bevendo 10 litri di acqua, la cosa più neutra che esista: dipende dall’uso che se ne fa. Lo stesso Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina è intervenuto sull’opportunità di divulgare educazione alimentare pur evidenziando che gli italiani, in base al consumo medio di carne, rientrano perfettamente nei parametri riconosciuti della dieta mediterranea. Dieta mediterranea che, mi piace ricordarlo, è la migliore del mondo e consente l’utilizzo di proteine animali per 2 volte alla settimana. In medio stat virtus, l’importante è non oltrepassare certi limiti.

Come facciamo a sapere che tipo di carne arriva sulle nostre tavole?

È una delle grandi battaglie combattute da Coldiretti, è chiaro che la carne deve essere identificata con la massima precisione. Se però importiamo prodotti che arrivano da paesi terzi, soprattutto i trasformati, questo non succede impedendo al consumatore di poter scegliere la carne che ritiene più sicura. Il lungo percorso cominciato subito dopo lo scandalo della BSE (il morbo della mucca pazza, n.d.r.) ha portato all’identificazione corretta della carne bovina secondo la sua origine, è proseguito con la definizione della carne suina da parte del regolamento europeo ma non è stato ancora completato per la carne equina, per fare un esempio, senza dimenticare i salumi. Una cosa è il prosciutto di Parma che viene conservato solo con il sale e di cui conosciamo perfettamente il percorso, altra cosa è il salume che arriva dall’estero senza che si sappia nulla sull’origine e su come è stato fatto, trattato e allevato. La questione è semplice: il consumatore deve avere l’esatta percezione, a livello di rischio, del prodotto che sta acquistando.

Si parla di gravi conseguenze a livello economico ed occupazionale

Nella prima fase di questa “psicosi”, i consumi di carne si sono inevitabilmente abbassati in modo sensibile. Noi di Coldiretti abbiamo appena svolto un’indagine in merito e, secondo le nostre rilevazioni, si è registrata una flessione di circa il 10-11%. I timori e le paure, quindi, si sono già ridimensionati rispetto alle stime iniziali. Merito soprattutto delle comunicazioni e delle precisazioni che sono state fatte successivamente, sia a livello di media che di istituzioni pubbliche. Ovviamente è ancora presto per dare un giudizio definitivo, più in là faremo ulteriori valutazioni.

Rolando Manfredini
Credits: AGI

Cultura del cibo, eccellenza alimentare, agricoltura green: l’Italia a che punto si trova?

La strada maestra da percorrere è un’agricoltura che sia rispettosa dell’ambiente e delle esigenze del consumatore. L’Italia ha compiuto degli sforzi importanti e, in questo ambito, ha il primato assoluto della sicurezza alimentare a livello mondiale. I nostri prodotti sono estremamente sicuri e gli italiani possono senza dubbio ritenersi dei privilegiati. Questo non significa che non ci siano degli aspetti da migliorare, come ad esempio l’obesità tra i bambini che rappresenta un indice di malnutrizione. Però siamo a buon punto: basti pensare che, a livello scientifico, la lunghezza della vita è parametrata all’alimentazione. Le donne italiane vivono in media più di 84 anni e gli uomini 79, e quindi siamo in una posizione di assoluta eccellenza a livello mondiale anche per aspettativa di vita. Non mi sembra poco.

Grazie al Dott. Rolando Manfredini da parte del Giornale Digitale