La parola progetto deriva dal latino proiectum, participio passato del verbo proicere, letteralmente traducibile con gettare avanti. Nel calcio, suddetto termine è abusato almeno quanto fuorigioco, zona mista e contropiede. Anzi, adesso che ci penso zona mista non lo sento più da tempo. Utilizzano la parola progetto presidenti che mandano via staff interi di collaboratori dopo un paio di mesi, lo utilizzano allenatori che puntano sui giovani salvo affidarsi ai giocatori esperti a metà campionato e poi ritornare sui propri passi in fase di mercato.
In Italia parlare di progetto è abitudine consolidata, portarli a termine utopia. Non solo nel calcio. D’altronde siamo il paese delle start up: ci piace un sacco iniziare e non finire e per questo ci stupiamo quando, nel calcio, ci imbattiamo in storie come quelle dell’Atletico Madrid o del Borussia Dortmund, tanto per citare degli esempi. Ma qualcosa è cambiato, e non in una piovosa serata di fine settembre a Manchester. E sì, perché lo scavetto di Totti viene da lontano, così come l’elevatissima dimensione europea della Roma.
Intendiamoci, non è stato fatto ancora niente. La Roma affronterà il Bayern nelle prossime due gare e tutto potrebbe ancora complicarsi come successe l’anno scorso al Napoli, ma c’è un ma. Il Napoli era andato a Londra, ad affrontare l’Arsenal, alla secondo partita, senza consapevolezza dei propri mezzi. La Roma, ieri sera, ha messo in campo anni di lavoro. Sono un grandissimo estimatore di Rudi Garcia, allenatore e manager straordinario, ma credo che mai come questa volta si debba esaltare un lavoro collettivo, gestito con incredibile sapienza da Walter Sabatini, uno che sa di calcio come pochi, capace di far quadrare i conti e rilanciare.
La sua competenza calcistica è tutta nell’operazione Benatia – Manolas, da manuale. Si dirà che Walter ha fatto degli errori con i precedenti allenatori, e qui permettetemi di essere in disaccordo. I progetti passano anche per diverse guide tecniche. Il calcio palla a terra di Luis Enrique, la dimensione Barcellona solo sfiorata (magari troppo presto, ma quanti progetti anticipano i tempi?) e soprattutto il lavoro sulla tecnica, sulla corsa e sui giovani fatto con il maestro Zeman. Quel tempo, a veder giocare oggi Pjanic, non è stato sprecato. Perché Zeman ha tanti difetti ma è bravissimo a far partire progetti che successivamente si rivelano vincenti.
Perché un progetto non è solo di un allenatore. È di una Società, e lo sta dimostrando anche la Juventus nel passaggio da Conte ad Allegri (stasera altre risposte importanti). Ma sopratutto è dei giocatori, il vero patrimonio di questo sport. Dei campioni: uno su tutti Francesco Totti. Lui le ha viste tutte. Ha visto il calcio di Boskov, quello di Mazzone, di Capello, di Spalletti, Ranieri, Zeman, Garcia e tanti altri. Qualunque idea di calcio è passata dai suoi piedi inimitabili. Qualunque progetto giallorosso non può prescindere dal suo apporto. E così sarà, anche quando smetterà di sorprenderci con le sue giocate. Perché i progetti, oltre a guardare lontano vengono da lontano, e come direbbe Francesco, anche dar core. Avanti Roma, avanti Italia.
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