“Sono felicissimo perché fino ad uno, due anni fa, sarebbe stato impensabile avere dei candidati sindaci ‘Noi con Salvini’ in terra di Sicilia“. Si mostra molto soddisfatto lo straripante Matteo Salvini in occasione della chiusura del tour elettorale, che dopo la Puglia ha toccato la Sicilia. E nonostante durante la tappa catanese di due giorni fa si sia assistito a qualche attimo di tensione (che ha coinvolto un cittadino italiano di origini eritree, vittima di insulti razzisti) e una certa dose di contestazione, la visita del Matteo da Milano in Trinacria a sostegno dei candidati del movimento ‘Noi con Salvini’ si è rivelata comunque positiva per il leader della Lega Nord.
C’è chi, memore di un passato poco simpatizzante verso il Mezzogiorno, dice che un meridionale che vota Salvini è come un ebreo che vota Hitler. Non è probabilmente il massimo della pertinenza ma nemmeno il più sbagliato tra i paragoni, tante sono state le sgommate salviniane a proposito del Sud Italia: dall’auspicata secessione all’euro non meritato dalla Sicilia, perché la Sicilia è come la Grecia (dichiarazioni di ottobre 2012). “Ho sbagliato” – dice Salvini – “ammetto le mie colpe, in passato la Lega ha un po’ esagerato coi toni. Ora però sconfiggete insieme a noi il vero nemico, la malapolitica. E nessuno tra l’altro può dirci nulla perché noi qui non abbiamo ancora governato“. Come una ruspa, Matteo Salvini non molla di un millimetro la presa del potere della pancia dell’elettorato: disarmante è la sua capacità di cambiare l’idolo polemico a seconda dell’interlocutore a cui si rivolge.
Il punto è proprio questo: sarebbe troppo facile e inevitabilmente banale fermarsi al semplice ‘come fa un meridionale a votare Salvini?‘. Piuttosto, è interessante continuare a osservare la facilità con cui l’elettorato medio riesce a tendere il proprio orecchio a favore del primo urlatore che passa. Poco importa insomma se meno di mille giorni fa il leader della Lega sosteneva apertamente che Padania is not Italy e che il Sud Italia è da considerarsi una realtà a parte, nemmeno come dopo la conquista dei Mille. Sapendo che l’ormai proverbiale questione rom in Meridione non ha la stessa presa che in Lombardia o Veneto, Matteo cambia disinvoltamente obiettivo e punta alla distruzione del sistema partitico attuale: conosce la situazione economicamente disperata di una realtà e la arringa con una sfilza di slogan a presa rapida, finendo per conquistare, incredibile a dirsi, la fiducia di almeno parte di quella realtà, magari quella delusa dall’esperienza pentastellata (un po’ come Celentano e le sue dichiarazioni di ieri).

Una sintesi mirabile di ciò che la Lega – impersonificata da Salvini – sta rappresentando durante questi giorni complicati per noi non sono sul versante economico, ma anche sociale, l’ha compiuta di recente il veneto Natalino Balasso, commentando così – in riferimento al partito fondato da Bossi – su Facebook: “La società non è una partita di calcio, vivere in società significa organizzarsi al meglio cercando di non calpestare le libertà individuali, una fottuta fatica, un quadro sempre imperfetto. Chi semplifica mente“.
La semplificazione in tal caso è anche fomentata da una situazione caratterizzata dall’ormai comprovata inefficacia della classe dirigente nostrana e da un sistema burocratico ipertrofico – spesso non imputabile alla struttura nazionale – che fa sì dunque che sia la questione dei Rom che quella del flusso migratorio vengano affrontate senza considerare tutte le varie sfaccettature che esse prevedono. Elementi che, uniti a una massiccia dose di populismo, all’assenza di un’alternativa credibile e al sempre più frequente malcontento, consegnano migliaia di preferenze potenziali, anche al sud, a chi fino a pochi anni fa tifava per un’Italia senza Sicilia e cantava contro i napoletani. Nel 1948 Orwell compose 1984, nel 2015 Salvini scrive il suo capolavoro: Matteo da Milano arriva in Sicilia. Distopia 2.0.
[Ph. Credits: Huffington Post]