Perché Sanremo è Sanremo? Ce lo chiediamo ogni anno, e puntualmente è una canzone a ricordarcelo. Non parleremo di fiori, di presentatori, di ospiti, di un fenomeno di costume, parleremo di canzoni. Le vere protagoniste della manifestazione. Attraverso i testi dei brani Sanremesi abbiamo conosciuto l’Italia, la voglia di emergere, la protesta, il complottismo, la solidarietà, la crisi. Ecco perché, andando indietro negli anni, mi sono soffermato a rileggere le parole di alcune canzoni, e ripercorrere la storia recente del nostro Paese, anche attraverso le parole della gente adulta. La nostalgia di mia madre che si ricorda di quando era giovane e bella, e di quando questo nostro Paese, diventato frettoloso, si fermava davanti ad un focolare chiamato televisione.
Le nostre madri ricordano cosa successe la notte in cui Domenico Modugno allargò le braccia per dire Volare, oh oh. A loro non interessa che quel pezzo si chiami “Nel blu dipinto di blu“, a loro è sufficiente ricordare cosa provarono i giovani, nel 1958, a sentire quel verso che faceva “poi d’improvviso veniva dal vento rapito, e incominciavo a volare nel cielo infinito“. Era una generazione, quella, alla quale avevano insegnato il valore della concretezza. Quella generazione aveva imparato (e nonostante quel volo pindarico non l’avrebbe mai dimenticato) a tenere i piedi per terra. Volare, per una notte, gli sembrò un sogno, e quel sogno l’avrebbero custodito in una canzone.
Io sono del 1979, il mio primo vero Sanremo fu quello del ’87. Uno splendido Toto Cotugno, con “Figli” arrivato, come al solito, secondo. Vinsero Morandi, Ruggeri e Tozzi. Per qualcuno di loro si trattò di una conferma, per altri di un rilancio. Di certo a vincere fu la tematica. A metà anni ’80 la solidarietà e, permettetemi, in un certo modo anche l’ipocrisia, erano temi vincenti. “Si può dare di più” è una canzone disimpegnata che parla di impegno, la colonna sonora ideale delle partite della nazionale cantanti. E se parlo con te, e ti chiedo di più è perché te sono io, non solo tu ricorda molto il principio di Solidarnosc un movimento polacco particolarmente in voga in quel periodo. Ci riproverà qualche anno dopo Umberto Tozzi con “Gli altri siamo noi“, ma questa volta, anche se “i muri vanno giù al soffio di un’idea” (è da poco caduto il Muro di Berlino), il brano non avrà il successo sperato.
La canzone simbolo dell’edizione 1991 arrivò terza: Marco Masini presentò “Perché lo fai”, e raccontava la storia di una ragazza come tante altre. Una ragazza “con le mani da violino” che non riusciva ad uscire dal tunnel delle droga. Sono anni difficili. I giovani non stanno su Facebook, ne tantomeno su WhatsApp. Molti di loro, che oggi raccontano di essere migliori dei loro coetanei odierni, avevano conosciuto la droga nella forma più becera possibile, quella più vicina alla morte: bucarsi era una moda a fine anni ’80 e Masini lo urlò a modo suo.
Quattro anni più tardi fu il turno del miracolo italiano: 1994, Silvio Berlusconi sta cambiando mestiere, e non è un caso che Aleandro Baldi canti “Passerà“. Non è nemmeno un caso, tutto sommato, che in questi anni vincano diversi non vedenti, tra cui un meraviglioso Andrea Bocelli ma anche le meteore Baldi e Annalisa Minetti. Bisogna attendere il 1997 per vedere vincere invece due sconosciuti, i Jalisse, sulla cui canzone non mi soffermerò. Molto più utile fare un passo indietro, nel 1996 quando Fiorello aveva in pugno una vittoria certa. “In quel momento ero Dio sul palco dell’Ariston – dichiarerà Fiorello – avevo la canzone più bella, ero l’uomo del momento grazie al Karaoke, stavo con la donna più desiderata d’Italia (Anna Falchi ndr)“. Fiorello steccò (letteralmente stonò) in finale, presi fischi di disapprovazione e di invidia. Sparì per un po’, vinse Ron con “Vorrei incontrarti tra cent’anni” una canzone per tutte le stagioni.
Arriviamo ai giorni nostri con Emma che, attraverso Kekko dei Modà, scrive una lettera ad un ipotetico Presidente. Nelle prime due strofe gli da del tu, nelle altre del lei, ma lo nota solo Mario Luzzatto Fegiz, lei fa spallucce, come a dire “non lo so, non l’ho scritto io“. Ma quando canta “Non è l’inferno” e parla di precarietà, crisi e futuro è incazzata il giusto, come i ragazzi della sua, nostra, generazione. Oggi quella ragazza presenta Sanremo. Lei dall’inferno si è salvata, i suoi coetanei no. E chissà se pensano ancora che in fondo “Sanremo è Sanremo”.
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