Il rapporto sulla qualità dei sistemi scolastici europei emanato dall’Ocse non lascia dubbi: la scuola italiana è ancora ancorata ad un modello che non permette più una gestione idonea. Innanzitutto abbiamo troppi professori, in buona parte inadeguati e che pensano di svolgere “un lavoro come un altro” per portarsi a casa lo stipendio sottraendo posto ai tanti precari che, alcuni da decine di anni, lottano per il posto fisso senza mai raggiungerlo.

Emerge forte l’allarme per il numero dei giovani inattivi, i cosiddetti Neet (Neither employed nor in education or training) : dal 2008 ad oggi infatti questo dato ha visto una vertiginosa ascesa, passando dal 19 al 24%. Il risultato di questo cambiamento nel mondo del lavoro e nel passaggio tra scuola e lavoro è che un ragazzo su 3 tra i 20 e i 24 anni è del tutto inattivo. Certamente in questo senso c’è la complicità degli allarmanti dati emanati nel nostro paese riguardo la disoccupazione degli under 26: infatti in questa fascia il 40% degli interessati è senza lavoro, e non dobbiamo quindi stupirci che, dei ragazzi tra i 16 e i 23 anni che hanno abbandonato la scuola, uno su tre sia completamente inattivo (in cifre il 33%). La percentuale di tale dato si fa ancor più preoccupante, se pensiamo che essa è aumentata del 20% in un solo anno.

«In un periodo di crisi di solito dovrebbe aumentare il numero di ragazzi che restano a scuola, anche negli istituti professionali – spiega Francesco Avvisati che ha curato il rapporto Education per quanto riguarda l’Italia –ma evidentemente nel nostro Paese non funziona il passaggio dalla scuola/formazione al mercato del lavoro”.

In “perdita” anche le Università che, dopo il boom di iscrizioni del 2008 continuano a registrare un vertiginoso calo delle matricole: anche qui la colpa si può dare alla crisi e alla mancanza di risorse che le famiglie possono investire nella scuola, ma il trend rappresenta un andazzo pericoloso per il sistema scuola del nostro paese. Infatti la dispersione scolastica sta aumentando e l’Italia rischia davvero di perdere il primato che aveva in materia di “produzione di eccellenze scolastiche”.

La scuola è debole, bisogna cambiare per produrre eccellenza, infografica

Forse mancano le risorse, forse c’è stato un cambio di direzione dello stato nell’istruzione dell’obbligo e delle direzioni di ateneo per le università, ma in Italia non siamo più in grado di far capire che la scuola e la cultura sono parti fondamentali della crescita delle persone. La punta dell’iceberg è la matematica: gli studenti italiani sono i più impreparati d’Europa in questa materia, e il buco non è solamente colpa degli studenti, troppo facile dire sempre che non hanno voglia di studiare. Solo negli ultimi cinque anni le ore di matematica sono state tagliate del 20% nei licei non di indirizzo e del 30% proprio al liceo scientifico, che sta confermando la credenza popolare per cui questo indirizzo non è fatto per chi ama la matematica, ma semplicemente per chi non sa ancora cosa vorrà fare “da grande”.

Un disinteresse generalizzato nel sistema scuola ci sta portando lontani dagli obiettivi che un Paese ricco di cultura come il nostro dovrebbe porsi, e basterebbe davvero poco: si potrebbero finalmente applicare le valutazioni degli studenti sui professori, facendo in modo che i docenti che scaldano la sedia (sì, lo fanno anche loro) vengano penalizzati, e tutti gli insegnanti, magari anche precari, che lavorano per passione, possano davvero sognare una carriera degna dell’importantissimo lavoro che svolgono.

Sia chiaro, la colpa non è solo dei professori ma di un sistema che, da qualche anno a questa parte, è stato lacerato da riforme terrificanti che puntavano solo a depredare i fondi che venivano investiti sulla scuola pubblica. La risposta è una sola: l’Italia ha smesso di mettere l’istruzione al primo posto e, ora che i risultati di queste manovre iniziano a venire a galla, si comincia a scaricare barile sulle responsabilità. Crisi o non crisi la scuola è sacra, è occasione di apprendimento per tutti, e occasione di riscatto sociale per chi ha meno possibilità degli altri: non possiamo permetterci di non investire sul futuro del paese, le autostrade possono aspettare.