I droni potrebbero portare messaggi di pace, viveri, medicine agli ammalati. Potrebbero far divertire i bambini e invece, nella maggior parte dei casi, non fanno sorridere affatto. Vengono utilizzati dai soldati americani per sganciare bombe in Medio Oriente e da ieri servono a creare scompiglio negli stadi con messaggi nazionalistici, come accaduto in Serbia – Albania. D’Altronde l’ISIS si lamenta proprio di questo, e chiede all’esercito americano di combattere in trincea, con le armi, e non attraverso questi originali oggetti volanti. Strana razza, quella umana. Si impegna a realizzare tecnologie avveniristiche per poi utilizzarle in guerra, o al massimo cederle ad Amazon per velocizzare le consegne.
Quello che è successo ieri sera al Partizan Stadium di Belgrado non è soltanto figlio di un drone. L’avevano annunciata questa battaglia. Il nostro Gianni De Biasi aveva tirato fuori, magari con un pizzico di incoscienza e con la bonarietà di un veneto, un vecchio detto albanese “Se il padre della guerra è tedesco, la madre è sempre balcanica“. Sì Gianni, ma non pensavamo così tanto. Magari in cuor suo c’era la consapevolezza di poter giocare a calcio questa volta. E invece niente, cinquecento anni di storia sembrano essere passati invano. È bastato un drone, una bandiera, un gesto un po’ troppo superficiale di un calciatore, Mitrovic, ed ecco il putiferio.
Il tutto sotto gli occhi allibiti di due allenatori stranieri, l’olandese Advocaat e l’italiano De Biasi appunto e di un arbitro inglese, Aktinson. Sembra una barzelletta, ma non lo è. Il calcio non è solo uno sport, ma un fenomeno sociale, e agli attori è richiesta una conoscenza accurata del contesto storico. Conoscenza che sarebbe richiesta anche alla UEFA che invece si diverte a far giocare contro Serbia e Croazia, Macedonia e Albania e via dicendo, in nome del rispetto. Il fine è nobile, unire attraverso il calcio, ma in alcuni casi si potrebbe aprire una riflessione sull’opportunità di far giocare certe partite con cotanta leggerezza. Ricordo un match tra Usa e Iran durante i mondiali del 1998 con i giocatori che scesero in campo con una rosa bianca e un’organizzazione blindata, quasi pilotata. Non dico che bisognava arrivare a tanto, ma se questa partita si voleva far disputare le attenzioni dovevano essere molto diverse.
Il problema è che le tensioni sono troppo grandi e le ferite troppo profonde: il Kosovo è un argomento di straordinaria attualità nel contesto europeo. Ci preoccupiamo tanto del Medio Oriente e non ci rendiamo conto dei focolai di guerra ancora accesi nella nostra Europa, dove solo 20 anni fa si mettevano a ferro e fuoco i balcani. La bandiera portata dal drone, giova ricordare, non è quella del Kosovo, ma della Grande Albania. Raffigura il territorio albanese comprensivo di regioni che attualmente non fanno parte dello stato dell’Aquila a doppia testa. Tra questi la regione del Kosovo e di parti di territori del Montenegro, della Macedonia e della Grecia. Sulla bandiera compaiono i volti di Ismail Qemali e Isa Boletini, i due volti più rappresentativi dell’indipendenza albanese dall’Impero Ottomano, ottenuta nel 1912. Boletini, nello specifico, è stato il comandante della guerriglia della resistenza albanese nei confronti dell’Impero Ottomano, del Kosovo e della Serbia. Sulla bandiera anche la scritta “autoctona“. Insomma, non proprio un messaggio distensivo.
E cosa succede se un giocatore Serbo, Mitrovic, affonda malamente il drone ripiegando la bandiera, magari perché preso dalla foga di riprendere la partita velocemente? Succede che si ritrova mezza squadra albanese addosso. Una squadra che rivendica la bandiera, che gli intima di non toccarla perché quello è il loro simbolo. Ed è qui che si scatena il putiferio. In campo ragazzi degli anni ’90, da una parte e dall’altra. Uomini che sono stati bambini quando dalle loro parti sentivano esplodere le bombe e vedevano saltare i ponti per aria. Bambini che, in molti casi, hanno lasciato presto il loro paese, senza però dimenticare la storia più recente. E che pensano di combattere una guerra quando indossano la maglia della loro nazionale. Guerra che i loro tifosi apprezzano.
Mitrovic sapeva cosa rappresentava quella bandiera, e ancora di più lo sapevano i giocatori della nazionale albanese, accorsi a difenderla con tanta foga. Nel frattempo l’arbitro si informava sull’accaduto, decidendo di sospendere la partita. Prima della gara l’inno albanese è stato coperto da pesanti fischi. Per buona parte del match e soprattutto dopo l’ingresso in campo del drone con la bandiera albanese, una vera e propria provocazione nei confronti dei serbi, i tifosi del Partizan Stadium hanno intonato a ripetizione il coro “Kosovo è Serbia“. Ciliegina sulla torta, sul terreno di gioco, appena sono scoppiati gli scontri tra giocatori e tifosi, è comparsa una nostra vecchia conoscenza: Ivan Bogdanov, la “bestia” che “ordinò” la sospensione di Italia-Serbia nell’ottobre del 2010. L’ultras nazionalista è uscito dal carcere da qualche mese, dopo aver scontato una condanna per l’aggressione ad alcuni poliziotti avvenuta nel 2006 durante una rissa fra tifosi di basket della Stella Rossa e del Partizan. Bogdanov, che a Genova in quella folle notte incendiò una bandiera albanese (e, guarda caso, a Genova si giocherà l’amichevole tra Italia e Albania), sul terreno di gioco ha trattato con la polizia per far ripartire il match e ha aizzato la folla sugli spalti.
Dulcis in fondo, l’accusa al fratello di Edi Rama, Premier Albanese. I media serbi hanno diffuso la notizia secondo cui il drone con la bandiera fosse stato pilotato proprio dal fratello del primo ministro albanese. Circostanza poi smentita: pare però che la polizia serba abbia fermato per 50′ Orfi Rama, prima di lasciarlo andare. Poco felice il tweet del Presidente Rama, che dice “Sono orgoglioso dei nostri giocatori fino a quando c’è stato il calcio. Ma sono dispiaciuto per lo spettacolo vergognoso a livello mondiale dei nostri vicini“.
Krenar per Kuqezinjte qe per sa pati futboll fituan me loje e me raste / Keqardhje per fqinjet qe lane nam boterisht me shfaqjen e shemtuar
— Edi Rama (@ediramaal) 14 Ottobre 2014
Una dichiarazione che non lascia spazio alle interpretazioni quando la verità è, purtroppo, che la guerra non si fa da soli, che i colpevoli sono tutti. E infatti non si è fatta attendere la risposta del ministro degli esteri serbo Dacic: “Mai era successa una cosa del genere in un campo di calcio. Attendo la risposta dell’Unione Europea e dell’Uefa. Pensate: se fosse volata una bandiera della Grande Serbia su un campo da calcio a Pristina o a Tirana, sarebbe già intervenuto l’Onu“. Vecchie ruggini, ferite aperte, e soprattutto quasi cinquemila persone all’aeroporto di Tirana ad attendere gli “eroi di Belgrado“: dopo la sospensione della partita le strade dell’Albania si sono paradossalmente riempite di gente in festa. I giocatori De Biasi sono stati trattati come dei veri e propri eroi per aver difeso la propria nazione. Nel frattempo arrivano notizie di bandiere serbe bruciate a Scutari e Tirana. E il 22 ottobre è prevista la storica visita di Edi Rama a Belgrado: per la prima volta dal 1948 ad oggi l’Albania e la Serbia si incontrano a livello politico. Verrà confermato l’appuntamento? O forse è il caso di rimandare?
Resta da capire cosa deciderà l’Uefa: sul proprio sito ha dedicato solamente due righe a quanto accaduto a Belgrado: “Il match di qualificazione del Gruppo I tra Serbia e Albania è stato sospeso e le circostanze saranno riportate alla commissione disciplinare, etica e di controllo della Uefa“. Gli albanesi sono sicuri di ottenere lo 0-3 a tavolino, mentre i serbi si sentono provocati. Gli scontri di Marassi del 2010 costarono alla Serbia la sconfitta a tavolino più un turno a porte chiuse. Ma qui ci sono i presupposti per provvedimenti molto più pesanti. E intanto Cristiano Ronaldo ringrazia e, vicendo in Danimarca, rilancia il suo Portogallo nel girone. Un girone che sembrava bellissimo e aperto, con un Albania finalmente al livello delle altre e una Serbia in ripresa. Ma i balcanici sanno sempre come rovinarsi con le proprie mani, altrimenti la grande Yugoslavia avrebbe primeggiato nel calcio e non solo. Ma questa è un’altra storia. Una storia senza droni. Una storia che l’Europa deve ancora capire e digerire evidentemente. Che l’UEFA se ne faccia una ragione.
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