Nella sua biografia Sergio Ramos parla di cuore, personalità e passione. C’erano tutte, queste caratteristiche, in quel salto. In quei dieci minuti giocati all’attacco. Minuti di passione pura. Io ci provo, salto e chiudo gli occhi. Gli avversari sono stanchi, non ne hanno più, la buttano in preghiera. Superiamo questo calcio d’angolo e ci buttiamo per terra, stremati, a festeggiare. Ma non basta Simeone che arringa lo folla. È il trans agonistica, il Cholo. Ancelotti ha la faccia di quello che prima o poi la riprende la partita. Ma vaglielo a spiegare agli altri componenti della panchina. Salta Sergio, provaci ancora. Non può sfuggirti questa Coppa.
E Sergio Ramos salta ricordandosi di un rigore mandato alle stelle, una volta, in una semifinale che mise Mourinho in ginocchio. Una scena rara da vedere. Ma con Mou le cose non andavano benissimo, poi è arrivato Carletto. Il tempo di riaprirgli, gli occhi, è lo scenario è cambiato. L’esaltazione si trasforma in depressione. La delusione diventa gioia. La parte bianca dello stadio alza le mani al cielo, quella biancorossa le porta sui capelli, e da lì non le toglierà più. Una città intera segue quella traiettoria con il fiato sospeso e il calcio dimostra, una volta di più, di essere stupendamente perfido quando si mette a prendere a pallonate il destino delle persone.
Sergio Ramos è uno dei difensori più forti del mondo. È completo, intelligente, tecnico, ma non solo. Ha quella che gli uruguagi chiamano la garra. I suoi duelli con Piqué non piaceranno agli amanti del fair play ma rappresentano perfettamente il dualismo Castiglia – Catalogna, anche se Sergio è un andaluso di quelli prepotenti. Di quelli che non vogliono perdere nemmeno quando giocano per strada. Sergio Ramos è uno dei difensori più vincenti della storia. Un Mondiale, due Europei, Liga e Champions (la sua scommessa più grande) tanto per citare solo i trofei più importanti.
Eppure c’è chi lo ricorda solo per aver fatto cadere una Coppa (quella del Rey) da un bus scoperto, o per aver tirato un rigore alle stelle. O per le sue entrate non proprio da collegiale. No, non funziona così. Sergio Ramos non avrà la classe di Franco Baresi o di Kaiser Franz, e nemmeno l’eleganza di Thiago Silva e Krol, ma nella storia del calcio ci sta alla grande. Nella conquista della Champions è stato decisivo, e non solo in finale. Si è preso anche la briga di segnare due gol a Monaco, a casa di Guardiola spianando, di fatto, la via verso Lisbona. Ed ha solo 28 anni e una carriera tutta da scrivere. Ovviamente nel Real, dove Sergio ha promesso di voler restare por la vida.
Per uno che gioca come un veterano da quando aveva 18 anni, e cioè da quando mise per la prima volta piede al Santiago Bernabeu, non dovrebbe essere un grosso problema. As, noto periodioco iberico, ha fatto il suo nome per il prossimo pallone d’oro. Forse è esagerato, ma vi ricordo che quel premio l’ha vinto anche Sammer. Non sarebbe una bestemmia assegnarlo ad un difensore così. Intanto la sua biografia Corazón, carácter y pasión diventa imprescindibile per capire il madridismo del ventunesimo secolo. La rincorsa alla decima, l’orgoglio blanco. E quel salto ad occhi chiusi. Lì la storia è cambiato davvero. Per il Real, per l’Atletico e per Sergio. Il difensore più sottovalutato della storia.
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