Giorno 7 gennaio 2015 e ancora oggi con la scia degli ultimi attacchi terroristici in Francia, è stata dichiarata guerra alla libertà, alla libertà di espressione, alla pace e a tutti i valori democratici che ci tengono insieme.
Con l’attacco alla redazione del giornale satirico Charlie Hebdo, i terroristi dell’Isis, che hanno rivendicato l’attentato, hanno dichiarato guerra a tutti, alla libertà di pensiero, di esprimere un’opinione, giusta o sbagliata che sia, e alla libertà di essere diversi. Hanno usato il nome di un dio e del profeta per giustificare l’ingiustificabile.
L’Europa e il mondo sono belli perché vari, siamo in tanti e conviviamo con tutte le difficoltà del caso, imparando gli uni dagli altri, anche scontrandoci nelle nostre visione del mondo e della società, in un mix di cittadini ebrei, cristiani, musulmani, buddisti, atei e così via. Dopo anni e continue lotte contro il razzismo e il diverso, il rispetto totalitario verso le idee del prossimo sembra ancora un’utopia.
Diciamo basta a chi non rispetta il diritto di fare satira e di esporre le proprie idee, basta allo scorrere di sangue innocente e basta alla xenofobia, vero male della nostra società odierna. Fa male sapere che degli esseri umani sono stati uccisi da una mano vigliacca perché volevano solo far ridere, ma fa male anche capire il disegno che c’è dietro, ovvero una volontà di distruzione totale. Chi ha ucciso sa che si scatenerà l’odio. È stato scelto un target, la redazione di un giornale satirico, che era sì un target simbolico, ma anche facile da attaccare.
Questi sono per tutti giorni neri, di lutto, giorni in cui, nuovamente in nome di un Dio, di una pretesa superiorità che deriverebbe da un’investitura divina, sono state uccise delle persone. La loro colpa? Avere espresso un’opinione, senza filtro, aver appoggiato un’altra religione o a nessuna. Se siamo in guerra si deve cominciare a pensare come combatterla e se vogliamo vincerla dobbiamo affidarci a quello che ci rende più forti, i nostri valori e l’unione.
A prescindere da come la si pensi, è legittimo il diritto di Charlie Hebdo a manifestare il proprio pensiero ed è altrettanto legittimo il sentimento di umiliazione o affronto che un credente possa provare davanti ad alcune vignette del settimanale francese. Talmente legittimo da potersi rivolgere ad un giudice per vedere tutelati i propri diritti. Ciò che non è legittimo e che non ha, non solo giustificazioni, ma nemmeno ragioni o motivazioni è l’attacco terroristico e l’omicidio indiscriminato, a danno di cittadini innocenti, perché ogni forma di violenza ingiustificata e inumana sarà condannata.
La satira non è stata a guardare, ha reagito con grande forza alzando matite e penne verso il cielo. Decine, centinaia, migliaia di vignette in ricordo di quei colleghi ai quali è stata rubata la vita e la possibilità di esprimersi, ma che in realtà sono l’emblema di come sia impossibile mettere un bavaglio alla libertà di espressione. Si possono trovare in rete, seguendo l’hashtag #JeSuisCharlie.
Un altro slogan di solidarietà dell’Islam, in risposta a #JeSuisCharlie, è l’hashtag #Not in my name, di risposta alla guerra mediatica che li sta coinvolgendo, perché è facile cadere nell’errore di generalizzare, di condannare un intero popolo o una religione.
Abbiamo alle spalle episodi simili, come l’omicidio di Theo Van Gogh, in Olanda, tredici anni fa, o la fatwa promulgata contro Salman Rushdie, all’epoca della pubblicazione de “I versetti satanici”, che hanno sconvolto le nostre coscienze e ci colpiscono nel profondo, perché minano qualcosa che si chiama Libertà, che è stato raggiunta dopo anni di lotte e guerre contro chi si inneggiava a razza superiore o chi era accecato dal potere.
Hanno ucciso 12 persone, ferite altre 11, tra cui due agenti di polizia intervenuti, uno dei quali finito in strada con freddezza disumana. Ricordiamo le matite di punta di Charlie Hebdo: Charb, direttore della testata, Tignous, Cabu e Georges Wolinski, straordinari e gioiosi disegnatori che in ogni vignetta hanno celebrato l’anarchico e inebriante profumo della libertà. Sono sicura che in qualsiasi posto si trovino, sarebbero fieri di noi e stiano disegnando con la solita ironia irriverente queste pagine nere della storia.
Ecco i nomi delle dodici persone morte nella redazione di Charlie Hebdo, per ricordarli tutti e non dimenticarli:
Frédéric Boisseau, custode
Franck Brinsolaro, agente di sicurezza
Jean Cabut, noto come Cabu, disegnatore
Elsa Cayat, psicanalista
Stéphane Charbonnier, noto come Charb, disegnatore
Philippe Honoré, disegnatore
Bernard Maris, economista
Ahmed Meradet, agente di polizia
Mustapha Ourrad, correttore di bozze
Michel Renaud, ex capo di gabinetto del sindaco di Clermont-Ferrand e fondatore del Carnet de voyage
Bernard Verlhac, noto come Tignous, disegnatore
Georges Wolinski, disegnatore
“Se libertà significa qualcosa, allora è il diritto di dire alla gente ciò che non vuole sentirsi dire”
George Orwell
#JeSuisCharlie