Siamo agli sgoccioli, ormai. Le scuole stanno riaprendo i battenti, poco per volta, e l’incubo per molti bambini e ragazzi sta ricominciando. Le vacanze sono terminate e il rientro può generare non poco stress agli alunni. Esattamente come capita agli adulti quando rientrano al lavoro dopo le tante agognate ferie. Non perché sono più piccoli, dunque, i segnali di allarme possono essere ignorati. Alcuni sono certamente in modo più evidenti, altri meno, ma quasi tutti i ragazzi, a proprio modo, soffre di ansia nei giorni che precedono l’apertura dei portoni.

Le motivazioni possono essere varie, il ritrovo con i compagni e i professori, l’ansia di essere nuovamente “giudicati”, di affrontare un intero altro anno di studio e impegno costante dopo la pausa della stagione estiva. Certo, ma possono anche dipendere da situazioni pregresse che il ragazzo si era lasciato alle spalle, molto più gravi, come bullismo e violenza da parte di altri compagni.

Anche il Dott. Andrea Epifani, psicologo clinico, psicoterapeuta in formazione a orientamento cognitivo, dottore di ricerca e professore presso l’Università di Urbino ce ne parla e ci lascia alcuni consigli per affrontare al meglio l’inizio del nuovo anno scolastico.

Credits Photo: Dott. Andrea Epifani
Credits Photo: Dott. Andrea Epifani

Dott. Epifani, il rientro a scuola è per i bambini quello che per gli adulti è il rientro in ufficio. Rivedere i compagni, rivedere gli insegnanti, rimettermi alla prova e fare i conti con la pigrizia, conseguenza del dolce far nulla estivo. Spesso questo può causare stress nei ragazzi. Quali sono i principali sintomi che si manifestano?

Sicuramente ansia, stress e paura la fanno da padrone nelle situazioni in cui il ragazzo vive con disagio il rientro a scuola. I più piccoli possono manifestare irrequietezza, disturbi del sonno, irritabilità, ricerca di attenzioni più del dovuto.
Nei ragazzi più grandi l’ansia può diventare ancora più evidente ed esprimersi in vari modi. Spesso il quadro è dominato da sintomi psicosomatici come mal di testa o disturbi gastrointestinali. Si tratta delle situazioni nelle quali il ragazzo fa fatica a riconoscere, o a condividere, la propria emozione di ansia e le proprie preoccupazioni.
Occorre prestare attenzione a questi sintomi soprattutto quando il ragazzo sta per iniziare un nuovo ciclo di studi. A seconda delle personali inclinazioni del ragazzo e del suo stile relazionale, il cambiamento del contesto può essere vissuto come una minaccia. In questi casi l’ansia può diventare anche molto invalidante e interferire con il graduale processo di adattamento al nuovo ambiente. Si tratta di situazioni che, se non rientrano spontaneamente, dovranno essere affrontate con l’aiuto di uno specialista.
Inoltre, nei ragazzi più grandi, talvolta si tratta di sintomi che denotano una paura dei compagni, magari per episodi di bullismo pregressi.
Non bisogna dimenticare, però, che una certa dose di ansia può essere normale. Esattamente come noi adulti, anche per i più piccoli è normale vivere con un iniziale disagio il rientro scolastico.

Quali sono i consigli che si sente di dare agli alunni, prima, e ai genitori dopo?

Il rientro è spesso fonte di disagio innanzitutto per il cambiamento di ritmo che comporta. Tenendo presente questo aspetto, un accorgimento utile potrebbe essere quello di adattarsi gradualmente ai nuovi orari in anticipo rispetto al primo giorno di scuola. Ritornare pian piano alle ore di sonno comuni permette di vivere il rientro con meno frustrazione.
I genitori potrebbero aiutare il figlio a tollerare maggiormente il disagio comunicando allo stesso tempo comprensione e incitazione positiva. Può essere utile focalizzare come ci sentiamo noi adulti al momento del rientro al lavoro e cosa ci piacerebbe sentirci dire in quei momenti. In questo modo sarà più facile entrare in empatia con il disagio del ragazzo, validando le sue emozioni e aiutandolo a regolarle.
Infine se le emozioni del ragazzo sono particolarmente intense ed evidenti, è fondamentale riuscire a stimolarlo a parlarne e a condividere le sue paure. L’ansia e la paura diventano sempre più invalidanti nel momento in cui abbiamo difficoltà a condividere quello che proviamo con qualcun altro, e questo vale sia per noi adulti che (soprattutto) per i più piccoli.

Negli ultimi anni si sta sempre più appesantendo il rapporto “insegnanti-genitori”. Se un tempo erano alleati, oggi i ragazzi sono riusciti a portarsi i genitori nella propria squadra. Per il bene e la formazione dell’alunno, qual è il comportamento più corretto da porre in atto?

A mio avviso questo cambiamento nel rapporto tra genitori e insegnanti è dovuto a vari fattori. È molto comune al giorno d’oggi vivere con una certa vergogna il fatto che il proprio figlio non vada benissimo a scuola, oppure che abbia comportamenti poco consoni. Può capitare, ad esempio, che il genitore pensi che suo figlio abbia qualcosa in meno rispetto agli altri, o cose di questo tipo. È sicuramente il modo peggiore per affrontare la questione, e nella società contemporanea dominata dalla performance, dal dover essere perlomeno alla pari degli altri e dal non apparire “in difetto”, capita che il genitore si difenda dai suoi vissuti accusando l’insegnante di non capire il proprio figlio, di avercela con lui, di non fare bene il suo lavoro, etc.
È opportuno sottolineare che un atteggiamento di questo tipo non fa bene né al proprio figlio né al lavoro degli insegnanti il cui ruolo è quello di aiutare l’alunno sotto tutti i punti di vista. Il ragazzo, infatti, si sentirà completamente deresponsabilizzato, e dall’altra parte l’insegnante avrà notevoli difficoltà ad interagire in maniera efficace con lui. Ciò può innescare un circolo vizioso sempre più difficile da sciogliere, e chi ne fa le spesso è sempre il ragazzo e il suo processo di crescita.
In linea generale, quindi, l’atteggiamento più opportuno è quello di allearsi in maniera propositiva con l’insegnante, riconoscendo i propri vissuti di vergogna e disagio come proprie modalità di vivere la cosa che non devono essere proiettate sul docente.
Ovviamente non occorre neanche sfociare nell’atteggiamento opposto, diventando accusatori nei confronti del ragazzo. Quindi la strada migliore è quella di stimolare il proprio figlio, più che accusarlo.

Anche per gli insegnanti non è facile tornare a capo di 30 alunni da tenere a bada, dopo due mesi di “distacco” e bisogna essere sempre in forma per dare il meglio di sé. Quale approccio è meglio usare in questi casi, per avere una risposta positiva dalla classe?

Credo che ogni insegnante, soprattutto se con anni di esperienza, abbia la sua specifica modalità con la quale affronta il rientro.
A mio avviso il problema oggi è che molti insegnanti precari cambiano scuola ogni anno e sono quindi costretti ad adattarsi a nuovi ambienti, nuove classi e nuovi ragazzi. Ciò sicuramente può rendere particolarmente stressante la “sindrome da rientro scolastico”, dal momento che non è sempre facile affrontare ogni anno un cambiamento di questo tipo.
L’altra faccia della medaglia è che questi cambiamenti forzati, se affrontati con il giusto atteggiamento, contribuiscono a fornire all’insegnante maggiore flessibilità e capacità di adattamento. Qualità che entreranno a far parte del suo bagaglio di competenze personali, migliorando le sue capacità di relazione e insegnamento.