Ci voleva Captain America per rubare la scena a Pio e Amedeo: lo scorso weekend il supereroe Marvel ha scalzato Amici come noi, l’esordio sul grande schermo del duo comico de ‘Le iene’, in vetta al box-office per due settimane.

Avevamo bisogno proprio di Captain America per salvarci da Pio e Amedeo? A quanto pare sì. Perché se esaminiamo gli incassi al botteghino dei mesi precedenti, dal Fuga di cervelli di Ruffini ai Due Soliti Idioti, fino all’uomo dei record Checco Zalone (benedetto dall’asso pigliatutto Pietro Valsecchi), Pio e Amedeo sono solo una delle tante conferme: la comicità italiana, almeno quella sul grande schermo, non se la passa esattamente bene.

Senza andare troppo lontano – evitando di scomodare Totò, i De Filippo o Aldo Fabrizi – il gap tra la situazione attuale e quella in vigore fino alla metà degli anni ’80 è evidente. Cerchiamo allora di capire come abbiamo fatto, in meno di trent’anni, a passare da Alberto Sordi a Pio e Amedeo, partendo da quando aveva ancora senso parlare di comicità all’italiana.

Da nord a sud, dall’alto al basso

Se c’è una cosa che caratterizza il nostro umorismo cinematografico di un tempo è la sua natura composita. Il panorama comico del Belpaese, almeno sino agli anni ’80 (con la rivoluzione delle tv private) offre un menu variegato. Una varietà non solo diatopica, che va dalla Lombardia di Pozzetto alla Sicilia di Lando Buzzanca, passando per la Roma di Sordi e la Campania di Troisi, ma anche diafasica. Il genere di quel periodo sa parlare sia dell’alto, sia del basso: ci sono Un americano a Roma, Fantozzi e Ricomincio da tre, ci sono anche i Pierini di Alvaro Vitali o le commedie ad episodi con Lino Banfi e Pippo Franco che, nonostante il valore artistico quasi nullo, si rivelano spesso efficaci operazioni-risata. Non è un caso se, negli anni a venire, i vari L’allenatore nel pallone o Vieni avanti cretino sono diventati piccoli cult, simboli di un cinema grossolano e disimpegnato, a suo modo caparbio, certamente genuino.

Massimo Troisi in 'Ricomincio da tre'
Massimo Troisi in ‘Ricomincio da tre’

Un universo TV-centrico

Negli annali della comicità all’italiana non ci sono solamente fenomeni dunque. Allo stesso modo, sarebbe errato tentare di individuare la ragione del declino degli ultimi decenni nella mutazione dei gusti del pubblico: la vis comica è uno di quegli elementi che al cinema risentono di meno dello scorrere del tempo. Miseria e nobiltà fa ridere anche a distanza di sessant’anni. Per capire invece perché la comicità italiana ha ceduto il passo a quella italiota, è necessario considerare due aspetti, questi sì, soggetti ai tempi che cambiano. Perché se è un dato di fatto che negli anni ’80 lo spettacolo, almeno quello mainstream, è diventato TV-centrico (a discapito del grande schermo), questa inversione dei poli si è ripercossa sul cinema. In precedenza l’attore comico, persino la macchietta, nella maggior parte dei casi iniziava recitando. Poco cambia se partendo dal teatro, dal locale di cabaret o davanti la macchina da presa. Erano anni in cui la parola gavetta aveva ancora un significato, in cui la carriera vera e propria cominciava almeno dopo varie stagioni di anonimato. Un periodo distante anni luce rispetto ad oggi, in cui il cinema diventa la proiezione di ciò che nasce e si sviluppa, a velocità supersonica, sul piccolo schermo: si inizia con Indietro tutta e Drive In (Ezio Greggio, Nino Frassica), si prosegue con Mai dire Gol (Antonio Albanese, Aldo Giovanni e Giacomo), per approdare a Zelig (Zalone, Ficarra e Picone), MTV (I soliti idioti), Le Iene e addirittura internet, con lo youtuber Frank Matano reclutato da Ruffini per Fuga di cervelli.

Gianfranco D'Angelo ed Ezio Greggio in 'Drive in'
Gianfranco D’Angelo ed Ezio Greggio in ‘Drive in’

Il ricambio generazionale

Che adesso a dettar legge sia la TV non è necessariamente un male però. Bisogna godere di una veduta panoramica per arrivare al cuore della questione, eludendo sin da subito un pregiudizio: i Pio e Amedeo ci sono sempre stati. Una volta avevamo i Gigi e Andrea, i Gatti di Vicolo Miracoli, persino i Trettrè. Il problema semmai è il contrario: una volta, oltre ai mostri sacri in precedenza citati, avevamo anche i Luciano Salce, gli Steno, i Sergio Citti, formidabili mestieranti e maestri della dissacrazione. I Carlo Croccolo, gli Aldo Maccione, i Mario Carotenuto, fuoriclasse dei tempi comici. I Gigi Proietti e i Lino Toffolo, istrioni di lusso.
La situazione odierna è ben diversa: Aldo, Giovanni e Giacomo non fanno più ridere da dieci anni, Benigni e Verdone da venti, Villaggio da trenta. I vituperati Boldi e De Sica, dopo aver strenuamente difeso per decenni un prodotto che li aveva visti protagonisti, virano pian piano verso le commediole soft. L’unico a tenere botta sembra essere Papaleo, esploso tardi da attore.
Insomma, per usare l’espressione preferita di chi critica la Nazionale dopo un Mondiale fallimentare, è mancato il ricambio generazionale.

Non c’è da meravigliarsi quindi se di questi tempi i Pio e Amedeo di turno sfondano con tanta disinvoltura: in mezzo ai nani, anche una persona di media statura può svettare facilmente.

[Ph. Credits: movieplayer.it]