Diciamocela tutta: gli omaggi, i revival, in generale le citazioni a sé stanti di epoche relativamente lontane hanno un po’ rotto le scatole. Così come ha un po’ rotto le scatole la retorica del ‘ma che ne sanno‘, applicabile soprattutto ai poveri ragazzini del 2000, colpevoli di essere nati nell’epoca di Justin Bieber anziché di Eros Ramazzotti. Tuttavia, c’è questa benedetta serie che Netflix ha pubblicato sulla propria piattaforma proprio pochi giorni fa che ci costringe a mettere da parte critiche e pregiudizi e a immergerci nuovamente nell’atmosfera fantascientifica (in tutti i sensi) degli anni ’80: perché Stranger Things non è solo un bell’esercizio di stile, ma un formidabile prodotto di intrattenimento.

Pensando alla controparte sul grande schermo uscita pochi anni fa, Super 8, pareva scontato lo zampino di J.J. Abrams: e invece no, perché Stranger Things è una creatura dei Duffer Brothers (Matt e Ross), che insieme a Dan Cohen e Shawn Levy (regista della serie di Una notte al museo) si sono occupati della produzione esecutiva, oltreché di soggetto e sceneggiatura. La storia, manco a dirlo, ha come cornice la provincia statunitense del 1983: nella cittadina di Hawkins (Indiana) c’è il tipico gruppetto di dodicenni dell’epoca: quattro ragazzini giocherelloni, timidi e piuttosto imbranati. Ci sono Mike il leader, Dustin il buffone, Lucas il saggio e Will. Ecco, Will non farà in tempo a far emergere la propria personalità, dal momento che già all’inizio dell’episodio pilota si assiste alla sua misteriosa sparizione. La scomparsa di Will Byers, insieme all’incontro dei suoi amici con Undici, una bambina dai poteri paranormali, sarà motore delle vicende che animeranno gli otto bellissimi episodi di Stranger Things, in un efficace mix di fantascienza, horror e avventura.

Coinvolgente, emozionante, a tratti persino spaventosa: per la ricchezza e l’intensità delle emozioni che è in grado di offrire, Stranger Things non può essere definita solo come una lettera d’amore verso gli anni ’80. È vero: le citazioni disseminate in tutta la serie non possono che far tornare alla mente (e al cuore) pezzi di storia come E.T. e Stand by me, così come l’immersione dello spettatore nel decennio reaganiano è totale, grazie a una produzione eccellente e al sapiente ricorso a una soundtrack accattivante ma non invadente (dai Toto ai Clash, fino agli Smiths). Tutti elementi che senza l’apporto di una sceneggiatura dalle idee chiare e del coraggio di alternare scene tenere e leggere ad altre scabrose e per certi versi splatter, sarebbero rimasti statici e autoreferenziali.

Così come autoreferenziali sarebbero rimaste alcune scelte del cast: su tutti, Winona Ryder. Ieri piccola star di Hollywood nei promettenti anni ’80 (la ricordate in Beetlejuice?), oggi a 45 anni icona di un’epoca in grado di mantenere intatto il proprio fascino. Il vero colpo di genio però dei Duffer Brothers sta nella scelta dei veri protagonisti della serie, i ragazzi: innamorarsi dei piccoli Mike (Finn Wolfhard), Dustin (Gaten Matarazzo) e Undici (la bravissima Millie Bobby Brown) sarà pressoché inevitabile. Così come della serie si era innamorato niente meno che sua maestà Stephen King, che ha prestato il font della classica copertina dei suoi libri per il titolo della serie.

Il critico cinetelevisivo della CNN Frank Pallotta ha affermato: “Il miglior film dell’estate non è un film, è Stranger Things“. Guardatelo e provate a dargli torto.

[Photo Credits: Netflix]