Siamo sempre stati abituati a considerare un elevato Quoziente Intellettivo come segno principale, e presupposto essenziale per conseguire ottimi risultati nella vita privata, pubblica e lavorativa. E questo è certamente vero, ma da poco si è scoperto che se anche avessimo il massimo punteggio di QI non sarebbe sufficiente. A parità di potenziale, infatti, le differenze tra chi riesce a sfondare e a fare successo non sono legate alla classica e dogmatica intelligenza pragmatica, bensì a qualcosa di più intimo e profondo: l’intelligenza emotiva.
Questo è il risultato di uno studio condotto dai ricercatori del dipartimento di scienze della comunicazione di Foothill College, nella Silicon Valley. E a spiegarci precisamente cosa s’intende per emotional intelligence c’è Preston Ni – autore, trainer e coach per aziende come eBay, Microsoft e Visa – che sintetizza così questo concetto: “è la capacità di comprendere, gestire ed esprimere in modo efficace i propri sentimenti e interpretare quelli delle altre persone”. Nulla a che vedere con il Quoziente Intellettivo, quindi.
Detta in altri termini, l’intelligenza emotiva si può definire come intelligenza del cuore, che presiede ai rapporti con noi stessi e con gli altri. È responsabile della nostra autostima, della consapevolezza dei nostri sentimenti, pensieri, emozioni, reazioni; ne fa parte la nostra sensibilità, l’adattabilità sociale, l’empatia, la disponibilità, la possibilità di autocontrollo. Ci mette in contatto con il nostro mondo interiore, con i nostri bisogni, le nostre aspirazioni, le nostre predisposizioni, portandoci ad esprimere e realizzare le nostre potenzialità personali, a dare il meglio di noi stessi.
È un’intelligenza che tutti noi, in parte, possediamo, ma di cui ci siamo sempre interessati poco: siamo stati infatti educati a non fidarci delle nostre emozioni, poiché ritenute le uniche responsabili della distorsione di informazioni fornite dall’intelletto.
In realtà l’una non esclude l’altra, perché emozioni e intelletto sono due metà di uno stesso intero. Il nostro QI può aiutarci a capire ed affrontare il mondo ma sono le emozioni, e quindi la nostra intelligenza emotiva, che ci spingono ad agire e a muoverci come meglio riteniamo nella socialità.
E l’ambiente di lavoro è poi l’ambito in cui diventa serve necessariamente la combinazione armonica tra diverse capacità per stabilire rapporti costruttivi, comprendere quando e come affidarsi alle sensazioni, cogliere le correnti emotive che si stabiliscono tra le persone, potenziando quelle positive e deviando quelle distruttive. Alias appunto, intelligenza emotiva, che garantisce maggior flessibilità rispetto al logico, freddo e astratto QI.
Magari vantiamo una preparazione accademica eccellente, competenze acquisite attraverso esperienza e duro lavoro, eppure non riusciamo a “sfondare”, l’IE ci permette di mettere a frutto le nostre capacità e i nostri talenti modulandoli in base alle esigenze degli altri e del mercato. Questa è la chiave per il vero successo.
Le qualità più importanti per emergere sono, senza ombra di dubbio, l’ottimismo, l’adattabilità, e lo spirito di iniziativa; tutti aspetti dell’intelligenza emotiva che chiunque può apprendere e mettere in pratica, visto che non si tratta di una facoltà innata.
Ci vuole tempo e pratica per diventare abile nel gestire la propria emotività e affinare le capacità empatiche. Ci vuole grande consapevolezza nel saper riconoscere esattamente quali sono le emozioni che ci guidano quando iniziamo un’attività lavorativa che comporti anche il contatto con altre persone. Ci vuole destrezza nel distinguere, modulare e indirizzare le nostre reazioni emotive, positive o negative che siano.
Ci vuole tutto questo per raggiungere il successo.
[Credit: guidamed.it; Credit Cover: wordpress.it]