La tecnologia avanza e con essa la maleducazione. Ecco che emerge la generazione dei tecno-cafoni, esseri tecno-dipendenti “tipo che l’iPhone smette di scrivere e tu smetti di vivere” come dice il rapper Fedez. Quelli che nei musei “facciamoci un selfie con il bastone”. Quelli che “whatsappano” mentre mangiano, mentre gli parli, e perfino nei momenti più intimi. Quelli che se prima era la sigaretta ora è “posto su Instagram un #aftersex”. Quelli che “mai senza Facebook” che sia in riunione, in metro, in treno e in ogni dove. Quelli che “urlo libero” quando rispondono al cellulare. Figure moleste che sono intorno a noi, dai vicini di casa ai colleghi di lavoro, e che proliferano al pari delle novità tecnologiche. Sono i cafoni della mala tecno-educazione.
Nel Galateo, il cui primo trattato venne scritto nel XVI secolo, si ragionava “de’ modi che si debbono o tenere o schifare nella comune conversazione”, ma anche “delle male costumanze che spiacciono ai sensi, all’appetito e all’intelletto, e di quelle invece che piacciono nel linguaggio, nel contegno, nelle cerimonie”. Se il Galateo venisse scritto oggi avrebbe avuto sicuramente un ampio e approfondito capitolo sull’uso della tecnologia e il buon costume di chi la utilizza. Perché, nel medioevo, nessuno poteva chiedersi se fosse o non fosse opportuno fare foto ad ogni pietanza, né se l’uso compulsivo dello smartphone, a una certa ora, diventasse intollerabile. Anche se i precetti del Galateo “non si attingono da’ capricci variabili dell’uso e della moda, ma dai sentimenti del cuore umano, i quali a tutti i tempi e a tutti i luoghi appartengono”.
La caratteristica peculiare dei tecno-cafoni è la non curanza verso chi o cosa è intorno a loro. Se fino a un decennio fa la mala tecno-educazione era data dal volume del televisore o dell’hi-fi troppo alto, oggi si disturba il prossimo con i propri dispositivi, smartphone o tablet che sia, si infastidiscono gli altri con i propri accessori tecnologici, si tende a scambiare le “amicizie” sui social con le vere relazioni interpersonali, frutto di una mobile incivility, la maleducazione dei dispositivi mobili, che si sta diffondendo almeno con lo stesso passo delle nuove tecnologie. Una sorta di negligenza perpetrata ad ogni ora e in ogni luogo, amplificata ai massimi livelli in soggetti affetti da una elevata tecno-dipendenza.
Qualcuno, però, sta già correndo ai ripari con l’unico mezzo, almeno per ora, in grado di dissuadere da comportamenti poco rispettosi: i divieti. Il primo ad essere colpito è il bastone per i selfie. Il Time l’ha menzionato tra le 25 migliori invenzioni del 2014, il che già potrebbe bastare per capire il tempo in cui viviamo e quanto la tecnologia influenzi ogni ambito della nostra vita e del nostro pensiero. Non è bastato, però, per evitare una serie di divieti che stanno colpendo il “bastone” più in voga del momento. Dall’Italia alla Francia, dalla Gran Bretagna fino agli Stati Uniti, tanti importanti musei hanno deciso di mettere al bando l’utilizzo di questo oggetto che altro non è che il prolungamento del nostro braccio per garantirci selfie di gruppo o ritrarre una porzione maggiore di sfondo. La National Gallery di Londra e il palazzo di Versailles di Parigi sono solo gli ultimi in ordine di tempo. Divieti simili, però, sono già attivi da tempo al Museum of Modern Art di New York, al Guggenheim e al Trick, che hanno deciso di utilizzare questa misura restrittiva al fine di salvaguardare sia le opere che gli altri visitatori. Anche in Italia il veto non ha tardato ad arrivare: la galleria degli Uffizi di Firenze è stato il primo museo della penisola a bandire l’utilizzo del selfie stick, introducendo la norma già ad ottobre 2014. Tanti altri luoghi di interesse storico e non solo si stanno attivando a tal fine. Si pensi alla Wembley Arena di Londra o agli stadi, dove i tifosi tra un selfie e l’altro lo utilizzavano come arma contundente contro i tifosi della squadra avversaria, o addirittura al carnevale di Rio de Janeiro che ne ha vietato l’utilizzo durante le sfilate.

Non si può pensare, però, di arginare ogni problema legato alla tecnologia con un divieto. Partendo dal presupposto che ogni nuova introduzione di un veto rappresenta un colpo basso alla civiltà, un’ammissione dell’uomo nella sua incapacità di autoregolamentarsi, l’educazione alla tecnologia dovrebbe presentarsi oggi come parte integrante delle “buone creanze”. Proprio al fine di non creare persone ossessionate dello smartphone, o urlatori senza controllo che sbraitano al telefonino, o self-made pr che intasano la time-line dei propri amici su Facebook con continui inviti a eventi e promozioni. Se vogliamo evitare il fiorire di generazioni alla “Jessica e Ivano” dall’innovativo e tecno “famolo strano” e mettere una pezza all’incalzante fenomeno della mobile incivility occorre riscrivere davvero il Galateo. Consapevoli che la colpa non può essere della tecnologia perché, come sempre, un cattivo comportamento non dipende mai dal mezzo ma dall’uso sbagliato che se ne fa dello stesso. Tecno-cafoni non si nasce, si diventa.
[Cover credits: Remy De La Mauviniere/Associated Press]