Raramente delle serie tv riescono ad avere un impatto talmente grande da renderle subito uniche ed identificabili come accaduto per The Blacklist. Lanciata dalla “Nbc” e arrivata alla seconda stagione, s’è ritagliata uno spazio tale da diventare un piccolo caso per il genere televisivo che rappresenta. In attesa di un febbrile finale di stagione, e in seguito alla meritata conferma da parte dei produttori per ulteriori nuovi episodi, diventa interessante cercare di comprendere le ragioni del suo successo.
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Alla base del successo della serie l’innegabile e straordinaria interpretazione di un James Spader in stato di grazia, che è riuscito a rilanciarsi grazie al ruolo dello spietato ma affascinante “Red” Reddington, criminale ricercato dall’Fbi la cui strada si intreccia con quella dell’agente Elizabeth “Liz” Keen, giovane criminologa che si ritrova involontaria protagonista di una storia intrisa di inganni. Se, fondamentalmente, la storyline potrebbe essere criticata perchè non presenta particolare innovazione nella sua struttura, e anzi spesso si mostra un poco ripetitiva, la bravura degli attori riesce non soltanto a colmare questo gap, ma a rendere avvincenti degli episodi di transizione che fanno soltanto da contorno alla trama principale. Ogni episodio gira attorno alla lista di Red che segnala i criminali e ruota attorno alle indagini che gli agenti compiono nel tentare di catturarli; il fascino degli antagonisto non è sempre all’altezza delle aspettative, ma alcune eccezioni (per esempio il superbo Berlino) riescono a tener testa al genio criminale di Reddington e a rendere imprevedibili le evoluzioni degli episodi nonché attesissimi i piccoli dettagli che gli sceneggiatori “regalano” per spiegare la complicata e misteriosa relazione tra i due protagonisti.
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La storia, che da un lato sembra piuttosto delineata, di un Reddington padre protettivo che affida la figlia a cure esterne per allontanarla dai pericoli che corre a causa di un “fulcro” in grado di rivelare personaggi e attività di una società segreta che controlla i poteri forti, presenta infatti una serie di ombre che non permettono di comprendere a pieno la trama. Impossibile poter tracciare una linea di demarcazione tra “buoni” e “cattivi” e anzi la distinzione sembra se non inutile addirittura superata davanti la complessità dei personaggi. Se nella maggior parte degli episodi Reddington infatti può sembrare uno spietato criminale, abile e calcolatore, impegnato a fare affari e ad utilizzare le forze dell’ordine per far fuori i suoi rivali, il Reddington padre diventa d’improvviso un uomo pronto a rischiare la propria vita per difendere la giovane Elizabeth. Ed il disegno degli autori si mostra più ampio andando a giustificare l’efferatezza del personaggio in funzione di un obiettivo più grande e nobile. Obiettivo che in parte sono riusciti a centrare anche col personaggio di Tom, che da spia e marito traditore si evolve col passare degli episodi in un giovane innamorato di Elizabeth pronto a redimersi e a rilevarle la verità sui piani di Red.
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The Blacklist è questo e molto altro e risulta così una grande scommessa vinta; la conferma che non finirà con l’attuale stagione non è stata soltanto accolta con entusiasmo ma ha dato la possibilità agli autori di delineare e concentrarsi meglio sulla personalità dei protagonisti, in una serie che pur avendo caratteristiche della tradizionale crime story, è riuscita in parte a reinventare il genere. Bravura e carisma degli attori e trama avvincente non bastano però a spiegare per intero quel mix che s’è riuscito a formare grazie ad una fortunata combinazione di fattori che l’hanno reso un “cult”. Merito dei personaggi e del loro carisma, della bravura di Spader, della bellezza della Boone, della perfidia dei nemici, ma anche della voglia di disegnare un racconto non soltanto brillante, ma volutamente ambiguo nel tracciare l’intramontabile fascino del crimine.
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