Sua eminenza grigia, Erick Thohir, si starà chiedendo “Ma chi me l’ha fatto fare?“. Sicuro di aver comprato una delle tre squadre più importanti d’Italia, e tra le prime in Europa, si ritrova in mano una provinciale impaurita che ha l’aggravante di giocare a San Siro, in uno stadio dove il pallone scotta e il pubblico rumoreggia al primo controllo sbagliato. Controlli sbagliati che, ad onor del vero, sono all’ordine del giorno alla Scala del Calcio. Nagatomo, Medel, Dodo e questo pessimo Palacio andrebbero presi con moderazione, magari uno alla volta. Tutti insieme sono davvero un affronto al pubblico del Meazza. Alla Scala del calcio vanno in scena spettacoli indecenti, sotto gli occhi di un incredulo direttore d’orchestra, Roberto Mancini, che pensava bastasse la sua personalità a rimettere assieme i cocci di un vaso rotto, e che adesso si accorge di aver accettato una delle sfide più probanti della sua carriera.

Non la più difficile, perché guidare una Fiorentina sull’orlo del fallimento, alla prima esperienza da allenatore, fu tutt’altro che una passeggiata. Ma questa Inter faticherebbe persino con il vate di Setubal, figurarsi con un tecnico che è stato abituato, negli ultimi anni, a chiedere ed ottenere il meglio dai propri presidenti. Se la colpa non era di Mazzarri, e se non è di Mancini allora qualcuno dovrebbe chiedere spiegazioni al vero artefice di questo disastro: Fassone. Uno che non solo è riuscito a compiere un cataclisma tecnico senza precedenti, ma è persino riuscito nell’impresa di non far quadrare i conti. Nel gioco dello scaricabarile si salvano sempre i general manager e i direttori sportivi, chissà perché.

Non ho mai stimato Mazzarri, ma non certo dal punto di vista tecnico, perché si tratta certamente di un ottimo professionista. Non amavo i suoi alibi e della sua esperienza nerazzurra non mi è mai piaciuta la sua mancata empatia con i tifosi. Mi ricordava un altro toscanaccio, un certo Eugenio Fascetti, che puntualmente litigava con l’intera città. A Lucca te lo puoi permettere, a Bari meno, a Milano non proprio. All’Inter non ci devi nemmeno pensare. Ecco perché domenica, Stramaccioni è uscito dal campo tra gli applausi. Lui, che con l’Inter ha realizzato una stagione tra le peggiori della storia nerazzurra (sebbene al peggio non ci sia mai fine). Lui, che dopo l’ultima panchina a San Siro fu invitato a cambiare aria in fretta e furia. Lui che, se vogliamo dirla tutta, se avesse preso cinque gol nel primo tempo, con l’atteggiamento rinunciatario dell’Udinese, non avrebbe potuto proferire parola.

Ma Strama è entrato nel cuore della gente perché è uno empatico. Ha la battuta che piace ai bauscia, anche se ha l’accento romano. E forse proprio perché è un romanaccio a Milano che i tifosi lo acclamano. Ha l’aria di chi non vede l’ora di andare sotto la curva, ma soprattutto è uno che quando perde sta male. Stramaccioni è stata una delle intuizioni più belle di Moratti, a mio parere, sebbene la sua sia una carriera ancora tutta da costruire. Ma nel disastro generale era e rimane, una bella scoperta. Se avessero affidato e lasciato a lui le chiavi di un progetto (perché c’è un progetto vero Fassone?) che adesso è tutto da rifare forse saremmo a metà dell’opera, e l’Inter avrebbe evitato di spendere, tra Mazzarri e Mancini, quello che spende per metà della rosa. Tatticamente non ho timore a dire che Strama è uno dei tecnici più preparati in Italia, insieme ad Eusebio Di Francesco e quel Massimiliano Allegri che la critica non ha mai capito fino in fondo. C’era l’opportunità incredibile di crescersi un giovane tecnico in casa propria, questa sì che sarebbe stata una rivoluzione del calcio italiano.

Thohir ovviamente non ha colpe. Non aveva scelto lui Mazzarri, eppure l’ha lasciato lavorare per un anno e mezzo prima di prendere una decisione dolorosa e tornare indietro di un’era geologica, calcisticamente parlando. Con tutta la stima per Mancini, che reputo un punto di riferimento a livello internazionale, continuo a pensare che questo non sia il progetto adatto a lui. Aveva detto che avrebbe voluto una squadra pronta a vincere, magari il Paris Saint Germain pronto ad alzare la Champions, si ritrova a dover fare da chioccia ad un gruppo di onesti mestieranti della pedata. Con tutto il rispetto avrei preferito affidare questa squadra ad uno come Walter Zenga, sempre premesso che io non avrei fatto fuori Stramaccioni tre estati fa. Senza senno del poi.

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