Top Gear non è soltanto un programma, ma un vero e proprio fenomeno culturale. Nato nel lontano 1977 e modificato più volte fino a giungere al format attuale, è stato in grado di vincere prestigiosi riconoscimenti come “Emmy Award” e “BAFTA”, e di costruirsi un bacino d’utenza fino ad allora inimmaginabile per un prodotto dedicato ai motori. L’intuizione, molto fortunata, della BBC, di unire gli ingredienti tipici del varietà a quelli automobilistici, ha fatto sì che riuscisse a travalicare i confini britannici e ad affermarsi (spesso in streaming) ancora prima del boom delle tv satellitari. Una grossa fetta del merito di questo incredibile successo è stata sicuramente dei tre conduttori storici, Clarkson, Hammond e May, giornalisti capaci di imprimere un filo di ironia molto british al programma, di stuzzicarsi quanto basta per non rendere mai monotono e sottotono anche la più semplice e tecnica delle recensioni, e di diventare in qualche modo figure leggendarie e indissolubilmente legate al format. Quando il “ribelle” Clarkson decise di rompere bruscamente il legame (a dire il vero mai idilliaco) con l’emittente, seguito dai colleghi e dal produttore esecutivo, in pochissimo tempo sono sorte una miriade di petizioni nel web per cercare di far tornare sui propri passi entrambe le parti. Il format è in qualche modo sopravvissuto, ed è condotto adesso (a detta di molti senza lo stesso carisma e senza le stesse sagacia), dal giornalista Chris Evans e dell’attore Matt Le Blanc (il Joey Tribbiani di “Friends”), ed è recentemente sbarcato anche in Italia sulla piattaforma Sky, presentato da Guido Meda, Joe Bastianich e Davide Valsecchi.

In onda il Martedì sera su Sky Uno e Sky Sport, è giunto al terzo episodio, e nonostante ascolti abbastanza soddisfacenti sembra non convincere a pieno i più critici. Alcune luci e tante zone d’ombra infatti accompagnano il programma, in particolar modo sui social network, vero e proprio giudice severo e imparziale della “televisione 2.0”.

I punti di forza di Top Gear Italia

Ora, a ben vedere, non è che gli ingredienti per fare bene non ci siano. “Top Gear” può contare come presentatore su uno dei più brillanti piloti italiani della sua generazione, quel Davide Valsecchi che ha più volte sfiorato la Formula 1, e che con la sua competenza tecnica è in grado di elevare il programma a degli standard più alti; e poi il binomio motori-Bel Paese è riconosciuto da sempre come imprescindibile. Dalla Ferrari alla Lamborghini, il Made in Italy è sinonimo di potenza ed eleganza. Lo spettatore tipo italiano, in più teoricamente, per background, dovrebbe avere una buona conoscenza di base dell’argomento; e poi quali scenari migliori delle strade italiane per recensire un’automobile? La stessa versione britannica li ha più volte utilizzati, non a caso, per girare. Nonostante questo troppi aspetti attorno al programma sembrano non convincere.

Le critiche

Joe Bastianich non è nè un pilota nè un giornalista sportivo, e su questo gli stessi autori ci hanno subito giocato, con una sorta di “prova di iniziazione” che ha visto l’italoamericano impegnato in peripezie automobilistiche. Accolto da subito con diffidenza da una parte dei telespettatori, Bastianich continua a non convincere a pieno; ha sicuramente, più degli altri conduttori, la stoffa dello showman e i tempi comici, ingredienti necessari in un programma del genere, ma al tempo stesso non riesce a fare breccia nei cuori di tanti telespettatori. Accanto a lui due esperti, Meda e Valsecchi, che se da un lato riescono a dare assoluta qualità tecnica ai commenti, dall’altra a volte sono preda di siparietti ironici un po’ forzati e non riuscitissimi. D’altronde si sapeva che provare a ripetere l’amalgama magica di Top Gear Uk era impossibile, ma quantomeno i tre hanno il dovere di provarci.

E poi il fan del format originale non perdona nulla, ricorda le splendide 22 stagioni della Bbc e fa scattare continuamente un paragone scomodo. Nel secondo episodio di Top Gear Italia, i tre presentatori sono stati impegnati in una serratissima sfida con tre mezzi diversi, per le strade di Roma. La stessa gara era stata messa in atto da Clarkson e co. per le strade di San Pietroburgo, e nonostante il format sia lo stesso, ci si aspettava maggiore creatività.

Anche attorno al mitico Stig c’erano tantissime attese; sulle capacità di guida dello Stig italiano ci sono pochi dubbi, capace di staccare persino Valsecchi, ma già dopo pochi giorni è stato identificato nel pilota di rally Stefano D’Aste, che più volte sui suoi profili social ha invitato a seguire il programma taggandosi insieme ai conduttori. La Bbc sul tenere nascosta la vera identità del personaggio ci ha giocato più volte la faccia.

E allora vale la pena o no di seguire Top Gear Italia? La risposta è abbastanza semplice. Il programma è piacevole, tutto sommato ben riuscito, e rappresenta una buona alternativa su Sky alle serie tv per passare un’ora di svago. Se ci si attende che riesca a ricreare l’atmosfera dell’originale si rimane molto delusi, ma d’altronde sarebbe folle anche il solo pensare di riuscirci.