Quando nacque anni fa il così detto WWW, nessuno poteva prevedere le potenzialità del mezzo né tanto meno si poteva prevedere il successo di chi quel web lo abita e lo rende vivo oggi. Gli interrogativi che Internet pone a livello legislativo sono tanti e i recenti scandali di censura dimostrano quanto sia un tema sofferto. Con l’avvento dei social network la dimensione democratica, libera, aperta di Internet, è andata a prendere sempre più forma arrivando a creare anche zone d’ombra delle quali si sente spesso parlare. Si parla poi di adescatori di minorenni, creatori di false e infamanti notizie e così via. Negli ultimi tempi è emerso anche un fenomeno socio-culturale: i troll.

L’origine del termine non è universale: c’è chi dice che derivi dalle figure semi mitologiche dei paesi scandinavi e chi invece dice che derivi dal verbo inglese to troll che si riferisce a un tipo di pesca, da lì l’origine dell’adescamento. I troll in sostanza possono essere definiti come i disturbatori, provocatori della rete che hanno il loro habitat naturale nella rete dove con profili fake si insinuano in commenti su gruppi Facebook, blog e siti. Il fenomeno è in evoluzione e negli ultimi tempi emerge a pari passo anche un’altra figura: quella dei troll hunters.

Troll hunters significa cacciatori di troll e sono quelli che si possono definire come gli sceriffi 2.0 di un far west informatico del quale non tutti hanno dimestichezza e conoscenza. Il fenomeno dei troll però non è solo informatico perché riguarda la dimensione di uno spazio condiviso e social appunto. Riguarda così tanto i frequentatori della rete che persino la televisione ha iniziato ad occuparsene tanto da dedicargli un programma arrivato alla sua seconda edizione in uno dei Paesi nordici più avanzati e conosciuti: la Svezia. Il programma ha uno scopo sociale e non solo puramente di entertainment.

“Perché lo facciamo? Per rendere il web un posto migliore”, Mathias Wåg cofondatore di ResearchGruppen

Trolljägarna, questo il nome del programma, si occupa di scovare appunto i disturbatori della rete. La trasmissione va in onda su Tv3 ed è arrivata alla seconda stagione. Record di ascolti, seguitissima da tutto il Paese ha come conduttore Robert Aschberg che incarna la cerchia dei troll hunters. Paladini della giustizia etica 2.0 non hanno paura di combattere apertamente il fenomeno e non solo: la chiave del successo di questa trasmissione si basa sul fatto che una volta scovati, i troll vengono mostrati a viso scoperto ai telespettatori. E si sbaglia chi pensa che Robert Aschberg sia seguito solo dai giovani utenti del web.

Lo dimostrano alcune interviste e ricerche per le quali a ricoprire la carica di troll hunters ci sarebbero anche dei “comuni mortali” genitori. Il profilo di chi combatte il fenomeno è meno identificabile dei ricercati informatici: si tratta infatti di persone che decidono di mettere al servizio delle regole base della convivenza civile 2.0 le loro competenze più disparate e il loro tempo. C’è chi crea agenzie per combattere i troll con tecniche che sono mutuate da quelle di investigazione e intelligence per esempio. O chi, imbattendosi in commenti davvero indecenti e gratuitamente offensivi, fa rapporto a Facebook o Twitter secondo le policy.

Concentrandosi sul fenomeno televisivo che senza paura mostra chi si nasconde dietro ai troll, emerge che sicuramente una delle soddisfazioni del telespettatore è quello di vedere in faccia il proprio potenziale nemico. La Svezia è reduce da uno scandalo smascherato da ResearchGruppen, ovvero un’aggregazione di troll hunters, che ha scoperto che dietro ad alcuni disturbatori si nascondevano uomini di potere e politici dell’estrema destra svedese. Avatar violenti e utenti fake razzisti, attivi online a fomentare l’odio e la pressione politica. Si capisce come dunque si sia passati da un’apertura di un vaso di Pandora all’altra.

Lo stile quasi poliziesco è sicuramente intrigante ma per gli svedesi è un fatto quasi politico. Il programma si regge su leggi sulla privacy poco restrittive che permettono al giornalista Robert di bussare alla porta delle persone, scovarle con difficoltà ma poi non così tanta. Ma non solo. Il fenomeno esce dagli schermi tv per avere un grande successo su Twitter, tanto da arrivare ad essere il terzo programma più visto di tutta la rete. C’è chi ha criticato che un programma di una rete generalista esponga alla gogna mediatica, quasi per una legge del contrappasso un po’ edulcorata, i troll. Una precisazione è però d’obbligo: in Svezia la libertà di espressione è un tema molto sentito.

Ricordiamo tutti il Partito dei pirati, quello che ha fatto della trasparenza governativa e dell’indipendenza di Internet baluardi del suo programma politico. Si evincerebbe dunque che la “giustizia televisiva” in questo caso sembra sopperire a quella dei tribunali. Se le leggi per combattere i troll non diventano restrittive di uno spazio che è di tutti, allora la tv ospita giocando proprio sulle stesse mancanze burocratiche e legislative, e consegna allo spettatore il troll di turno. Sarebbe interessante capire quanto il fenomeno televisivo possa avere respiro e seguito in altri Paesi europei ma non solo, anzi, proprio in quei Paesi in cui la privacy è stata barattata per offrire più sicurezza come nel caso degli USA.

[Fonte cover: www.bengtbernstrom.blogspot.com]