In 2 casi su 3 chi si ammala di cancro può attribuirne la colpa solo alla sfortuna. La ricerca pubblicata su Science appare come qualcosa di sconvolgente nel mondo della ricerca contro le neoplasie. Per gli studiosi dell’università Johns Hopkins di Baltimora solo un terzo dei tumori è legato a stili di vita, fattori ambientali o predisposizioni ereditarie.
Le tante ricerche fino a oggi effettuate hanno individuato quali fattori di rischio o cause dirette di molte neoplasie lo stile di vita poco sano, i difetti genetici o l’ambiente in cui si vive. I consigli di studiosi e ricercatori, quindi, sono sempre stati dispensati in ottica prevenzione: evitare il fumo e l’alcol, in primis. Molta importanza è sempre stata attribuita anche all’alimentazione: privilegiare una dieta mediterranea, infatti, ha sempre rappresentato un passo imprescindibile per uno stile di vita sano, visti gli alti contenuti di fitoestrogeni contenuti in frutta, verdura, cereali e legumi, che aiutano a contrastare l’esuberante azione degli estrogeni prodotti dal nostro corpo.

L’opinione che ha stravolto totalmente queste certezze, rappresentando una voce fuori dal coro, è stata quella dei ricercatori della Johns Hopkins School of Medicine, espressa con uno studio pubblicato su Science. Gli scienziati Bert Vogelstein e Cristian Tomasetti hanno analizzato 31 differenti tumori e, stando ai loro modelli matematici, solo nove sarebbero imputabili allo stile di vita o a fattori ereditari. I restanti 22 sarebbero principalmente collegati al fato, dovuti solo a mutazioni genetiche legate al puro caso, alla sfortuna. Lo studio di Vogelstein e Tomasetti è stato incentrato principalmente sulle cellule staminali. Una mutazione nelle staminali può avere conseguenze molto più deleterie rispetto al medesimo evento in una cellula comune, il tutto imputabile proprio alla loro longevità. Gli autori della ricerca hanno lasciato in un angolo le cause di tipo ambientale come il fumo o la presenza di radiazioni e hanno valutato le mutazioni casuali che avvengono durante una divisione cellulare. Il risultato del sistema matematico da loro elaborato ha evidenziato che all’aumentare del numero di divisioni cellulari aumenta il rischio che si sviluppi un tumore. Motivo che spiegherebbe come mai il cancro al colon è più diffuso di quello all’intestino (le cellule del colon si sdoppiano molto di più nel corso di una vita).
Dal momento che i due terzi di incidenza del cancro tra i tessuti si spiega con la sfortuna di subire una mutazione in un gene che causa il cancro, cambiare il nostro stile di vita e le nostre abitudini in molti casi non è sufficiente a prevenire alcuni tipi di tumore, concludono gli autori della ricerca. Secondo Vogelstein e Tomasetti è necessario, quindi, dare più importanza allo strumento della diagnosi precoce, concentrando su di essa più risorse in modo da individuare in anticipo i tumori e potervi intervenire con la chirurgia.
I ricercatori, dato per assodato che il cancro sia una combinazione di sfortuna, ambiente e genetica, non hanno fatto altro che creare un modello che può aiutare a quantificare l’incidenza di questi tre fattori nello sviluppo di alcuni tipi di neoplasie. C’è da dire che lo studio è comunque un lavoro di tipo statistico e, quindi, andrà verificato con altre ricerche. Senza dubbio, però, limitarsi a un ruolo così preponderante per il fato sarebbe scorretto, superficiale e soprattutto molto pericoloso, perché significherebbe ignorare quello che invece oggi sappiamo per certo, frutto del meticoloso lavoro di ricerca durato anni e che questo studio non può e non deve intaccare. Basti pensare al fumo (da solo colpevole del 90% dei casi di cancro al polmone in tutto il mondo), o all’alimentazione scorretta, alla sedentarietà, all’obesità, che centinaia di studi hanno dimostrato essere i responsabili principali di migliaia di neoplasie. Oppure si pensi al controllo costante di soggetti esposti a rischio per fattori ereditari noti: solo grazie alla continua monitorizzazione si riesce ad agire in anticipo e intervenire nei primi stadi di sviluppo, contribuendo a salvare tante vite.
Il modello matematico di Vogelstein e Tomasetti, quindi, non basta per dire che la prevenzione non serve. Non basta per dire che la “sfortuna” gioca il ruolo principale. Non basta per allentare la presa sulla centralità primaria della prevenzione. E lo dicono i numeri, i milioni di dati raccolti fino ad oggi. Sicuramente, però, può essere un valido richiamo all’importanza della diagnosi precoce. A quella che in tanti casi può essere l’unica ancora di salvezza.
[Cover source: parents.com]