Credits | Martino Beria

Salute e benessere, sensibilità nei confronti degli animali e spirito di tutela ambientale sono i tre motivi principali che spingono i vegani e i vegetariani a intraprendere questa scelta, stando all’ultimo Rapporto Italia 2016 dell’Eurispes.
Gli amanti dell’alimentazione cruelty free sono pari all’8% della popolazione; in Italia dopo un lieve calo del 2014 (5,7%) c’è stato un incremento di quasi 2 punti percentuali (fonte AdnKronos).
Una realtà che sta rivoluzionando il mondo del food, ampliando l’offerta con soluzioni diverse per soddisfare le esigenze dei consumatori. Pensiamo a ristoranti, bistrot che propongono menù vegani, o ancora alle prime macellerie vegane nate a Bari e a Napoli. Qui il gusto si sposa alla perfezione con sapori naturali e il tam tam dei social network ne ha proclamato subito il successo.
Dietro ai fornelli anche gli chef si sono avvicinati a questa cultura, alcuni per ampliare il ventaglio della propria offerta, altri per vero e proprio credo. È il caso di Martino Beria, noto in ambito food per essere uno dei punti di riferimento della cucina vegana. La svolta è arrivata nel 2012 attraverso un percorso graduale e profondo; da allora tante esperienze l’hanno visto come protagonista: il mondo della cucina vegetariana di Beria è diventato un portale ricco di notizie con cui si dà voce alla filosofia veg, a base di profumi e colori.
Nel libro “Vegano Gourmand”, spazio invece alle ricette che nascono dall’autoproduzione e dalla voglia di sperimentare che unisce Martino Beria e sua moglie.
Per quest’appuntamento con Food Experience siamo entrati nella cucina veg dello chef Martino Beria, ecco cosa ci ha raccontato sulle pagine de “Il Giornale Digitale”.

Martino Beria, prima chef e appassionato della cucina a 360 gradi, poi dal 2012 la svolta verso la gastronomia vegana. Da allora è considerato uno dei punti di riferimento del settore, cosa significa, oggi, essere uno chef vegano?

Oggi in Italia essere chef vegano rappresenta una responsabilità: la figura dello chef è in costante cambiamento e non rispecchia più solamente colui che sta in cucina, ma una figura che si rapporta con il pubblico e che divulga un pensiero. Se il cibo è cultura, come dice Massimo Montanari, allora lo chef in primis deve avere come obiettivo il far cultura attraverso l’esempio materiale del cibo, che altro non è che un mezzo di comunicazione, forse il più diretto che esista nella cultura umana.

Come ha maturato questa decisione? C’è stato un momento in particolare che ha influito oppure si tratta di un percorso graduale?

Il percorso è stato graduale, ma sicuramente un momento che ha fortemente influito nella mia vita è stato il giorno in cui ho scoperto il buddismo. Comprendevo sempre più fortemente che la volontà di non provocare sofferenza negli esseri senzienti non poteva limitarsi alle persone che mi stavano attorno, ma doveva essere estesa agli animali, di cui il mondo è popolato e di cui noi uomini ci nutriamo e che schiavizziamo ponendo come dato certo la nostra superiorità in termini di coscienza e di intelletto.

Entriamo nel mondo di “lacucinavegetariana.it”, un progetto che porta avanti con passione, come lo descriverebbe?

Lacucinavegetariana.it è il miglior mezzo per comunicare un messaggio a tutt’Italia: mangiate bene, siate felici, riempite la vostra vita di profumi e colori!
Questo progetto è nato per poter divulgare a più persone possibili la cucina come io e mia moglie la intendiamo: vegana, sana, gioiosa e culturale.

Vegani e vegetariani sono in aumento, e spesso le scelte di amici e parenti in fatto di cucina sono argomento di dibattito. C’è chi parla di privazione, chi ancora richiama tesi di esperti. Lei come risponde alle critiche?

Per criticare bisogna sempre partire da solide basi culturali. Se le critiche sono rivolte ad una tradizione che giustifica le nostre azioni, bisognerebbe aver basi umanistiche reali per poter muovere tali critiche. Se le critiche sono invece di carattere nutrizionale sarebbe bene avere solide basi scientifiche per poter criticare con efficacia.
La mia risposta alle critiche è sempre positiva: principalmente credo che dando il buon esempio si riesca a far riflettere molto più che argomentando a parole.

Tornando alla sua attività, come esprime la creatività nella sua cucina e dove trae ispirazione per le ricette?

Quando si crea si trae spunto da ogni minimo dettaglio del mondo circostante, a volte un luogo amato, una persona cara, un ricordo di bambino… Prendendo spunto dalla mia vita passata e presente mi dedico a creare piatti che possano far trasparire le mie intenzioni, i miei sentimenti e che piacciano tanto a chi li mangia.

Per chi volesse intraprendere questo percorso, quali sono gli step da seguire?

Il percorso per uno chef vegano oggi ancora non è ben definito. Non penso di potervi dare la ricetta per diventarlo. Credo che Steve Jobs avesse assolutamente ragione che in un momento della vita i punti si uniscono a dare un disegno ben definito. Il consiglio che posso dare è: studiate tantissimo e cucinate tantissimo, nessun piatto nasce senza una motivazione ben definita.

Non solo ai fornelli, la troviamo anche come insegnante. A chi si rivolgono i suoi corsi e quali ne sono i principi basilari?

I miei corsi nascono da una duplice esigenza: porre le basi culturali per una nuova gastronomia vegan nelle persone comuni, e al contempo educare i ristoratori italiani a un’apertura verso nuove esigenze.
Per questo uso i piatti che propongo come esempio dei concetti culturali che vado ad esprimere.

Per rimanere in tema Food Experience, qual è l’esperienza a base di cibo che non dimenticherà e perché?

La mia vita è costellata di esperienze in tal senso, ma se proprio devo sceglierne una vorrei riportare a galla un ricordo di quando ero bambino: l’odore di mattoni umidi e aceto che c’era in cantina dai miei nonni in Slovenia, lì dove tenevano a fermentare le botti di crauti acidi. La scoperta dei cibi fermentati e della fermentazione in sé è qualcosa che mi ha segnato e mi ha fatto ricercare cibi sempre nuovi e tecniche di fermentazione differenti. Tutt’oggi nei miei viaggi ricerco la fermentazione nelle tradizioni locali: di recente ho avviato un ristorante vegano in Russia e nel mercato di Rostov sul Don si trova tutta una area piena di bancarelle che vendono solo cibi fermentati: pomodori verdi e rossi, cetrioli, cipolle, aglio, mele, e addirittura angurie!

È anche autore di un libro “Vegano Gourmand”, che spazia dalle ricette al vegan lifestyle. Come cambiano le abitudini di un Vegano?

Il libro “Vegano Gourmand” è il racconto attraverso il cibo della vita mia e di mia moglie e di casa nostra: da quando siamo diventati vegani, la passione che avevamo per l’autoproduzione è esplosa e la ricerca di ricette sempre nuove è diventata parte della nostra vita di tutti i giorni. Questo ci ha portati a una maggior consapevolezza e a una ricerca costante di vivere in maniera più ecologica, a minor impatto ambientale.

Concludiamo con una cena vegana. Un consiglio per i nostri lettori che vogliano cimentarsi ai fornelli, qual è il primo piatto che suggerirebbe?

Dovete assolutamente provare la mia carbonara vegana!
Curcuma, latte di soia, farina di ceci, tanto pepe e tofu affumicato: uno spettacolo inaspettato!