Logora, divora dall’interno, è in grado di usurare emozioni e sentimenti, è in grado di cambiari i nostri obiettivi a breve e a lungo termine. È un lucido impulso, il confine tra razionale e irrazionale, la vendetta.

Un piatto che va servito freddo, dicono. Ma siamo sicuri che sia un piatto che va servito?

C’è chi si affida al karma, convinto del fatto che una qualche entità superiore possa attuare quella giustizia che egli stesso brama. C’è chi invece quella giustizia vuole farsela da solo. E anche solo pensare alla vendetta, gli dona una sensazione di benessere a cui è difficile rinunciare. Per questo siamo qui a chiederci, a prescindere dal momento, perché la vendetta sia cosa dolce.

Perché la vendetta è dolce?

Anche solo immaginare che chi ci ha fatto del male, possa provare solo un decimo di quello che ha fatto provare a noi, fornisce già quella pausa dal dolore, quella distrazione dal torto subito che giustifica pensieri e azioni di vendetta.

È dolce ed è pedagogica, quando è sana. Perché il vero obiettivo, nella rivalsa, è far comprendere all’altro la portata e le conseguenze negative delle sue azioni. Ma spesso si perde di vista il vero scopo e la vendetta si tramuta in una mera e rancorosa riproduzione del male subito.

Secondo l’esperimento di alcuni studiosi dell’Università di Marburg, in Germania, la vendetta ha gli stessi piacevoli riscontri delle scuse, sulla psiche della vittima. Dunque la chiave è nella consapevolezza che chi ha provocato un danno abbia compreso le sue azioni e se ne sia pentito. Questa è la vera vendetta. Questo la rende dolce: sapere che, forse, non lo rifarà più.

Quali sono gli effetti della vendetta sul nostro cervello?

Uno studio, pubblicato sulla rivista Science, ha misurato il livello di attivazione delle aree del cervello deputate a donarci una sensazione di benessere e piacere, nel momento in cui progettiamo una punizione nei confronti di chi ci ha danneggiati.

Il ricercatore Dominique de Quervain, dell’Università di Zurigo, ha sottoposto dei volontari a ipotesi di tradimento e vendetta e dunque ha studiato le reazioni del loro cervello con la tomografia ad emissione di positroni (PET).

Il risultato dell’esperimento è stato l’attivazione di un’area del cervello, chiamata “caudate nucleus“, nel momento in cui infliggevano un’indennità massima all’autore del torto subito.
Una sensazione di piacere testimoniata dalla scienza, indice di quanto quella della vendetta sia una pulsione naturale e primitiva.

Ma la migliore vendetta è il perdono

Rigare l’auto dell’autore del torto da vendicare o più elegantemente perdonarlo o, peggio, ignorarlo? Secondo gli psicologi seconda e terza sono le soluzioni migliori. Accumulare infatti sentimenti negativi e sommarli al senso di colpa post vendetta oltre che alla paura di una ulteriore rivalsa, è assolutamente da evitare. Una vera e propria ossessione, che poteva, non facilmente, ma più facilmente risolversi con una reazione di superiorità come il perdono.

Comprendere cosa ha portato l’altro a comportarsi in un certo modo, immedesimarsi e rispondere con la sacrosanta indifferenza alle sue azioni, è indice di una grandezza d’animo notevole. Perché tutti abbiamo diritto alle attenuanti generiche. Tutti sbagliamo, ci confondiamo, ci perdiamo. Ed è troppo facile puntare il dito solo perché in quel momento, a sbagliare, non siamo noi. Più difficile è analizzare la situazione, comprenderla, giustificarla, senza esagerare. Così potremo dominare i nostri impulsi, così potremo davvero seminare il dubbio all’interno di chi non ne ha avuti prima di farci soffrire.

Potremmo lasciare che il piatto si raffreddi o potremmo servirlo bollente, appena sfornato, ma saremo davvero guariti dall’ossessione, dalla rabbia e dalla delusione, quando quel piatto decideremo di non servirlo più. Perché in fondo, per guarire dal dolore non ci serve niente e nessuno. Serviamo solo noi.