Il Vinitaly è trendy, come il protagonista della manifestazione: il vino. Il vino fa raccontare, fa innamorare, fa fatturare (ne riparleremo). La botte è piena, ma la moglie non è ubriaca, perché gran parte delle nostre eccellenze sono ferme qui, sebbene metà della produzione sia destinata all’estero. Siamo i primi esportatori per quantità (20,5 milioni di ettolitri, il 21% del mercato mondiale) e i secondi per valore (5,1 miliardi di euro, con circa un miliardo che arrivano a testa da Stati Uniti e Germania). Agli ultimi posti per quanto riguarda l’e-commerce, che non decolla per vari fattori: primo tra tutti quello logico di non parlare le lingue dei nostri interlocutori. Il Vinitaly è trendy perché tutti vogliono esserci, vogliono partecipare e assaggiare. In un mercato in crisi, questa è la variabile da tramandare ai posteri. Le fiere sono molto noiose, la gente non ci va volentieri. Al Vinitaly invece ci sono addirittura i bagarini, ed esserci è cool, per questo si fanno code chilometriche in auto e a piedi, per guadagnare uno status sociale prima ancora che per assaggiare dei vini.

Brutto fenomeno questo del bagarinaggio. Pensavamo fosse una cosa da stadio, e invece anche qui siamo costretti a registrare compravendite che fanno la fortuna di personaggi discutibili e che poco hanno a che fare con l’universo di cui stiamo parlando. Magari sarebbe da rivedere il sistema dei ticket con pass “espositori” che vanno avanti e indietro e biglietti molto costosi per una sola giornata. Verona si conferma invece città organizzata, sebbene nei primi giorni il traffico sia andato in tilt, ma era prevedibile. Parcheggiare allo stadio Bentegodi per prendere la navetta per la Fiera è la migliore soluzione possibile per evitare di perdere due ore a cercare parcheggio. Definire il quartiere fieristico di Verona non all’altezza (è successo), solo perché ci sono persone che vogliono lasciare la macchina a pochi metri dalla fiera ci sembra francamente poco corretto. Aeroporto, stazione e navette sono ben collegate, il problema semmai è chi non vuole rinunciare alla propria auto e chi si sposta solo negli orari di punta.
Ma come sta il vino italiano? Il prodotto si conferma una delle poche eccellenze vere del Paese, un’eccellenza tutta nostra e di cui dobbiamo andare fieri. Eppure, di fronte alla crescita degli ultimi anni ci si aspettava ben altri numeri. La frenata del vino italiano all’estero è stata determinata dalla crisi russa (-10,5%) e dal calo pronunciato del nostro primo mercato, la Germania (-4,4%). Ha pesato anche, fonte Nomisma, lo scivolone del vino sfuso (incide per il 30% sui volumi), il cui arretramento a valore (vicino al 20%) non è stato compensato né dalla crescita degli spumanti (+14%, ma pesa solo il 10% sull’export) né dai vini fermi imbottigliati, che rappresentano il 60% del nostro export. In Italia ci sono 380.000 aziende agricole che producono 40 milioni di ettolitri di vino che valgono all’origine quasi quattro miliardi di euro. Tutto il mercato del vino vale 10 miliardi metà dei quali viene dall’export. A fronte del calo di Russia e Germania, avanzano USA e Australia, Giappone, i paesi dell’export del futuro, anche perché quelli più vicini al digital. Se proseguono i trend attuali, gli Stati Uniti diventeranno i bevitori numero uno con 4 miliardi e mezzo di bottiglie stappate, guardando dall’alto la Francia.


Lo si capirà meglio a Expo, di cui Vinitaly cura la parte vino, ma qui subentra un nuovo player: la comunicazione digitale. Probabilmente si è trattato del primo Vinitaly veramente “social” (l’anno scorso è stata una sorta di prova generale, quest’anno la “tendenza” è diventata “necessità”) anche se il malfunzionamento (eufemismo) del Wi-Fi ha costretto la maggior parte degli operatori ad appoggiarsi alle linee 3G che negli orari di punta risultavano intasate. Diversi produttori hanno avvicinato i prospect attraverso Facebook e Twitter, hanno comunicato con Instagram, si sono resi conto della forza degli strumenti digitali. Non c’è miglior settore di questo per narrare delle storie. E in tanti hanno iniziato a fare Storytelling del vino partendo dal territorio, dalle viti, dalle sfumature che contraddistinguono un vino rispetto ad un altro. Questo tipo di racconto sarà decisivo per vendere il prodotto all’estero nei prossimi anni. L’hanno capito i produttori, l’hanno capito gli esperti del settore che si sono attrezzati non tanto per raddoppiare i mezzi tecnologici a disposizione, quanto per affinare la capacità di narrazione dei propri interpreti (l’enologo, il sommelier, il produttore) e poi declinarla sui differenti media digitali. Il Vinitaly 2015 è social, ma con discrezione. Basti dare un’occhiata all’hashtag #Vinitaly2015 per comprendere il tono della comunicazione delle varie aziende. C’è la volontà, manca la personalità, il tratto distintivo del territorio.

Anche il cibo racconta, e gli abbinamenti con il vino sono un argomento importantissimo. Un tempo a Vinitaly non si andava oltre il grissino, per accompagnare il calice. Ora che gli chef sono le star, anche in TV e su Twitter, la case vinicole hanno fatto a gara a contattare i migliori ed è facile assaggiare prelibatezze che aumentino la percezione del narrato. Tra i tanti stellati incrociati – Bastianich, Palluda, Camia – ne citiamo uno: il sommo Moreno Cedroni da Senigallia, che sta alla Cantina Velenosi e ieri s’è prodotto in ricciola e polenta alle vongole. Dove c’è il vino, non ci si annoia mai, come dice Adua Villa, grand guest star intervistata un giorno prima della manifestazione: “L’importante è viverlo il vino, prima ancora che raccontarlo. È un po’ come l’amore. Dal Vinitaly mi aspetto di divertirmi – dice Adua – ha sempre fatto cose che devono prima di tutto intrigare me, altrimenti come possono intrigare gli spettatori. Per questo mi sono innamorata del digital. Perché crea nuovi scenari di narrazione, più della TV e in maniera diversa dalla radio“.

Nel frattempo il consumo interno che sta inesorabilmente scendendo (quota 35 litri all’anno procapite è in vista, cinque anni si era sui 40) a vantaggio della qualità. Anche e soprattutto in una stagione come l’ultima dove la vendemmia è stata inferiore di quasi il 20% al 2013: le stime Assoenologi parlano di una produzione di 40 milioni di ettolitri. A farla da padrone, anche al Vinitaly, è la divisione, il federalismo enologico: tanti padiglioni separati che rappresentano le nostre regioni: è facile imbattersi nei giocatori del Verona quando si va in Veneto o in Maria Grazia Cucinotta mentre si attraversa la Sicilia. Ci sono regioni nelle regioni come l’Irpina con il suo Fiano e l’Emilia con il Lambrusco. Nelle Marche spopola la schermitrice Elisa Di Francisca, i vip sono perlopiù gli chef, che in questa circostanza diventano davvero star, e i conduttori televisivi come Bruno Vespa, per rimanere sul classico, o Pieluigi Pardo per gli amanti del Tiqui Taka. Insomma, un appuntamento al quale nessuno vuole rinunciare, una festa più che una fiera, per un settore che sta bene ma potrebbe stare meglio. Vero specchio del nostro Paese che, in fondo, ha tutte le potenzialità per avere la botte piena e la moglie un po’ meno sobria. Così ci auguriamo dal Vinitaly. Salute.
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Foto dell’articolo a cura di Cristiano Carriero, autore del pezzo