Non siamo in Afghanistan dove la legge viene fatta in casa e nemmeno in India, da dove arrivano storie agghiaccianti di donne sottomesse all’autorità maschile. Siamo in Europa, viviamo sotto il tetto di una democrazia, dove vivere la parità dei sessi non dovrebbe essere più una continua lotta. Sì, siamo in Europa, eppure la violenza sulle donne esiste ugualmente e dilaga tristemente in una società che dovrebbe aver assimilato già da un po’ il rispetto per la vita. Propria e altrui. Non si tratta più solo di non sfiorare una donna, quel concetto datato, protettivo per alcuni versi nei confronti del genere femminile che mantiene in sé una debolezza solo fisica, anche discutibile. Il rispetto però, forse più dell’amore diventa la colonna portante di una società che si definisce evoluta, ma che fa fuoriuscire ogni giorno il marcio, alimentando la violenza.

I dati

Sono sessantadue milioni le donne o meglio, le cittadine europee che hanno subito una qualche forma di abuso da parte di mariti, compagni, padri o figli. Secondo i risultati del rapporto Violenza contro le Donne, creato da European Union agency for fundamental rights, il record degli abusi va paradossalmente ai Paesi dove i tassi di occupazione femminile risultano più elevati e che fanno dunque immaginare una maggiore parità. Danimarca, Finlandia, Svezia e Olanda, contrariamente al pensiero comune secondo il quale qui la parità di genere poggia su solide basi di indipendenza economica, occupano le prime posizioni. L’Italia invece si piazza sotto la media europea, con un tasso del 27% su una media del 33%.

Il femminicidio

Abusi che finiscono fin troppo spesso in tragedia, quando la bestialità sfocia nel femminicidio. Fatti di cronaca, storie agghiaccianti, che sembrano provenire da lontano e che invece costituiscono uno scenario quotidiano che ha luogo proprio a casa nostra. Solo nel 2013 in Italia sono stati 130 i casi di donne uccise per mano di uomini. Uomini di cui in genere sappiamo tutto. Era disoccupato o in carriera, ha agito per gelosia, o per un raptus. Si drogava, beveva oppure no. Era tranquillo, aveva problemi, era mentalmente instabile oppure perfettamente sano. I dettagli abbondano, come se ci fosse sempre la necessità di trovare una giustificazione, una spiegazione, lì dove un motivo valido non c’è. Delle donne uccise o vittime della forza brutale dei propri compagni, che continuano a vivere con danni perenni, si sa quasi sempre molto meno. Nomi, cognomi, visi sconosciuti e una sensazione di impotenza davanti a questi atti brutali.

Credits: focus.it
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Uno dei problemi più gravi che queste donne avvertono sono i danni psicologici che si possono trascinare a lungo e che segnano la vita di qualsiasi vittima in un modo più o meno incisivo. Sono tante le emozioni e i sentimenti in gioco. La rabbia e la vergogna, così come la paura sono parte integrante di quella reazione emotiva, che porta le vittime a non riconoscere la gravità di episodi spesso ripetuti in un arco di tempo vasto. La stessa reazione che impedisce di denunciare i propri aggressori, vivendo nella speranza di sbagliarsi. È successo solo una volta, non ricapiterà. Il pericolo più grave però è quello dell’auto colpevolizzazione, che porta addirittura a giustificare determinati comportamenti. Lo stato di paura poi fa sì che una vittima confonda due elementi, tra loro antagonisti: l’amore e l’aggressione.

Il coraggio di Lucia

“Donne, la violenza non dipende mai da voi che amate l’uomo sbagliato, ma da lui.”

È questo il monito di Lucia Annibali, l’avvocato di Urbino, vittima della violenza del suo ex, che le ha sfregiato il viso con l’acido. Lei è una delle fortunate. Fortunata non solo per essere sopravvissuta a una tale esperienza di sopraffazione e di dolore, fisico e psicologico, ma di essere riuscita a trovare dentro di sé la forza di continuare a vivere, riprendendo in mano le redini della propria vita e ricominciare. In che modo? Con il sorriso e il sarcasmo, che la caratterizza. Con la consapevolezza che nonostante la pelle bruciata dall’acido, nonostante il viso che resterà per sempre segnato dalla furia bestiale di un uomo, ha avuto ancora una possibilità per vivere. Lucia ha ricostruito giorno dopo giorno la sua vita, che una storia di “non amore”, come la definisce lei stessa, voleva cancellare per sempre dalla terra.

Credits: repubblica.it
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Ma per non sfociare nella violenza, se da una parte è necessario insegnare agli uomini il rispetto non solo per le donne, ma per la vita e per quei sacrosanti diritti propri dell’essere umano, è fondamentale anche rafforzare le donne, affinché non caschino nella trappola di questi rapporti di “non amore”. L’amore non è amore se è accompagnato dalla violenza, dall’abuso, dal terrore.

Voletevi bene, tanto, tantissimo. – dice Lucia. È questa la chiave, se ti vuoi bene non consenti a nessuno di trattarti come uno straccio. Dovete credere in voi stesse, sappiate che ogni atto di violenza subita non dipende mai da voi che amate l’uomo sbagliato, ma da lui che lo commette.

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