Agli auguri di Natale che il Cagliari ha postato sul suo profilo ufficiale hanno risposto in tanti, più o meno tutti allo stesso modo: un coro pro Zeman, una sorta di petizione spontanea dopo l’esonero da parte del presidente Giulini che ha lasciato poco spazio per le perplessità. Gli hashtag #iostocolboemo e #iostoconZeman impazzano sul web e fanno capire chiaramente i tifosi da che parte stanno: con il boemo. Un’ulteriore conferma che in ogni piazza l’allenatore di Praga lascia emozioni. O lo si ama o lo si odia, ma provare indifferenza proprio no.
“A mio parere, la grande popolarità che ha il calcio nel mondo non è dovuta alle farmacie o agli uffici finanziari, bensì al fatto che in ogni piazza in ogni angolo del mondo c’è un bambino che gioca e si diverte con un pallone tra i piedi. Ma il calcio, oggi, è sempre più un’industria e sempre meno un gioco”
Una dichiarazione che descrive Zdenek Zeman in tutta la sua essenza, che racchiude tutta la sua storia e ne estrinseca tutta la sua filosofia. Ma occhio a chiamarlo “filosofo”. A Fabio Fazio che osò farlo rispose: “Io ho studiato filosofia, ma non ho mai capito cosa volevano dire”. Il boemo non si atteggia a intellettuale, il suo carattere schivo ha sempre fatto trasparire una certa ruvidezza, un sapore antico di un’epoca che non c’è più, quando le parole venivano pesate e le idee sottaciute fino a quando non diventavano compiute, chiare e definite.
Il ristorante del calcio che dirige l’allenatore di Praga è uno di quei locali dove tutto il mondo sa quale piatto chiedere. Dai suoi fornelli si prepara solo una pietanza, una di quelle però da leccarsi le dita. Sempre fedele al suo modulo, il 4-3-3, estremizzato fino allo sfinimento. Attacco asfissiante con tre punte, esterni molto alti, centrocampisti che sappiano pensare il calcio, marcatura a zona e fuorigioco cercato costantemente: queste le leggi del suo calcio romantico e sempre offensivo. Verticalizzazioni continue, inserimenti negli spazi e velocità di manovra sono alla base del calcio zemaniano. Quel calcio che non ha mai abbandonato indipendentemente dalla squadra allenata. La fase offensiva è sicuramente quella più spettacolare nelle sue squadre, quella per cui spesso vale la pena di pagare il prezzo del biglietto allo stadio. Chi ha trenta anni, come me, o giù di lì ha imparato a conoscerlo a Foggia, allo stadio Pino Zaccheria: il “Foggia dei miracoli”, quella squadra che, vinse il campionato di Serie B 1990-1991 schierando Francesco Baiano, Giuseppe Signori e Roberto Rambaudi, il trio delle meraviglie, il miglior attacco di quel campionato. Quel Foggia si salverà per tre stagioni nella massima serie, ottenendo un nono posto, riuscendo anche a esibire il secondo migliore attacco del campionato, dietro al Milan campione, un undicesimo e nuovamente un nono posto sfiorando l’ingresso in Coppa UEFA, mancato solo per la sconfitta col Napoli all’ultima giornata. Signori, suo discepolo prima nel Foggia e poi nella Lazio da lui allenata, conosce bene lo Zeman pensiero: “Ci sono due cose che non tollera: che si passi la palla indietro e che si vada verso la bandierina del corner.”

La sua storia sin dagli esordi l’ha legato con un filo sottile alla Juventus. Figlio di un medico primario con la passione per lo sport, nell’estate del 1968, all’età di ventuno anni, Zdenek decide di passare le vacanze estive a Palermo. Raggiunge, assieme alla sorella, lo zio Cestmír Vycpálek, primo calciatore straniero del dopoguerra a militare nella Juventus, trasferitosi poi nel capoluogo siciliano, dove era diventato allenatore fino a vincere sulla panchina della Juve ben due scudetti. Il giovane Zeman, laureatosi all’ISEF di Palermo, decide che il calcio sarebbe stato la sua vita, senza mai venir meno, però, a quelli che sono i suoi principi. Nel 1998, alla guida del Lecce, denuncia il sospetto che anche nel calcio ci sia il doping, accusando la Signora del calcio italiano e facendo i nomi e i cognomi dei coinvolti in quella che rimarrà una delle vicende più nere dello sport nazionale. Dichiarazioni che gli costano care: un esilio voluto, o forse no, per colui che aveva osato “sfidare il sistema”. Non sono in tanti quelli capaci di prendere una strada e avere il coraggio di percorrerla. Lui è sicuramente uno di questi. Capace di difendere le proprie idee, i propri valori come pochi. E a chi gli rinfaccia di non avere trofei in bacheca lui risponde: “Talvolta i perdenti hanno insegnato più dei vincenti. Penso di aver dato qualcosa di più e di diverso alla gente.” In questa frase sono ben in evidenza i motivi che, dopo l’esonero, hanno spinto i tifosi sardi ad acclamarlo e a ringraziarlo per le emozioni che anche a Cagliari è stato in grado di regalare.
L’augurio a mister Zeman è che possano tornare presto i fuochi d’artificio di Zemanlandia, che si possa realizzare presto in un’altra piazza quel sogno totalitario di un calcio-spettacolo, di un calcio totale, di un calcio vivo, atletico, aggressivo e mai arrendevole. Che si possa ricostruire in una nuova città quel calcio utopico visto a Foggia, Lecce, Roma e Pescara, che si possa dar vita ancora a quella magia da realizzare in undici uomini, ma per il bene di tutti gli altri. Che si possa avere ancora la voglia di andare allo stadio per il pirotecnico calcio del maestro boemo.
A presto mister.
[Cover source: sports.ru]