Poche settimane fa, su questi schermi, vi avevamo reso partecipi del nostro entusiasmo a proposito dell’inizio di 1992, la serie italiana dell’anno, grazie alla quale, sulla solerte e mai deludente Sky Atlantic HD, avremmo rivissuto un’epoca ancora poco psicanalizzata. Giunti adesso a metà del percorso – al sesto dei dodici episodi totali – si esige un primo bilancio; e la prima parola che ci viene in mente è straniamento. Sì, perchè se le aspettative erano leggermente differenti dalla dura realtà, non si può certo dire che 1992 ci stia annoiando: perchè ci vuole davvero un gran coraggio ad essere così irresistibilmente kitsch.

In realtà poi non è solo kitsch, qui ci si muove nel limbo tra il kitsch e il trash vero e proprio. Sin dall’episodio pilota, la serie diretta da Giuseppe Gagliardi desidera baroccamente colpire chi guarda, spesso perdendo – gioiosamente, a volte goffamente – il senso della misura. A cominciare dall’impianto tecnico-narrativo: lo script di 1992 produce risate in serie, ponendoci davanti il dubbio di stare assistendo a un’opera di Bruno Mattei o Ninì Grassia. Battuta top, ormai entrata di diritto nell’immaginario collettivo è quella che gli sceneggiatori affidano a Veronica Castello/Miriam Leone: “Appena ci vediamo ti faccio il miglior p[censored]o della tua vita“, detta al magnate che le ha promesso un posto a Domenica In. Da Emmy poi – non vogliamo sentire ragioni – la sequenza dell’annuncio dell’assassinio di Salvo Lima, con la sigla di Casa Vianello in sottofondo.

'1992' e il coraggio di essere kitsch

L’intenzione è quella di mostrare – in quella che sembra una caricatura di Romanzo Criminale – una società che va in putrefazione, un teatrino di tangenti, escort e magna-magna su cui si alza il sipario, coi nuovi mostri pronti a prenderne il posto. Che si potesse fare meglio come approccio, è difficile da dire: l’atmosfera tutto sommato c’è, la veridicità dei fatti narrati – al netto della verve romanzata – pure. Il prodotto finale però non ti intriga, semmai ti intrattiene, con l’impressionante carico di ilarità che lo accompagna.

Perchè guardi Tonino Di Pietro e Gherardo Colombo sfilare in tribunale, con un sottofondo musicale aggressivo e ammiccante, e ti ritorna in mente O-Ren Ishii insieme agli 88 folli in Kill Bill vol. 1.
Stefano Accorsi, dal canto suo, ha il ghigno di uno che è riuscito a trollare tutti (e su Twitter compare l’hashtag #daunideadistefanoaccorsi); persino il buon Alessandro Roja pare chiedersi dove diavolo sia finito. Poi le donne: la Leone ha un personaggio puerilmente stereotipato (te la do basta che mi fai andare in tv) ma si rivela più che brava; in quanto invece alla performance di Tea Falco, niente affatto improbabile che faccia parte della sovrastruttura kitsch messa in piedi dalla produzione. Fatto sta che la sua Bibi Mainaghi (ma che nome è?) è sin dal primo momento terribilmente cult.

Come l’ex Miss Italia, anche Guido Caprino e Domenico Diele si distinguono per intensità e aderenza al ruolo, nonostante quello da leghista con ideali assunto dall’ex commissario Manara fosse quello a maggior rischio trash tra tutti.

'1992' e il coraggio di essere kitsch

Trovateci però una produzione col fegato di affidare a Natalino Balasso il compito di impersonare Piercamillo Davigo; trovateci chi si accolla l’azzardo di scimmiottare Berlusconi, prima a voce poi proponendolo come intrattenitore di bambini (gli italiani?); trovateci chi è in grado di partorire l’idea di offrire un cameo nientemeno che di Giovanni Rana, inserendolo in un contesto di proto-social marketing. Un meraviglioso e straniante concentrato di trash.

Non siate perciò eccessivamente spietati e considerate 1992 per quello che è: la serie italiana più divertente mai realizzata dai tempi di Boris. (Aspettate, di cos’è che parlava Boris?)

[Ph. Credits: Michele Paradisi/Sky Atlantic HD]