Andrea Bosca, classe 1980, è tra gli attori più richiesti – e più bravi, aggiungiamo noi – del panorama nostrano. Con un ricco curriculum alle spalle, si divide brillantemente tra cinema, televisione e teatro, raccogliendo sempre consensi positivi di critica e pubblico. Merito soprattutto delle sue interpretazioni sul grande schermo (“Si può fare”, “Noi Credevamo” e “Magnifica Presenza” tra le altre), dei suoi personaggi televisivi (“Raccontami” e “Zodiaco”), del teatro in cui si è formato e in cui, di recente, si è messo alla prova anche come autore per l’opera “Come vivo Acciaio”, a sostegno della candidatura di Langhe, Roero e Monferrato a Patrimonio dell’Umanità Unesco. Ma anche di quella irrefrenabile voglia di esprimersi e comunicare che lo ha spinto a imbarcarsi in una nuova ed emozionante avventura artistica. All’ultimo Festival di Roma, Andrea ha infatti debuttato come regista con “A tutto Tondo”, un cortometraggio charity i cui proventi saranno destinati ai bambini di Tondo, l’immensa bidonville di Manila, nata intorno a quella montagna di rifiuti a cielo aperto chiamata “Smokey Mountain”. L’attore ha ‘scoperto’ quasi per caso questa realtà rimanendone profondamente colpito. A tal punto da scrivere, dirigere e interpretare un corto che parla di affetti, famiglia e solitudine. Il protagonista è un giovane burbero ed introverso alle prese con una colorata e divertente famiglia di filippini. Due modi di diversi di affrontare la vita, due mondi che sembrano lontani ma che invece riescono sorprendentemente a incontrarsi sul sentiero dei sentimenti più autentici. Abbiamo raggiunto telefonicamente Andrea Bosca per parlare di questa sua prima volta dietro la macchina da presa e non solo. Ecco cosa ci ha raccontato.

“A tutto tondo”, la tua prima regia, presentato al Festival di Roma. Come nasce questo progetto?

Due anni fa sono stato a Manila, nelle Filippine, per il Moviemov Italian Film Festival. Con una delegazione di artisti, guidata dall’organizzatrice del festival Fabia Bettini, abbiamo visitato sia la città ricca e in espansione, sia una zona molto povera, Tondo, la bidonville da cui ha preso spunto il libro da cui è stato tratto il film “Trash” di Steven Daldry. In quel posto non ci sono strade, non c’è acqua corrente, i bambini scorazzano liberi nella spazzatura senza vestiti addosso. Eppure c’è una vitalità, una forza, un senso di comunità che ci ha profondamente colpiti ancora di più della povertà che lì, come abbiamo scoperto, non è sinonimo di infelicità. Così da artista ho deciso di raccontare una storia che potesse in qualche modo sensibilizzare l’opinione pubblica rispetto a questa realtà.

Tondo Slum. Credit Photo: Mio Cade/Flickr
Tondo Slum. Credit Photo: Mio Cade/Flickr
Lo hai fatto realizzando questo cortometraggio

La cosa più emozionante è stato vedere come l’idea ha attirato tantissimi artisti. In primis Paola Minaccioni, Giorgio Colangeli, Salvatore Striano e Davide Iacopini che hanno dato subito credito alla storia che nel frattempo stavo scrivendo assieme ai miei sceneggiatori Laura Luchetti e Gero Giglio. Poi a una festa di Moviemov ho conosciuto questa persona meravigliosa, Benjamin Vasquez Barcellano, protagonista del mio corto. Io e Ben ci siamo capiti al volo, l’ho preso senza fargli nessun provino perché mi sembrava perfetto così, una persona umana, semplice, come piacciono a me. È stato lui a farmi da tramite con il gruppo di filippini, quasi tutti non attori, che mi hanno ospitato nelle loro case. In base a questi nostri incontri e alle loro personalità ho cominciato a riscrivere e riadattare la storia su di loro.

Un lavoro in progresso quindi?

Si, un po’ come a teatro dove i testi si scrivono su misura della compagnia, per renderla al meglio delle sue possibilità. Abbiamo provato per oltre un mese e poi in gennaio eravamo pronti a girare, in una casa bellissima, al SET (Spazio Eventi Tirso) di Roma, che ci ha offerto gentilmente Antonella Quartaroli. La Ascent Film di Matteo Rovere mi ha dato una grossa mano dal punto di vista organizzativo come pure il mio direttore della fotografia Federico Schlatter e tutta la troupe con cui avevo appena finito di girare “La Dama Velata”. Sono stati tre giorni di riprese pazzeschi. La pioggia incessante del primo giorno stava mettendo a rischio gli esterni della mia storia, se non fosse stato per il grande lavoro degli attori coinvolti che in pochissimi minuti sono riusciti a rendere viva la storia. In casa, due giorni di lavoro pieno assieme a 16 filippini, di cui molti bambini che ho cercato di coinvolgere spiegandogli in parole semplici il magico mondo del cinema, come si sta davanti a una macchina da presa, cos’è la steadycam o un’ottica. Per loro è stato come un lunapark. Ma è stato divertente perché questo mi ha permesso di mantenere il contatto umano con loro.

Una scena tratta da “A tutto tondo” / Credit Photo: Andrea Bosca
Una scena tratta da “A tutto tondo” / Credit Photo: Andrea Bosca
Come ti sei trovato in questo tuo “ruolo” inedito da regista?

Avevo fatto una grossa preparazione prima di girare e avevo ben chiaro cosa volevo fare. Prima lo storyboard con le inquadrature e poi una piantina del set in cui muovevo i miei filippini simulandoli con i puffi. Ma al momento di girare, non ho mai avuto il tempo di pensare che quella fosse la mia prima regia, perché dovevo badare già alla crew e ai filippini. L’essere al servizio degli altri mi ha dato una libertà e una freschezza che ha reso tutto molto più vero. E la stessa cosa è successa nel lavoro che ho fatto con il gruppo di filippini. Abbiamo provato molto e gli ho dato delle indicazioni precise. Al momento di girare loro erano così dentro la storia che ho deciso di lasciarli liberi di poter dare il loro. Come succede in teatro.

“A tutto tondo” rientra all’interno di un progetto di charity a favore dell’associazione “Smokey Mountain”.

Esatto. Vogliamo aiutare i bambini di Tondo tramite le donazioni che verranno fatte e gli incassi delle proiezioni che saranno destinate alla comunità guidata da Padre Carlo, un prete che da oltre vent’anni sta facendo un grande lavoro laggiù, togliendoli dalla strada e insegnandogli una lingua e forse anche un qualche mestiere.

Al di là dello scopo benefico, qual è il messaggio di “A tutto Tondo”?

Mi sono chiesto come poter veicolare la forza del messaggio di grande vitalità che ho visto a Tondo. La risposta è nel mio personaggio che cerca di superare il lutto per la morte della madre isolandosi dalla sua famiglia, ma finisce per scontrarsi con un gruppo di filippini in festa che in qualche modo lo obbligano a interagire. In lui ci ho messo i miei difetti e quelli della mia generazione che crede di poter risolvere i problemi in solitudine, senza mostrare emozioni, anziché condividerli. In un certo senso il titolo “A tutto tondo” ha un doppio significato: da un lato il corto è un regalo che facciamo a tutta Tondo, in quanto nasce per dare un contributo economico ai bambini di questa comunità; d’altra parte si tratta di un ritratto a tutto tondo di una persona costretta ad accettare il fatto che la nostra pienezza viene anche e soprattutto nel rapporto con gli altri. Poi, in mezzo, c’è Tondo con delle immagini molto potenti di una realtà che per raccontarla, forse, ci vorrebbero i 100 minuti di Trash. Io ho cercato di dire la cosa più onesta che potevo in solo 15 minuti, e cioè che in certi posti si sopravvive solo se riesci ad unirti in una catena umana, un po’ come la “social catena” di cui parlava Leopardi (nella poesia La Ginestra, n.d.r.).

Una scena tratta da “A tutto tondo” / Credit Photo: Andrea Bosca
Una scena tratta da “A tutto tondo” / Credit Photo: Andrea Bosca
Hai lavorato con attori di una cultura, una mentalità e un immaginario diversi da quelli nostrani. Cosa hai imparato dall’incontro di questi due mondi. Sono davvero così lontani come sembrano?

Il cortometraggio in realtà va alla ricerca di punti in comune: e uno di questi per me è stato il cibo. Mi sono seduto alla loro tavola con i miei usi e costumi e così mi sono avvicinato ai loro. Abbiamo imparato a conoscerci stando insieme. Nel loro essere così gioiosi e uniti ho visto qualcosa che forse la mia generazione, nell’era dell’iPhone e dei social network, può aver perso, quel senso forte di comunità e di contatto con la gente che appartiene assolutamente a quella dei miei genitori e dei miei nonni, e a tutti quelli che sono cresciuti nell’Italia del Dopoguerra. Lì non è molto diverso dal nostro paese di allora.

Dopo il passaggio a Roma, che diffusione avrà il corto?

Non arriverà in sala ma verrà proiettato in eventi speciali legati a questa raccolta fondi. Ne stiamo programmando uno al Festival di Asti a dicembre e poi dovrebbe andare al Festival di Berlino. Non so ancora bene come e dove, ma per me è già una grandissima vittoria essere riuscito a realizzare un prodotto dignitoso con grandi professionisti, nonostante il budget minimo, e con un nobile scopo.

Cosa ti porterai di questa esperienza da regista nel tuo lavoro di attore?

E’ già cambiato il mio approccio da attore soprattutto riguardo la post-produzione. Il lavoro che ho fatto al montaggio con Gianluca Scarpa mi ha chiarito ciò che succede dopo la mia prestazione. Un attore prepara la sua parte e il suo lavoro finisce il giorno delle riprese. A quel punto ciò che è fatto è fatto. Ma da quel momento in poi qualcuno comincerà a “riscrivere” la mia interpretazione. Perciò quello che ho portato a casa da questa esperienza è la serenità e la tranquillità di sapere che in scena posso lasciarmi andare ed essere più spontaneo, dando al montatore tutti gli elementi che poi lui saprà orchestrare al meglio.

"Come Vivo Acciaio". Credit Photo: Diego Beltramo
“Come Vivo Acciaio”. Credit Photo: Diego Beltramo
Hai già in mente altri progetti da regista?

Al momento non ho una storia che mi colpisce a tal punto da volerla raccontare. La cosa più forte che mi è successa è che mi sono innamorato, ma non è una cosa che voglio raccontare attraverso un film. Quindi per adesso penso solo a migliorarmi come attore e la regia mi è servita anche a questo.

Progetti futuri da attore di cui ci puoi parlare? Dove ti vedremo?

Prossimamente sarò su Mediaset nella fiction “Romeo e Giulietta” per la regia di Riccardo Donna. Una coproduzione Spagna, Germania e Italia girata in Trentino Alto Adige, in mezzo alla neve, con un cast internazionale, tra cui un Alessandra Mastronardi davvero molto brava. Si tratta di una versione inedita della tragedia di Shakespeare, molto gotica se vogliamo, perché sarà ambientata nel Medioevo anziché nel Rinascimento. E poi a gennaio su Rai uno andrà in onda “La Dama Velata”, una fiction in sei puntate con Lino Guanciale e Miriam Leoni, una storia ambientata all’inizio del Novecento che mescola melò al mistery.

Scena tratta dalla fiction "Romeo e Giulietta" in onda su Canale 5
Scena tratta dalla fiction “Romeo e Giulietta” in onda su Canale 5 / Credit Photo: Mediaset
Il personaggio, tra quelli fatti finora, a cui sei più legato?

Nessuno in particolare. Però sono molto felice di questo personaggio che ho fatto adesso in “Grande Hotel”, un direttore d’albergo molto particolare. Questo è un progetto molto interessante, a livello di molte altre cose belle che ho fatto anche al cinema. Si tratta di un thriller in costume che mi ha permesso di sperimentare cose diverse e rischiare come mai prima.

Il ruolo che ti manca invece?

Vorrei fare la rockstar in un film perchè mi piace la musica, il contatto col pubblico. Si, sento di potermi divertire molto.

Quindi avresti potuto fare la rockstar invece dell’attore.

No! Perché non so suonare. Anche se adesso sto prendendo lezioni di chitarra, non potrei mai iniziare a fare su serio a 35 anni.

Credit Photo: Pasticceria Bosca
Credit Photo: Pasticceria Bosca
Nasci in una famiglia di pasticceri: che dolce assoceresti al tuo film del cuore?

La torta di nocciole di mio padre a “Rain Man”.

Perché?

“Rain Man” è la storia di una famiglia, di due fratelli in particolare. È un film commovente che mi ha toccato molto e che ci piaceva guardare tutti insieme. Anche se è una storia completamente diversa dalla nostra, mi fa pensare subito a casa. Proprio come quando assaggio la torta di nocciole e penso subito ai miei genitori e a mia sorella che fa anche lei la pasticcera.

[Credit Photo Cover: Alessandro Pizzi]