La casa è un diritto. Fin qui siamo tutti d’accordo. Effettivamente però, così come la legge è uguale per tutti, il diritto alla casa, non è che venga proprio sempre rispettato. Succede per una congiunzione astrale dovuta a politiche poco mirate, controlli pressoché assenti, racket e infiltrazioni mafiose, che la casa non può e non viene garantita a tutti. Esiste in Italia un sistema, una rete di supporto per chi non può permettersi di sostenere le spese per un domicilio: l’edilizia residenziale convenzionata. Nelle ultime settimane però, questo sistema si sta sgretolando inesorabilmente.
Le situazioni esplosive nei comuni di due centri focali italiani, Roma capitale e Milano, hanno messo in difficoltà le istituzioni che ora si trovano a dover maneggiare delle vere e proprie bombe avanzando sgomberi che scatenano barricate. Qualsiasi decisione infatti è accompagnata da un’opposizione, un dibattito, una polemica causate dall’esasperazione di una situazione all’italiana “Tutti sapevano ma nessuno ha fatto niente“. Si perché il problema della gestione delle case popolari non è storia nuova. La prima miccia evidente era esplosa già la scorsa estate a Milano, quartiere San Siro e per chi è un minimo attento alla cronaca di casa nostra, non farà fatica a ricordare le tante storie di anziani che vanno all’ospedale e al loro ritorno si trovano la casa occupata.
Le case popolari insomma, quelle che il Comune mette a disposizione di cittadini con alcuni requisiti, rivelano falle in un sistema logoro. L’occupazione abusiva è la problematica più evidente ma non la sola che grava sulle amministrazioni che dovrebbero vigilare. Per comprendere il problema servono alcuni numeri. Secondo l’Unione Inquilini, in Italia ad oggi sono 700.000 le famiglie in graduatoria e al contempo 40.000 gli alloggi pubblici sfitti. Se poi vogliamo concentrarci su una città ics, prendendo Milano, secondo un’indagine del Corriere della sera, le occupazioni abusive nell’ultimo anno sarebbero state 1278 con 732 riuscite. Il Comune ne gestisce 29.000, l’Aler ne possiede 40.000, gli iscritti alle graduatorie sono 23.000 e gli appartamenti sfitti 8.000.
Scendendo dalla giostra dei numeri si scoprono altre interessanti situazioni. Agli esterofili farà piacere conoscere il social housing, la versione più ampia ed europea in termini di case popolari. Ad Amsterdam per esempio, l’amministrazione prevede un affitto di 60 euro al metro quadrato l’anno. Questo sistema però, è assodato, funziona solo nella parte settentrionale dell’Europa perché altri dati alla mano dimostrano come il circa 60, 70% degli europei meridionali abbia una casa di proprietà. È interessante notare però che in alcuni paesi nordici dove il social housing funziona, l’ingerenza statale è spesso minima, tanto che si parla di cooperative che non solo gestiscono la rete ma anche le assegnazioni di questi alloggi. Il Movimento 5 stelle, va detto, aveva già avanzato l’ipotesi del social housing in tempi in cui l’emergenza non era così evidente.
Le differenze nella gestione delle case popolari con il sistema di social housing sono di quelle che saltano all’occhio. Per esempio in Germania e in Inghilterra le assegnazioni e le graduatorie, seguono parallelamente altri criteri come quello delle categorie o del tipo di lavoratori oppure ancora dalla tipologia delle case come avviene in Olanda. Se incrociamo questi elementi una parola su tutte chiarifica la linea che sta alla base di questo tipo di operazione di diversificazione: garantire il mix sociale. Il caso di Roma infatti ha messo di fronte al Comune una situazione lampante in cui si è arrivati alle barricate, da un lato gli italiani e dall’altro gli immigrati.
Ma come si accennava prima, il social housing non è di certo la bacchetta magica. Era febbraio quando il Guardian pubblicava un’interessante inchiesta europea: in Europa si contano 11 milioni di case sfitte. Ecco dunque che il problema è più ampio di quello che si potrebbe immaginare, non è solo un problema italiano. Roma e Milano hanno provato ad applicare progetti in stile social housing ma di fatto si sono rivelati un adattamento poco riuscito per non dire fallimentare. Nella capitale per Massimo Pasquini, Unione Inquilini, il risultato è stato deludente: “È stata una truffa, un modo per continuare a far costruire anche con i soldi pubblici. Un social housing all’amatriciana“.
Un altro carico da novanta nell’intricata questione è anche la condizione di certi edifici: vecchi, mal messi e praticamente abbandonati. E se non ci sono soldi, con cosa si va avanti? C’è chi ha pensato anche a questo. A Londra per esempio, fino al 2012 l’abusivismo era praticamente tollerato e non considerato fuori legge: se chi occupava una casa non la danneggiava, aveva in sostanza il benestare della politica. Poi arrivato Cameron le cose sono cambiate perché è diventato reato ma qualcuno si inventa una soluzione: i Guardians of London. Per evitare che una casa appunto perda di valore così da innescare un meccanismo anche nel quartiere, ecco un’alternativa utile alle case popolari.
I casi di Roma e Milano hanno messo sotto i riflettori l’esasperazione. Le graduatorie si ingolfano come il sistema amministrativo che dovrebbe gestirle. Domanda e offerta che non coincidono più e non si tratta di banane. Ed ecco che qualcuno inizia a mangiare anche qui: a Roma il racket gestisce un patrimonio di 1500 case che offre a 30, 50.000 euro. E a Milano la musica non cambia perché l’occupazione abusiva è orchestrata da chi fa la posta agli appartamenti, da chi sa e segue, chiama, avvisa e organizza. Il problema dunque non solo solo i soldi che mancano. I sindaci Marino e Pisapia sono di fronte alle conseguenze di politiche insufficienti e obsolete. Un ritornello che si ripete per troppe situazioni.
[Fonte cover: www.multimedia.quotidiano.net]