“A cosa serve conoscere il destino e le cose che ti vengono incontro, se poi quelle brutte non le puoi scansare e quelle belle, anche se le abbracci forte, scivolano via nel vortice del passato?”
(Chi manda le onde, Fabio Genovesi)
La protagonista di “Chi manda le onde” si chiama Luna ed è una bambina albina. Anzi no, ricominciamo. La protagonista si chiama Serena, ed una donna talmente donna che non si rende conto della sua sensualità, impegnata com’è a fronteggiare la quotidianità, che scorre lenta e uguale fino a che non arriva un’onda a stravolgerla. O forse, meglio ancora, il vero protagonista è Sandro, giovane vecchio di quarant’anni abituato a rimandare tutto e non decidere niente. Precario nella vita, nel lavoro, negli affetti. Una volta ha promesso una cartolina ad un bambino di 9 anni, ma niente. Non ce l’ha fatta nemmeno a mantenere quella, di promessa. Chissà che il vero protagonista non sia Forte dei Marmi, la città dove questa storia si svolge e che l’autore, Fabio Genovesi, conosce bene, dal momento che lui in Versilia ci vive. Oppure, protagonisti sono i tanti personaggi “minori” che in realtà minori non sono, perché è nelle loro descrizioni, che sarebbe più corretto chiamare “ritratti”, che viene fuori tutta la classe cristallina dell’autore.
Fresco di Premio Strega giovani, Genovesi è anche nel quintetto dei “big” con una storia travolgente. Un romanzo che è una conferma, più che una sorpresa. La conferma che tra gli scaffali delle librerie ci sono bravissimi scrittori contemporanei, che scrivono romanzi universalmente belli e raccontano storie alla fine delle quali, come diceva Salinger, “vorresti che l’autore fosse tuo amico per la pelle per poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira“. È per questo che, finito Chi manda le onde, ho preso il telefono ed ho chiamato Fabio Genovesi. Per chiedergli di raccontarmi certi passaggi del libro, per raccontargli di tutte le frasi che ho sottolineato, per domandargli, una volta per tutte, se “Chi manda le onde” è un’affermazione o una domanda, e dove è finito, nel secondo caso, il punto interrogativo.

Fabio, innanzi tutto complimenti. Il libro è davvero intenso, tanto che ho scelto di inserire in questa intervista alcune citazioni, hai presente quando mettevi le frasi sul diario?
(Sorride) Beh, questo mi onora e mi fa molto piacere. La più bella soddisfazione che mi sta dando “Chi manda le onde” è proprio questa: ritrovarmi delle frasi in giro per il web, e non solo. E pensare “Cavolo, mi sembra di averla letta da qualche parte…”
Anche questa storia è ambientata a Forte dei Marmi. Quanto è importante la Versilia nella tua narrazione?
Forte dei Marmi è casa mia, è il posto dove vivo per gran parte del tempo, è una città che si presta al racconto. Perché uno dice Versilia e pensa al lusso sfrenato, alle ville con la pista per gli elicotteri, agli hotel cinque stelle. Ma non è sempre stato così.
Gli cito un pezzo del suo “Morte dei Marmi”
Per noi i russi erano un popolo fiero e modesto, e insieme meschino e invidioso, tutto preso a portare avanti una causa comune che era quella di regalare il paradiso socialista al mondo intero oppure di affogare il pianeta sotto le bombe nucleari. E intanto, nel tempo libero, giocavano a scacchi e leggevano romanzi difficili e si sfondavano di vodka per digerire le cene a base di bambini. Ecco perché i primi russi al Forte sono arrivati senza che ce ne accorgessimo. Perché nessuno li considerava russi
Esatto, il rapporto tra i russi e Forte dei Marmi è una storia nella storia, non per niente anche in “Chi manda le onde”…
(Lo anticipo) A proposito di russi: se ci fosse un Oscar per il miglior attore non protagonista io lo darei a Zot, il bambino che viene da Chernobyl, un personaggio fantastico che parla un italiano desueto e correttissimo.
Il Progetto Chernobyl da cui Zot proviene esisteva davvero, questi ragazzini venivano ospitati in Italia, peccato che Zot viene dimenticato. Ma quello che mi stupiva è che questi ragazzini imparavano subito l’italiano, e alcuni apprendevano parole che non solo un ragazzino, ma anche un uomo italiano, difficilmente utilizza: parole desuete come quelle che usa Zot all’interno del romanzo. Parole che lo collocano nel mondo degli adulti, più che in quello dei bambini. Non per niente, in un contesto come quello attuale, dove gli adulti scelgono di non decidere, sono proprio i piccoli quelli più decisi, i più risoluti.
Zot ascolta Claudio Villa, come mai questo particolare nel romanzo?
Io vivo nel culto di Claudio Villa, adoro la sua vita, le sue canzoni, il suo modo di vivere, la sua grandezza da star e come la viveva all’epoca. Mi piaceva buttarla dentro in un periodo come questo, in cui anche i cantanti durano pochissimo. Tutto dura pochissimo, in realtà. Mentre Claudio Villa, così come le sue canzoni, è immortale.
Ad un certo punto del libro tu dici “I pensionati sono una potenza economica, e girano tra quelli più giovani come gli occidentali in vacanza nel Terzo Mondo”…
Viviamo un periodo tremendo ma perfetto per la narrazione, i pensionati diventano delle potenze economiche, perché hanno dei redditi fissi, con pensioni basse, ma in confronto ai giovani sono dei ricconi. C’è un tesoro di risparmi che si annida tra i pensionati, anche se il fatto che si dipenda dagli anziani rovescia lo stato delle cose e diventa molto comico, quasi melodrammatico.
Ti aspettavi questo successo con i giovani?
No, in realtà non è un libro scritto per i giovani: possono esistere libri per ragazzi, ma questo è libro per tutti. Facciamo un esempio, come fai a dire che Huckleberry Finn e Tom Sawyer di Mark Twain siano romanzi per i giovani? I romanzi belli sono quelli per tutti. Sono romanzi meravigliosi, ma così umani che possono essere apprezzati da qualsiasi essere umano. Vorrei poter scrivere romanzi pieni di umanità, almeno questa è la vera ambizione. Non racconto storie pensate per i giovani per un semplice motivo: non mi piace quando i ragazzi vengono identificati come un ente a sé stante, i pulcini di un qualcosa che succederà, quando avremo 80 anni avremo la stessa testa di quando ne avevamo 16, solo un po’ più imbolsita.

Parliamo del punto di vista della narrazione: Luna, Serena, Sandro. Come mai la scelta dei tanti punti di vista, e di conseguenza dei diversi registri del racconto?
Chi manda le onde è un romanzo corale, e il punto di vista non poteva che essere quello dei personaggi principali. Qualcuno parla in prima persona, qualcuno in seconda, o addirittura ci sono passaggi in terza persone. Io cerco sempre di far parlare loro, i personaggi, piuttosto che far parlare i protagonisti con la mia voce. Lì per lì può spiazzare ma è questione di poche pagine, giusto le prime. Credo sia anche frutto del mio carattere: cerco sempre di sparire dal libro, di non essere l’autore onniscente, e mi piace che, con il passare del tempo (e lo scorrere delle pagine) il lettore inizi a riconoscere tono, linguaggio e forma dei vari personaggi. Non mi piace quando la storia è raccontata da un solo protagonista e gli altri stanno intorno, perché non corrisponde alla realtà delle cose, la vita poi non è così. Come se in una cena ci fosse solamente una persona a parlare e tutti gli altri in silenzio. La realtà e diversa, ecco perché ho optato per questo registro narrativo.
Possiamo definire Sandro una sorta di Zeno moderno, come ho letto in alcune recensioni?
Direi di no. Un grave problema della narrativa italiana è il paragone con gli autori precedenti: abbiamo, fortunatamente, una tale mole di cultura letteraria e di storia che sembra che tutto quello che viene dopo debba necessariamente richiamare o citare, in qualche modo, storie del passato. Secondo me abbiamo un’ottima produzione letteraria contemporanea, mi riferisco anche ad autori, eppure mi trovo spesso di fronte anche a giovani scrittori italiani che ispirandosi troppo a miti del passato finiscono con lo scrivere praticamente le stesse cose. Cose belle, ma già scritte da altri. La letteratura contemporanea può cavalcare la crisi, una crisi tremenda ma che offre incredibili spunti narrativi. Ecco perché non abbiamo bisogno di tirare in ballo Svevo, Sandro si basta da solo, è un personaggio del suo tempo.
“Aveva mandato affanculo tante persone. E poi, mentre scriveva il fax si era incazzato perché vive in una nazione così vecchia e ammuffita da usare ancora i fax, perché la gente raccomandata che lavora negli uffici pubblici non sa leggere una mail, e allora dove vogliamo andare, dove cazzo vogliamo andare.”
Sul titolo: è nato prima del romanzo oppure l’hai deciso dopo? Più che altro avrei un’altra curiosità (Ma Fabio parte con la risposta… ndr)
Il titolo è nato mentre lo scrivevo, abbiamo fatto anche delle bozze di copertina con un altro titolo, ma alla fine siamo tornati a questo originario, che mi risuonava in testa. Una sorta di domanda senza punto interrogativo, infatti io credo che nella vita siano molto più importanti le domande, molto spesso infatti le risposte sono solo un tentativo di aver ragione sugli altri. Secondo me farci tante domande ci rende più umanamente belli, il continuarci a farci domande di fronte a un mondo sempre più frenetico, ma anche meraviglioso sotto certi punti di vista, se solo alzassimo gli occhi dallo schermo del cellulare.
Infatti la genialità del titolo sta anche nel fatto che non c’è un punto interrogativo
Bravo, infatti “Chi manda le onde” non è una domanda. Può essere addirittura un’affermazione. Ma io ne so quanto voi, quanto chi legge il libro. Ci vuole umiltà per porsi le domande giuste.
Cosa ti aspetti da questo libro oltre i premi, sono previste traduzioni? E cosa ti rende soddisfatto di questo romanzo
Il libro è già stato preso all’estero per traduzioni, mi sorprendo del fatto che ci sono molti che mi scrivono con affetto dopo averlo letto: il fatto che queste persone aumentino mi piace, significa che non è stato semplicemente un successo improvviso dopo la pubblicazione, ma che è qualcosa che cresce con il tempo. Mi fa piacere che succeda con i miei libri, che si stabilisca questa empatia con il lettore. Vedi, secondo me vale la pena prendersi del tempo: io ho impiegato quattro anni a scrivere questo libro e nell’economia di uno scrittore non è proprio il massimo, avrei potuto scrivere almeno due libri nello stesso lasso di tempo, ma non sarebbe stato corretto. Io voglio fornire al lettore qualcosa che valga la pena leggere. Non so se è bello o meno, ma so di certo che questo è il meglio che io posso fare. Mi fa piacere che mi scrivano anche molti ragazzi, così come molti adulti e anziani, perché il mio unico vero obiettivo è quello di scrivere libri per tutti, che facciano ridere e piangere allo stesso tempo.
“Tante donne infilano un uomo nelle loro giornate perché non gli piace la loro vita così com’è, ma per farsi più bella la vita non basta metterci dentro qualcosa di nuovo, bisogna metterci dentro qualcosa di bello”
Possiamo dire, senza scomodare Eco, che tutto questo è anche merito dei social?
Ti dico la verità: io ho un rapporto un po’ limitato nei confronti dei social, non sono bravo con internet, ho Twitter ma mi limito a rispondere ai lettori e anche su Facebook non posto mai niente perché non sono abituato. Però mi piace che esista uno strumento dove anche gli sconosciuti possono scrivermi in privato, e al tempo stesso vedo (leggo) che le persone si consigliano il mio libro, ed è una cosa bellissima, che apprezzo molto, perché genera un passaparola mai visto prima. Poi, ovvio, ci sono anche persone che hanno un’opinione diversa sul libro, ma è giusto anche così. Ci vedo una bella opportunità e mi emoziona molto questo modo di utilizzare i social per condividere le proprie passioni.
Ti va di darci qualche consiglio di lettura?
Allora, sulla fiducia “Onora il Babbuino”, l’ultimo libro del mio amico Michele Dalai, che non ho avuto il tempo di leggere (ride). Poi se posso consigliare un secondo libro, ti dico “L’estate infinita” di Edoardo Nesi. Un piccolo capolavoro.
Grazie Fabio, sei stato gentilissimo!
A te, speriamo di organizzare presto una presentazione assieme!
“L’odore del ragù nel corridoio dove ti ha detto addio, i pantaloni pesanti che avevi e ti facevano prudere le gambe, il taglio dei suoi occhi mentre se ne andava e tu le hai chiesto se aveva già un altro. I particolari sono schegge minuscole e appuntite di realtà, ti si piantano nel cervello e ti ricordano che questi momenti non sono di tutti, non sono la vita o l’esperienza del mondo, questa roba schifosa è successa proprio a te, in un posto e in un momento preciso e questi particolari te la appiccicano per sempre addosso all’anima”
Citazioni dal libro “Chi Manda Le Onde” di Fabio Genovesi, Mondadori.
[Credits Cover: www.tuscanypeople.com, Michela Niccoli]