Corre l’anno 1984. Il mondo è diviso in tre grandi blocchi: Estasia, Eurasia e Oceania. Nel frattempo, il governo Craxi abolisce la scala mobile delle retribuzioni, Albano e Romina trionfano a Sanremo e Carl Lewis stupisce il mondo alle Olimpiadi di Los Angeles. Scusate il crossover meta-distopico, è solo per ribadire la misura in cui il romanzo di George Orwell scritto nel 1948 (ma pubblicato l’anno dopo) ancora oggi agisce nell’immaginario collettivo. E proprio nel 1984 il britannico Michael Radford lo traspone per il grande schermo, con risultati buoni ma non eccelsi, con John Hurt nel ruolo di Smith e uno strepitoso Richard Burton in quello di O’Brien. Il nostro irriducibile talento nel rovinare i titoli ci porta a trasformare l’originale Nineteen Eighty-Four nello sconclusionato Orwell 1984.

L’84 reale per certi aspetti sorprende almeno tanto quanto il suo equivalente orwelliano: la giovane Apple lancia sul mercato una macchina che farà abbastanza parlare di sé, Macintosh. E mentre a Milano viene costituita la Lega Lombarda, in un ospedale di Quebec City, muore un certo Gaëtan Dugas, primo paziente riconosciuto affetto da AIDS, che di lì a poco diverrà – senza mezzi termini – una piaga. Un avvenimento che segna invece nel profondo la società italiana è la scomparsa, l’11 giugno, di Enrico Berlinguer, segretario del Partito Comunista Italiano, alle cui esequie a Roma prendono parte circa 2 milioni di persone.

Per il cinema, invece, è senza ombra di dubbio, un’annata spettacolare, contraddistinta da un’impressionante mole di kolossal (intesi in senso moderno) e produzioni di culto, in cui anche i generi considerati solitamente meno nobili trovano assoluta dignità. Il trionfo pressoché totale ai successivi Oscar di Amadeus, elegante ma appassionata ricostruzione del genio di Mozart per mano del cecoslovacco Miloš Forman, è a tal proposito poco indicativa rispetto alla enorme scelta cui si allude.

'Orwell 1984' (Credits: Roger Deakins)
‘Orwell 1984’ (Credits: Roger Deakins)

Prendete la produzione italiana: in un periodo ancora in bilico tra vecchi filoni (Delitto al blue gay, Tomas Milian e Bombolo) e nuovi (le vacanze dei Vanzina, stavolta in America), è la commedia a fare la parte del leone a casa nostra, e anche qui, l’assortimento non manca. Che si parli di Renato Pozzetto (Il ragazzo di campagna), quest’ultimo in coppia con Celentano (Lui è peggio di me) Monicelli (Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno), Troisi e Benigni (Non ci resta che piangere) o L’allenatore nel pallone della coppia d’oro Sergio Martino-Lino Banfi, sarà comunque questione di cult. Mai forse come nel 1984 la cinematografia italiana ha offerto, in riferimento alla commedia, un livello quantitativo e qualitativo così evidente, in grado di soddisfare il basso e l’alto.

A proposito dell’alto, se si pensa che nel 1984 un romanaccio prende in mano un romanzo e una produzione d’Oltroceano per farne il suo capolavoro testamentario, si fa presto a dire C’era una volta in America. Anche i divi che Sergio Leone vuol con sé sono americani: e l’amicizia tra e Max/James Woods e Noodles/Robert De Niro rimane perenne nella memoria tanto quanto l’amore tenerissimo e violento tra quest’ultimo e Deborah/Elizabeth McGovern. In un racconto proustiano di irripetibile potenza, acuita dalla colonna sonora di Ennio Morricone.

'L'allenatore nel pallone' (Credits: Reteitalia)
‘L’allenatore nel pallone’ (Credits: Reteitalia)

Nonostante l’epica di Leone, che ci lascerà solo 5 anni dopo, la parola d’ordine del 1984 rimane cult: Wim Wenders firma uno dei suoi capolavori con Paris, Texas; Peter Bogdanovich ci regala una meravigliosa storia d’amore con Dietro la maschera; Lynch procrea l’ambiziosissimo e non del tutto riuscito Dune. I fratelli Zucker e Jim Abrahams fanno centro con Top Secret! e Joel ed Ethan Coen fanno il loro compiono dietro la macchina da presa con Blood Simple – Sangue Facile.

È però anche l’anno della fantascienza: se La storia infinita è un’ottima riduzione del romanzo del ’79 di Michael Ende e Ghostbusters una portentosa e divertentissima commedia fantasy che segnerà un’epoca, il 1984 è soprattutto l’annata di Terminator, con cui James Cameron risponde al Blade Runner di Ridley Scott, servendosi del culturista Arnold Schwarzenegger (già Conan il Barbaro) per rappresentare un futuro distopico, violento e ultra-tecnologico.

'Terminator' (Credits: Adam Greenberg)
‘Terminator’ (Credits: Adam Greenberg)

L’84 è un anno simbolo anche per l’horror: un Joe Dante in stato di grazia firma Gremlins, che sarà accompagnato da sequel molto meno necessari; una Drew Barrymore ancora infante è protagonista della trasposizione di Fenomeni paranormali incontrollabili, romanzo di Stephen King; soprattutto, il maestro Wes Craven terrorizza il mondo con Nightmare, scaraventando il personaggio di Freddy Krueger nel gotha delle maschere del genere.

In ogni caso, ovunque si volti la testa, in quel 1984 si avrà piena evidenza di un’annata dorata e forse irripetibile, corredata da piccole perle, quali La signora in rosso di Gene Wilder (ricordata anche per la colonna sonora di Stevie Wonder), Un compleanno da ricordare, simbolo del cinema intimista e generazionale di John Hughes, o Nausicaa della valle del vento, secondo lungometraggio di Hayao Miyazaki dopo Lupin III – Il castello di Cagliostro.

Anno cruciale anche per il rapporto arrivi/partenze sulla terra: se ne vanno Eduardo De Filippo, Capote, Andy Kaufman, Cortàzar, Pippo Fava, Foucault e Truffaut (a soli 52 anni, per un tumore al cervello). In compenso, un lunedì di maggio arriva un pargolo che, appena una ventina di anni dopo, ci metterà tutti in un irresistibile contenitore da oltre 100 miliardi di dollari: Mark Elliot Zuckerberg. No, a questo Orwell non aveva proprio pensato.