A Berlino è stata accolta da tre minuti di applausi, raccogliendo l’apprezzamento della stampa internazionale. E anche se in Italia la critica non è stata unanime, gli ascolti premiano decisamente «1992», la serie tv targata Sky che racconta gli anni bui di Tangentopoli. Una scommessa creativa rischiosa vinta sotto l’aspetto tecnico, che ancora una volta dimostra l’eccellenza della produzione italiana. Tra le rivelazioni al maschile della serie, ideata da Stefano Accorsi e diretta da Giuseppe Gagliardi (in onda su Sky Atlantic HD), c’è Domenico Diele. Toscano, classe 1985, l’attore interpreta Luca Pastore, l’agente di polizia che lavora al fianco di Antonio Di Pietro nell’inchiesta di Mani Pulite: lo sbirro “buono”, con il volto da bravo ragazzo e un lato oscuro che però lo spinge inizialmente ad azioni non proprio da “manuale”. Prima di «1992» abbiamo visto Domenico Diele al cinema in «A.C.A.B.» di Stefano Sollima (ancora un poliziotto) e in «Paura 3D» dei Manetti Bros. Prossimamente invece sarà nel cast della nuova commedia di Maria Sole Tognazzi «Io e lei» e ne «L’attesa» di Piero Messina con Juliette Binoche. Attualmente è in sala col nuovo film di Nanni Moretti «Mia Madre», pellicola attesa al Festival di Cannes 2015. Il Giornale Digitale lo ha intervistato per farsi raccontare la sfida di «1992» e non solo.
Come è stato calarsi nei panni del poliziotto Luca Pastore?
È stato molto difficile da affrontare e allo stesso tempo interessante perché è un personaggio dalle corde molto drammatiche, soprattutto a causa di questa grave malattia che lo ha colpito e di cui non ha colpa. Non è stata una disattenzione di cui sta pagando le conseguenze, ma un episodio di pura sfortuna: a seguito di una sparatoria gli è stato trasfuso del sangue infetto ed è stato contagiato dall’HIV. Per cui dovevo confrontarmi con un personaggio che aveva perso ogni sentimento di speranza e di riscatto. Luca si considera un morto che cammina, anche perché in quegli anni non c’era l’aspettativa di vita che c’è oggi, quindi concentra tutto ciò che gli resta delle sue energie per incastrare la persona che considera responsabile, ovvero l’imprenditore Michele Mainaghi coinvolto nel commercio di una partita di sangue infetto acquistato dall’America e rivenduto allo Stato. Una vicenda che si ispira ad una storia vera di quegli anni e che non si è ancora conclusa.

Come lo definiresti il tuo personaggio, una vittima che insegue la giustizia o un cinico mosso dalla vendetta?
All’inizio è senza dubbio un cinico che cerca solo vendetta e la giustizia non sembra essere in cima alla lista delle sue priorità. Quando poi il suo acerrimo nemico si uccide, accade qualcosa dentro di lui come se il suo modo di essere andasse in cortocircuito e quindi è costretto a chiedersi “E adesso?”; poi contemporaneamente si invaghisce anche della figlia di Mainaghi, Bibi. Quindi in questo senso Luca evolve nel corso della serie e con lui il suo senso di giustizia
Nel finale cosa dobbiamo aspettarci dal tuo personaggio? Ci riserverà delle sorprese?
Deve ancora dimostrare ciò che gli è stato fatto per cui proseguirà le sue indagini alla ricerca delle prove di quello che è accaduto e ci saranno anche delle sorprese nel rapporto con Bibi, perché lei cambierà parecchie nei confronti di Luca.

Tra le scene che hai girato quali sono state le più impegnative, sia a livello fisico che quello emotivo?
Beh, probabilmente le scene in cui Luca ha dei cali dovuti alla sua malattia. Il virus dell’HIV può restare latente a lungo prima di manifestarsi. Pastore è ancora in questa fase ma conducendo una vita molto stressante ed impegnativa sta di fatto accelerando il decorso della sua malattia, avvicinandosi al suo conclamarsi.
All’esordio 1992 ha fatto più ascolti di Gomorra. Però il successo è stato anche accompagnato da qualche critica. Come hai vissuto questo coro di voci contrastanti?
Non credo che il numero di persone che guardano la serie sia diminuito rispetto alle prime serate, se si guarda ai dati globali, comprese le repliche l’on demand. Sulle critiche, se non sono ben argomentate e fanno riferimento a gusti personali, cerco di farmele scivolare addosso senza lasciarmi condizionare più di tanto.

Al di là delle critiche, 1992 è un progetto ambizioso che ha riscosso successo anche all’estero ed ha conquistato anche la platea del Festival di Berlino.
L’anteprima di Berlino è stata molto importante per la serie, un passaggio fondamentale perché ha rafforzato la fiducia nel fatto che 1992 avrebbe potuto avere un buon riscontro di pubblico.
Cosa ti ha convinto a prendere parte a questo progetto?
Il ruolo di Luca Pastore era una sfida molto interessante da affrontare. E ho creduto che fosse una buona opportunità per la mia carriera.

Si parla già di una seconda stagione, dal titolo 1993. Ci puoi già dire se il tuo personaggio ci sarà?
La nuova stagione la stanno scrivendo. Ma per ora è top secret.
Sul tuo futuro professionale. Dopo 1992 ci sono già proposte che stai valutando e in cui ti rivedremo?
Sì, ci sono altri progetti a cui ho preso parte e che sono in uscita prossimamente. Sarò nel film di Nanni Moretti, «Mia Madre», in sala dal 16 aprile, e poi nel film di Maria Sole Tognazzi, «Io e lei», in «L’attesa» di Piero Messina e «La felicità è un sistema complesso» di Gianni Zanasi.
[Credit Cover: Sky Atlantic]