È cosa nota che il quadro lavorativo italiano sia uno critico, non ancora in grado di raggiungere un equilibrio con l’istruzione, valorizzando le capacità e il talento, ma costringendo tanti giovani a veicolare il proprio percorso oltre confine. I neolaureati faticano infatti sempre di più a farsi largo nel complesso universo occupazionale italiano. Ma c’è un problema ancora più interno rispetto a quello generale, che va a toccare in particolare le giovani laureate. Sembra infatti che le donne vengano colpite in maniera molto più evidente dai problemi occupazionali rispetto ai colleghi uomini, che avrebbero più opportunità nel campo lavorativo in seguito al conseguimento del diploma universitario. L’occupazione femminile in Italia risulta essere quindi in una posizione subordinata rispetto a quella maschile; benché queste risultino quasi sempre preparate e laureate, non riescono mai ad avvicinarsi ai livelli di carriera, guadagno, di occupazione e tipologia di contratto riservati agli uomini.
È quanto risulta dal terzo Rapporto Bachelor che traccia un quadro abbastanza completo sui “Giovani laureati in cammino tra Università e carriera”, delineando la situazione occupazionale di un campione rappresentativo per aree geografiche e di facoltà, di mille laureati italiani a distanza di quattro anni dal conseguimento della laurea. Il 17% delle donne (solo il 7% degli uomini) guadagna meno di 500 euro al mese, la maggioranza del campione maschile ha una retribuzione tra i 1.250 e i 1.500 euro, mentre la maggior parte delle donne si pone nell’intervallo 1.000-1.250 euro. Più in generale il 42% dei laureati guadagna tra 1.250 e 1.750, contro il 28% delle laureate. Questa disparità è evidenziata inoltre anche dal fatto che metà degli uomini ha un contratto a tempo indeterminato, un privilegio per solo il 27% delle lavoratrici femminili.
Questa volta sembra però che la situazione di svantaggio non sia dovuta a standard meritocratici. È infatti noto che nella stragrande maggioranza dei casi le ragazze riescano a laurearsi prima o con voti più alti rispetto ai ragazzi. Nonostante questo la maggior parte di loro ha molte più difficoltà nella ricerca dell’impiego e la situazione sembra essere molto più cupa al Sud, dove 4 anni dopo la laurea il 49,6% delle ragazze è disoccupato, contro il 42,3% dei ragazzi, e solo il 15% delle laureate ha un contratto a tempo indeterminato, contro il 39% dei laureati.
Ma quali sono le ragioni alla base di questa importante differenza?
Si tratta di un fenomeno sicuramente molto complesso e nonostante vi sia in atto un processo di sensibilizzazione al problema, non si può ancora parlare di una perfetta uguaglianza tra uomini e donne. Le differenze di genere sono infatti evidenti in molte altre situazioni quotidiane, così che il problema occupazionale è solo una conseguenza di un’impostazione mentale e sociale che porta con sé un carico di problemi irrisolti che si riversano quindi in tutti i campi, lavorativi e non. Il fenomeno potrebbe inoltre essere dovuto anche a un altro fattore: le materie scelte da uomini e donne, che indirizzano verso settori con una diversa retribuzione e possibilità di impiego. Generalmente le donne sono infatti più propense verso le materie umanistiche (il 34,9%), mentre gli uomini si dividono tra ingegneria e argomenti scientifici (22,5% ciascuno). Le prime, pur inseguendo i propri interessi, finiscono per scegliere facoltà meno richieste e con meno probabilità di impiego, arrivando a pentirsi molto spesso delle proprie scelte.
Al di là del quadro generale, dal punto di vista delle donne più che una questione di scelta, a incidere maggiormente sono il bisogno e la necessità di adeguarsi. I sogni, come sempre, passano in secondo piano. Le inclinazioni, le aspirazioni e le competenze dovrebbero però essere incentivate e promosse, con programmi di orientamento variegati che diano degli strumenti validi e aprano delle opportunità reali nel mondo del lavoro. Spesso invece accade che i propri interessi vengano etichettati come sbagliati in un sistema in cui le priorità sono altre. Come se ci chiedessero di adeguarci a standard precostituiti, oscurando completamente o in parte quelle che sono le proprio aspirazioni. In Italia persiste inoltre una forma di maschilismo che affonda le sue radici in epoche passate, ma che non sono mai state del tutto estirpate. Si è sempre scettici, in maniera più o meno visibile, nei confronti della preparazione di una donna, che rimane sempre un passo indietro, nonostante spesso si dimostri un passo avanti. Non è un paese per donne lavoratrici? L’Italia attualmente non è un paese per lavoratori. Il campo lavorativo e la sua evoluzione è una delle più grandi sfide e la cura dell’occupazione sia maschile che femminile e la sua limatura verso un processo di uguaglianza sono una priorità.